mercoledì 28 febbraio 2018

Non capite mai un cazzo ma sotto elezioni ancora meno





: ecco come state ragionando in merito alla vicenda della pazza che, al comizio di CasaPound, urla ai poliziotti “Dovete morire!”:

-Vi sta antipatico il fascismo?
Se sì, allora la rissosa insegnante vi sta simpatica.
-Vi sta simpatico il fascismo?
Se sì, allora la rissosa insegnante vi sta antipatica.

Il che, se avete più di sei anni, è preoccupante.
Perché, teoricamente, con i peli pubici dovrebbe aumentare anche la capacità di intelligere.
Dovrebbe.
E dovreste aver imparato a ragionare a prescindere dalle vostre simpatie/antipatie.
Dovreste.
E io non dovrei irritarmi in questo modo, perché il mio sistema nervoso è lì lì per farmi ciaone.
Non dovrei, sicuro. Ma poi leggo.
Leggo: “Eh SÌ, lei non ha avuto un bel modo, MA adesso parlare di licenziamento è eccessivo!”
Leggo: “Eh, siamo in un paese libero, uno deve poter esprimere la propria idea! Se io voglio urlare a qualcuno che deve morire dovrei poterlo fare senza rischiare il mio posto di lavoro!”
Leggo: “Ha fatto bene, ACAB!”
Ma leggo anche: “Se mai è quella troia che deve morire!”
Leggo anche: “CasaPound non è fascismo, è assurdo scagliarsi in questo modo!”
Leggo anche: “Le forze dell’ordine dovevano ucciderla!”
Leggo tutte queste cose e mi chiedo come sia possibile vivere così, da analfabeti funzionali.
Perché non essere in grado di vedere cosa c’è di sbagliato, concettualmente se non altro, in tutta questa vicenda significa avere dei deficit che però, se vivete tranquillamente senza difficoltà, liberi, stipendiati e senza vincoli, forse non sono poi così gravi.
Anzi, magari sono io che ho delle disabilità cognitive.
Perché per me è tutto così sbagliato, così tremendamente sbagliato, che non avrei la forza nemmeno di pensarlo uno di quei “Sì, MA...”.
È sbagliato che quelli di CasaPound abbiano la possibilità non solo di tenere un comizio, ma di presentarsi alle elezioni e di circolare nel mondo.
Perché è sbagliato travestire da “ideali” quelle che sono barbarie concettuali.
È sbagliato che una che ha il compito di educare qualcuno, che è pagata per educare qualcuno, si lasci andare a scenate isteriche da folle con cappuccio calato e birrozzo in mano.
Perché l’equilibrio psichico dovrebbe essere uno dei requisiti imprescindibili per fare l’insegnante, no?
È sbagliato non saper distinguere le due cose e pensare di dover per forza tifare per una o per l’altra.
È sbagliato non saper riconoscere l’oscenità di entrambe le parti.
È sbagliato stare ancora qua a parlare di fascismo e antifascismo, considerando le schifezze commesse da ognuno di loro.
È sbagliato non capire che un poliziotto che sta “proteggendo” un “fascista” non è anche lui un fascista ma è semplicemente uno che sta lavorando.
È sbagliato, ma evidentemente non in modo così lampante.
O forse non lo è.
Forse non c’è proprio nulla di sbagliato.
Forse avete ragione voi.
Forse sono io l’analfabeta funzionale.
Anzi, senza “forse”, va.

lunedì 26 febbraio 2018

Votare con demenza




: votare con coscienza, coerenza e intelligenza, contemporaneamente, è impossibile.
E chi vuole vincere le elezioni punta proprio su questo.
1. perché la massa, colei che dà i big likes (voti, in questo caso), non è cosciente, non è coerente e, soprattutto, non è intelligente.
C’è chi dice che “la massa non esiste”, “la massa siamo noi”, ecc, e si incazza fortemente ogni volta che qualcuno parla di “popolino” perché la vede come una presa di posizione intellettualmente snob.
In latino, che si fotta: è mera osservazione, non puzza sotto al naso.
C’è poco da offendersi: la maggior parte delle persone brancola nel buio della sua incoscienza, incoerenza e non intelligenza.
Si vede da quel che fa, da quel che dice e, siccome adesso siamo più animali social che altro, da quel che pubblica. Punto.
2. perché, anche se si volesse esercitare il proprio diritto (dovere) di voto con coscienza, coerenza e intelligenza, sarebbe impossibile: non ci sono alternative soddisfacenti, non ci sono elementi che vincano sul piano razionale. Ci sono solo elementi che hanno costruito una campagna elettorale sull’imbarazzo, sulla loro mancanza di vergogna e sulla celebre amnesia cronica degli italiani. Oppure ci sono elementi che dovrebbero essere in galera o in ospedale psichiatrico e, invece, presentano programmi politici.
Non c’è nessun altro: o idioti o delinquenti. O coalizzati con idioti o delinquenti. 
Perciò, visto che abbiamo capito, grazie a una riflessione che manco mi ricordo, che votare dobbiamo comunque, chi votiamo?
Gli idioti o i delinquenti?
Sacrifichiamo la ragione o la morale?
Che gran scelta, raga.

P.S. Sono esentati da questa “riflessione” tutti coloro che si siano candidati, che abbiano la mamma, il papà, l’amico del cuore, la morosa o il cugggino, candidati, e tutti coloro che abbiano una fede politica che non sono disposti a mettere in dubbio: se c’è in ballo l’ammmore incondizionato (o l’interesse personale) che manda in pappa le sinapsi non mi ci metto nemmeno.


La macchina della verità





: sarebbe contento, Alan Turing, padre dell’informatica, di sapere che oggi usano gli algoritmi soprattutto per bombardarci di pubblicità per venderci delle cazzate?
Sarebbe contento John Larson, inventore della moderna macchina della verità, di sapere che oggi la usano per scoprire se Eva Henger ha davvero visto Francesco Monte fumare la ggioca?
Sì, ne sarebbe contento: la macchina della verità è una minchiata, è giusto che venga usata per ‘ste minchiate.

Ogni volta che dicono che una MACCHINA, la macchina della VERITÀ, DIMOSTRA qualcosa, da qualche parte, un filosofo muore.

venerdì 23 febbraio 2018

Miei cari ex






: il criceto che ho in testa stava trottando su quella cazzo di ruota con il suo solito imbecille automatismo quando mi si è schiaffata davanti questa fantastica consapevolezza: non ho nessun ex fidanzato su Facebook (tranne uno, ma lui mi vuole bene da quando sono piccola).
"Fidanzati" inteso come fidanzati-fidanzati, eh, cioè persone con le quali ho condiviso emozioni, progetti, promesse, quotidianità, e non solo fluidi corporei, per più di un weekend. 
Mi hanno eliminato tutti.
Va' che è strana 'sta roba.
Oddio, io sono l'utente Facebook con il più alto numero di contatti che scelgono di auto-rimuoversi, quindi non dovrebbe essere 'sta gran sorpresa.
Però che scelgano di non avere più a che fare con me, nemmeno virtualmente, proprio le persone che hanno avuto più intimamente a che fare con me è, boh, strano.
Che mi trovino disturbante, più che altro.
Perché, sì, quelli che mi hanno rimosso in modo drammatico, comunicandomi la decisone in modo teatrale, hanno tenuto a dirmi di non voler più vedere comparire il mio nome nemmeno nel mondo virtuale perché li avrebbe "disturbati".
Ed è un po' strano perché, in generale, siamo in buoni rapporti. Cioè, se li incontro per strada ci fermiamo, ci abbracciamo, ci salutiamo.
E per me sono tutti importanti perché, se la persona ormai non è più nella mia vita, l'esperienza che mi ha lasciato eccome se lo è.
Anzi, soprattutto in un caso, è stata fondamentale per sapere esattamente cosa NON voglio da una relazione.
Forse mi hanno eliminato perché non volevano mischiare passato e presente.
O forse il veder scorrere i miei post acidi e chilometrici ricordava loro quanto fosse altrettanto petulante la vita con me.
Chissà.
Non ci avevo mai dato peso, fino a ieri, quando dovevo cercare il contatto di una ragazza di cui ricordavo il nome perché era amica di un mio ex e notai che lui non compariva fra gli amici in comune.
Non mi avrà mica rimosso pure lui?, pensai.
E sì, invece.
Pensare che io ho sempre detto, con molto orgoglio, di essere la ex perfetta: non sono la classica gnocca che potrebbe creare complessi di inferiorità alle povere nuove fidanzate e, soprattutto, non ho mai rotto i coglioni nella speranza di avere ancora un po' di quella minestra passata al microonde.
Io rompo i coglioni da fidanzata, non da ex: da fidanzata sono pitbull, da ex labrador.
Perciò, perché avere così a cuore la mia eliminazione virtuale?
Perché vi preme più la mia rimozione e non quella dei "NonCieloDicono"?
Perché vi disturba più vedere i miei post su Facebook che, per quanto petulanti, aggressivi, acidi, sono frutto di un ragionamento dettagliato, e non il vuoto intellettuale delle citazioni sbagliate e delle bufale?
Se questo avviene, io, Giada, devo pormi seriamente delle domande.
Ma forse, e soprattutto, dovreste porvele anche voi.

Avrei potuto buttare tutto questo nel cassetto del cazzomene, ma ho voluto darvi un po' di importanza, ex "amori" miei.

domenica 18 febbraio 2018

Su quella cagata di ponte diventi Finocchio







: oggi è domenica.
Per preservare me stessa dalla sindrome del Sunday Suicide, che mi sta appollaiata sulla spalla da quando sono pubescente, devo trovare un modo per occuparmi la mente, avendo l'influenza occupato il mio corpo.
Apro Facebook e noto due polemichette:
1- una nota e relativamente nuova pasticceria che fa pagare il tè quattro euro e cinquanta.
2- la lectio magistralis di Sgarbi tenutasi nella sede del Dipartimento di Scienze dell'Università del Piemonte Orientale, voluta da Confartigianato Alessandria.
Poiché per questa settimana ho già praticamente consigliato ai poveri di mangiare brioche, metto il nobilissimo tè nel calderone del cazzo-che-me-ne-frega e mi concentro sull'irriverente critico d'arte.
Che avrà combinato, stavolta, dato che tutti i giornali locali ne parlano?
Apro i vari siti e c'è scritta una sola cosa: Sgarbi ha detto, riferendosi al Meier, "Su quella cagata di ponte diventi finocchio".
E, l'associazione alessandrina LGBT, Tessere Le Identità, ha prontamente organizzato, per stamattina alle 11, una passeggiata sullo stesso a mo' di manifestazione.
Urca!, penso.
Stavo già scrivendo quattro cagate basandomi solamente sugli articoli letti quando il mio spiritello della Coerenza Concettuale mi bussa sulla spalla.

"G?"
- Eh? Cazzo vuoi?
"Che pensi di fare?"
- Come che penso di fare? Insulto Sgarbi, no? Hai letto cosa ha detto?
"E tu hai visto l'intero intervento? C'eri?"
- No, ma i giornali...
"Prima di scrivere qualunque cosa vai a guardarti il video dell'intervento."
- Ma non si trova...
"Muoviti."
- Cazzo, no dai, Coerenza, senti, dura più di due ore...
"Allora non scrivi nulla."
- Ma io mi annoio...

E fu così che mi guardai due ore di una lectio magistralis di Sgarbi identica a mille altre sue che conosco a memoria, solo per cercare di capire perché la mia città è in delirio su Facebook invece di essere in piazza Garibaldi a guardare i carri.
Raga, ammettetelo, è ammirevole.
(Perché poi nessuno mi paghi per questo è un mistero che risolverò in seguito!)
Dunque, innanzitutto ho segnato tutte le volte che il pubblico si è animato durante la conferenza, per ridere e/o applaudire.

- "Quando sarò legislatore promuoverò l'apertura delle scuole alle dieci del mattino... uno si sveglia e non rompe i coglioni!" 
- "Siamo passati da Raffaello a quattro scoreggioni che fanno delle cose una peggio dell'altra!" 
- "Tutto il comparto enogastronomico è diventato bene culturale." 
- "Perfino Renzi se ne è accorto." 
- "Un partito che si chiama Scelta Civica, che non vuol dire un cazzo..."
- "Il mondo è pieno di gente che non fa un cazzo e quindi voterà per quel non fare un cazzo!"
-"... In nome di un sindaco che andrebbe arrestato a posteriori per aver distrutto il ponte di alessandria  quella cagata che ha fatto quel ladro di Meier!"
- "Facciamo allora un ponte di merda di un americano di merda (...) che è uno che andrebbe cacciato a pedate nel culo!"
- "Il ponte nuovo l’ho visto. Puoi anche fare la passeggiata a piedi romantica. Su quella cagata di ponte diventi finocchio; sei lì con una ragazza e dici: “No, mandami Filippo”, perché ti si inverte il cervello. L’ho percorso e ho avuto per un attimo un brivido omosessuale!"
- "Essere omosessuali è bellissimo se uno è predisposto. Sul ponte improvvisamente senti questa frescura che ti prende: è il ponte che determina un'alterazione sessuale degli ormoni normali!"
- "Non costruiamo nessun condominio nuovo finché c'è una cascina che può essere restaurata!" (Qui proprio quasi un'ovazione)
- "Il luogo più erogeno d'Italia è Tortona, più di Napoli. Il sesso più selvaggio... se iniziamo a raccontarlo può essere che Tortona cresca!"
- "Uno che ha il coraggio di dire sono cristiano va guardato con ammirazione!"
- "Fatti non foste per viver come bruti, si riferiva a Di Maio."
- "Dalla prima fino a questa il mio è stato un discorso interamente politico!" (Ovazione)

Poi Basilio legge quattro righe e lui gli dice: "La differenza fra me e te, oltre al fatto che io sono più giovane, è che io l'ho detto meglio!" E qua ho riso anch'io perché mi ha ricordato me, il mio dolce e poco superbo modo di fare.

Siamo alla fine e si dà spazio a Marco Novarese, titolare del master turismo e  territorio (AHAHAHAHAHA. E non posso scrivere perché rido: querela alert!) che si è portato i suoi studenti con delle intelligentissime, avoinonlasifaissime, domande.
Per questa ultima parte gli applausi e le risate sono per:
- "È finita con un certo Alfano, una scoreggia fritta!"
- "Sapete come si chiama il portale? Vieni a Urbino! (...) io temo che anche Alessandria abbia VisitAlessandria, spero che la Lega resista!"
- Elogio al gelato di San Sebastiano Curone.

Fine.

La gente ha, in sostanza, apprezzato le seguenti cose:
- La sua nota sindrome di Tourette che lo porta a ripetere parolacce e a dire cose che fanno incazzare.
- Nomi celebri come Renzi e Di Maio.
- Sesso.
- Elogio della tradizione e dei prodotti locali.
- Rispetto per la nostra cultura.
Il punto è:
Sapete perché la gente ride a una cosa come "Su quella cagata di ponte diventi finocchio"?
Perché, oltre ai vari spompinamenti sul cibo e ai nomi celebri, "cagata" e "finocchio" sono le uniche  parole dell'intervento che ha capito. 
E, poiché non ce la si aspetta in una lectio magistralis, si ride.
Si ride come si riderebbe se uno scoreggiasse all'altare.
Dire "finocchio" completamente a caso, completamente fuori contesto, è come scoreggiare.
Lì per lì, se sei sufficientemente cerebroleso e/o hai la malattia della Hunziker del riso compulsivo, puoi anche ridere.
Poi ci pensi un attimo e, cazzo!, ma quello ha davvero scoreggiato? 
E quello ha davvero detto "Sul ponte improvvisamente senti questa frescura che ti prende: è il ponte che determina una alterazione sessuale degli ormoni normali"?
Sì, l'ha detto.
Ma, per come la vedo io, ha semplicemente scoreggiato.
Ha scoreggiato per ravvivare l'ambiente.
Il che è paradossale, perché una scoreggia lo impesta l'ambiente, non lo migliora.
Ma è il suo modo, celeberrimo, per tenere viva l'attenzione, per fare il figo.
Ed è un vero peccato perché così facendo, ovviamente, ha tenuto viva l'attenzione sulla cosa sbagliata: i giornali, infatti, non hanno scritto di come abbia risposto eccellentemente e con una competenza rara a delle domande banali, per esempio.
Hanno scritto della scoreggia.
Una scoreggia passata per omofobia.
Perché ad Alessandria il lavoro è poco e questa è un'occasione ghiotta.
Sgarbi non è omofobo, raga.
Sgarbi va a trans.
Dice cose per il gusto di fare incazzare la gente.
E ci riesce. Ci riesce sempre.
Ed è tutto un gran peccato.
È un peccato che lui scoreggi, è un peccato che un'associazione di tale importanza sociale si concentri su cose completamente decontestualizzate, è un peccato che i siti di informazione si concentrino solo sulle visualizzazioni.
Che gran peccato.
Ma io, dopotutto, che ne so?
Che ne so io, che ho scritto un post eterno in cui la parola più ricorrente è "scoreggia"?
Un cazzo so, un cazzo.

sabato 17 febbraio 2018

A ME fa schifo il sushi vs FA schifo il sushi





: "A me il sushi fa schifo!".

-Beh, ma l'hai assaggiato?
-Beh, si vede che non era vero sushi.
-Beh, si vede che vai in posti di merda.
-Beh, ma l'hai mica mangiato a merenda? 
-Beh, non puoi dire che non ti piace se l'hai provato solo una volta, di solito ne diventi dipendente dalla quinta.
-Beh, si vede che hai gusti arretrati.
-Beh, si vede che non sei aperta a nuovi sapori.
-Beh, dai, se non ti piace il sushi non capisci un cazzo.

Ok.
Forse, dico forse, il problema è il modo in cui esprimo le mie opinioni.
Il modo in cui dico cose è sempre molto fastidioso alla prima battuta. Ma ha un senso, se sei disposto a coglierlo.
Il fatto è che ho metabolizzato tutte le lezioni di vita dell'infanzia, tranne una (perché non l'ho mai condivisa): il "Non si dice mi-fa-schifo, si dice non-mi-piace!".
No, raga: se mi fa schifo, io dico che mi fa schifo.
Perché "non mi piace" significa una cosa, mentre "mi fa schifo" ne significa un'altra (sì, ok, ho a cuore i significati da sempre, da che ho ricordi, da che ho iniziato a parlare).
E attenzione al MI: io dico che A ME fa schifo, non CHE fa schifo.
Sottile differenza, sostanziale differenza.
A me, Giadona, il sushi fa schifo.
Proprio schifo, disgusto.
Odio le alghe e odio la consistenza del pesce crudo.
Odio la base del sushi, l'idea del sushi, la sua essenza, la sua sostanza.
Odio il sushi in quanto sushi. Mi fa schifo il sushi in quanto sushi.
Non è che se mi porti da Finger's è diverso.
Invece, per esempio, non mi piacciono le rape rosse in generale. Non mi piace quel retrogusto che hanno, che mi ricorda la terra.
Ma non escludo che, cucinate in un certo modo, da un certo chef, in un certo ristorante, magari, possano piacermi.
E attenzione, comunque, al MI.
Perché lo schifo e/o il piacere, raga, rientrano nella sfera dei "gusti".
Non nelle "verità oggettive".
Anche se uno li esprime in un modo che vi infastidisce.
Se dice "il sushi fa schifo", è in errore: se fa schifo a lui non significa che debba far schifo a tutti.
Ma se dice "a me il sushi fa schifo", mi dispiace, ma non sta commettendo illeciti.
E non commette illeciti concettualmente gravi nemmeno se, prima di dire "il sushi fa schifo" fa mille premesse assolutamente soggettive, perché è ovvio che intenda che a lui fa schifo, non che faccia schifo oggettivamente e universalmente (questo punto è un po' difficile, mi sa!).
Comunque, anche se non siete d'accordo con lui, perché voi il sushi lo amate, non dovete farlo sentire un coglione. O cercare di coglierlo per forza in fallo.
Alle papille non si comanda.
E nemmeno alle sinapsi, purtroppo.

giovedì 15 febbraio 2018

Via Prè(Saint-Didier)






: dunque, io ho un disturbo riconosciuto nel manuale diagnostico, un disturbo non come il vostro, che odiate lagggente e poi amate la Sagra delle Sagre: il mio disturbo è abbastanza invalidante, ma non è questa la sede per parlarne (perché di queste cose, anime belle, non ci capite un cazzo!).
Quindi tutto ciò che dirò da qui in poi potrebbe essere semplicemente imputabile al mio essere così, dolcemente disagiata.
Dunque, avevo bisogno di una giornata all'insegna degli hashtag che su Instagram vanno per la maggiore, ovvero #relax, #benessere e #oggicosì.
Perciò scelgo di andare in un luogo che li racchiude tutti, o almeno questo è ciò che avevo capito dai social : Pré-Saint-Didier, QC terme.
Entro, faccio il check-in e vado nello spogliatoio.
Un rubinetto su tre non va e ci sono veramente pochi punti di appoggio rispetto alla quantità di armadietti.
Inizio a sudare freddo.
"Hai intenzione di iniziare già a rompere i coglioni?", mi chiedo.
No, ok.
È che io sono nobile dentro, nonostante sia una poveraccia: la mia indole e i miei desideri contrastano con la mia reale disponibilità economica.
Comunque, mi infilo l'accappatoio con il mio segno distintivo: per due euro puoi comprare una spillina sulla quale scrivere il tuo nome e far sì che non ti ciulino l'accappatoio (io ho disegnato una G con un fuoco d'artificio).
Ottima idea, peccato che non si possa fare lo stesso con le ciabatte e io non sapessi di poter usare le mie. Questa è una cosa che mi crea non poco scompiglio: io sono terrorizzata dalle micosi.
"Hai intenzione di cagare il cazzo coi germi per tutto il giorno?", mi chiedo.
Sì, assolutamente. Posso reprimere la mia natura di nobile decaduta, ma non quella di pulitina.
In ogni caso, entro nella spa.
Uno strettissimo corridoio orizzontale con un mini-bagno turco, due mini-cascate, due mini-saune e una piscina interna, divisa in tre parti, che sfocia nella famosissima vasca esterna.
All'esterno, oltre a quella, un'altra vaschetta e un'altra sauna.
Ora, tutto questo andrebbe benissimo, se fossimo una cinquantina di individui.
Peccato che siamo in mille.
Mille persone urlanti, nonostante ci siano dei cartelli enormi che indichino l'atteggiamento da tenere a seconda che la zona sia "Silence" o "Whisper".
Urlano, ti vengono addosso, ti toccano.
Dello staff manco l'ombra, quindi non c'è nessuno che passi ogni tanto a fare uno Ssssh! generale o che controlli la mandria di vacche impazzite.
Non è una spa, e una camera a gas: entrano davvero molte più persone rispetto all'effettiva capacità della struttura e la situa è davvero claustrofobica.
Claustrofobica ovunque.
Nel corridoio, nelle vasche, nelle aree relax (con una ventina di posti in tutto. Una ventina, raga!) e, attenzione!, al "buffet".
Parliamo del fantomatico buffet, che dovrebbe essere "leggero" nel senso di "sano", invece è "leggero" come il mio portafogli: miseramente barbone.
Yoghurt alla vaniglia (dolcissimo) e alla nocciola, muesli e riso soffiato, grissini, merendine e biscotti confezionati (raga, confezionati!), un pane casereccio, qualche frutto, cioccolata allo zenzero (buona), una schifezza con le erbette, quattro carotine e tre sedanini. Stop.
Tisane non pervenute, solo tè nero. Cioè, mi devo rilassare e mi bombardi di teina???
Poi, naturalmente, non ci sono abbastanza tavoli e sedie per tutto il carro bestiame, perciò tutto questo ben di Dio te lo devi gustare in piedi.
QC, ti mancano le basi proprio.
Se sei attrezzato per dieci, fai entrare dieci. Non mille.
Perché poi da "eccellenza" a "imbarazzo" il passo è breve.
Non ci sono nemmeno abbastanza posti per appoggiare gli accappatoi, così la gente li appallottola e li sbatte dove capita.
Sembra di aspettare la metropolitana alle sette di sabato sera.
E non ha senso parlare di "giornata sbagliata", perché è quasi sempre così: la gente prende ferie in settimana per venire in questo incubo.
Perché per me è, effettivamente, un incubo.
Vado spesso alle terme e non ho mai avuto la sensazione di essere all'Outlet nei saldi.
Qui sì.
Non so cosa piaccia di questo posto. Perché piace, eh: al di là degli hashtag sui social, tutte le persone con cui ho parlato lo adorano.
Boh.
Qualcosa di positivo c'è, eh.
Per esempio lo scrub alla menta o il balsamo al miele o il fatto che usino la stessa marca di phon che uso io.
Ma nel complesso, raga, io dico: che robaccia.
L'architetto che lo ha ideato era probabilmente fatto di crack, non c'è altra spiegazione.
Quel che è certo è che non mi fiderò mai più dei vostri #relax, #benessere e #oggicosì.
Persone farzeh che non siete altro.

#abbassoilgrissino #teambrioche



lunedì 12 febbraio 2018

Messaggi sublimi(a)nali






: la domanda è: oggi è o non è una buona giornata per parlare del "messaggio" di Nadia Toffa?
È o non è una buona giornata per affrontare eventuali fastidiosi commenti di chi legge senza capire?
È o non è una buona giornata per riflettere sul fatto che un programma come Le Iene, ospitato da una delle reti televisive italiane più influenti, si permetta di cagare, prima, sulla medicina tradizionale (vedi Stamina) ed esorti, poi, a fidarsi esclusivamente di quella?
È o non è una buona giornata per rendersi conto che stiamo dando ascolti a qualcuno che strumentalizza la malattia (e una ragazza malata) per riparare alle proprie figure di merda?

No, oggi non è una buona giornata (né un buon periodo) per tutto ciò.

venerdì 9 febbraio 2018

Il mio faro si è spento. E il mio mare è in tempesta









: una settimana fa scrivevo questo.
Una settimana fa.

Quando ti dicono che una persona che ami ha un tumore, più di uno, la sensazione è che una mazza da baseball ti colpisca in mezzo al petto.
Per qualche secondo provi un dolore lancinante (e ti chiedi se si possa morire per una brutta notizia), poi inizi a cercare di capire se e come si possa fare qualcosa.
Sì, si può sempre fare qualcosa.
Se non per guarire, almeno per avere ancora un po' di quella cosa di cui apprezziamo il valore solo quando ci manca: il tempo.
Se il tumore è maligno -così maledettamente maligno da correre come un matto seminando figli qua e là- un giorno, un mese o, addirittura, un anno, sono regali per cui essere grati. 
Regali che si trasformeranno in ultimi ricordi, quelli a cui ci aggrapperemo nel momento di disperazione.
Il tumore, come conseguenza delle nostre cattive abitudini, dei nostri vizi, della nostra ignoranza, della nostra noncuranza, come singoli o come specie, è ciò che ci dà l'opportunità di riflettere sulla nostra fallibilità, sulla nostra morbilità, sul nostro egoismo, sul nostro altruismo: davanti a un male così grande e spietato siamo nulla, siamo semplici giunchi piegati al corso degli eventi naturali (Blaise, mi leggi?).
E questo è magnifico e insieme terribile.
È in questa circostanza di malattia senza cura che capiamo quanto siamo in grado di amare, soffrire e straziarci per qualcun altro.
Capiamo, se vogliamo, quanto immenso sia l'animo umano.
Capiamo molto, se ci interessa capire.
Ci viene sbattuto in faccia il valore di ogni respiro, ogni singolo respiro, fino all'ultimo.
L'attesa, l'agonia, di quell'ultimo.
La fine, non per volere degli amanti, di un amore durato una vita.
Il pensare di non poter sopportare un dolore così grande.
... Il tumore ha un potenziale filosofico mica da ridere, insomma.
E lo sfrutterei al meglio, se ne fossi capace.
Ma, no, non ne sono capace.
Mai, e ora più che mai.
Perché ieri, troppo presto, troppo in fretta, è crollata la colonna portante della mia famiglia.
Il mio faro di pochissime parole, ma sempre quelle giuste.
Un nonno che aveva poco di nonno e tanto di padre.
E questo è stato l'ultimo regalo del 2017, uno strascico di quei trecentosessantacinque giorni infernali, una cosa che ho cercato di tenere nascosta a quasi tutte le persone a me vicine, con la stupida illusione che tutto si sistemasse.
Stupida, perché l'"occhio non vede, cuore non duole" non ha mai funzionato con me.
E, infatti, il peggio si è verificato.
Ho sempre avuto la massima attenzione ai sentimenti dei miei nonni, perché a loro devo molto: ho sempre cercato di non ferirli, sapendo quanto fossero estremamente emotivi entrambi.
E ho sempre avuto l'incubo di non riuscire a dar loro un motivo per essere orgogliosi di me, sereni per me: un nipotino, un lavoro fisso, un traguardo qualsiasi.
Bene, con la realizzazione dei sogni sono un disastro, ma con quella degli incubi vado forte.
Sono una trentaduenne disastrata, completamente instabile.
Non ho costruito niente, se non castelli di letame.
Però, stanotte, invece del conforto delle altre persone che stavano vivendo il mio stesso dramma, io ho cercato il mio.
Io volevo parlare con me, sentire cosa io avessi da dirmi.
Volevo scrivere le cagate che scrivo io (e che poi non pubblico da nessuna parte), pensare, fare esplodere le mie sinapsi, disperarmi in solitaria.
E realizzare che sono esattamente chi volevo essere.
Non "cosa" volevo essere, ma "chi".
E di questo, nonno, mio nonno adorato, spero tu possa essere orgoglioso.
Perché, perdonami la superbia, la mia odiosa boria, questo non è da tutti: non tutti trovano in se stessi tutta la forza di cui hanno bisogno, non tutti si prendono la piena responsabilità del proprio dolore, non tutti affrontano di petto la propria sofferenza.
Non tutti, ma io sì.
E di questo, oltre al bene immenso che ti ho voluto e ti voglio, puoi esserne felice.
Spero, spero davvero, che tu ne sia felice.
La tua masnà.