martedì 19 giugno 2018

Male non fare, paura non avere






: io ho un codice fiscale, una carta di identità numerata (e con foto) e una patente numerata (e con foto).
Sono nel database del comune della mia città, dell’Università di Genova, della mia scuola di ballo, dell’ospedale, dell’agenzia delle entrate, di Trenitalia, dei carabinieri, della polizia, dell’assicurazione della macchina, di tutte le persone per cui ho lavorato e lavoro, di Amazon, di Ebay, della palestra, dell’Esselunga, del panettiere, e di un grossissimo eccetera.
Ho una vita virtualmente attivissima, il che significa che sono quasi sempre rintracciabile e che un algoritmo “sa”, in base alle mie ricerche, quali sono i prodotti che mi interessano.
Nonostante questo, sono un essere umano con una mente libera, libero, che si muove liberamente nel mondo.
Questo perché, appunto, i miei ideali mi impongono di essere umana, non parassita.
Io non ho problemi a far sapere che esisto, perché la mia condotta è civilmente accettabile e la mia immoralità non va a cozzare con la legalità.
Io non vivo sulle spalle degli altri, danneggiandoli.
Gli rompo i coglioni, quello sì, ma me ne assumo la totale responsabilità, civile e morale.
Io non ho paura di far sapere chi sono, perché sono fiera della mia identità.
Perché “male non fare, paura non avere”.
Non parlate di “libertà” e “costrizione” se ne riflettete ora per la prima volta, per spunti politici.
Non date sempre sfogo a ottusi “passionalismi”.
Una mente libera è una mente che funziona e una mente che funziona è una mente libera.
Il resto è fuffa.

martedì 12 giugno 2018

Choose Intelligence






: io ho una pazienza pressoché infinita* quando si tratta di:
bambini
disabili
anziani**.
Se tu non fai parte di suddette categorie, io con te non avrò pazienza.
Perché essere costretta ad avere pazienza con te, per banali motivi etici, deontologici o per quella minchiata chiamata “quieto vivere”, mi costa molto in termini cerebrali: mi mandi a puttane il sistema nervoso.
È un prezzo eccessivo, non ti pare?
Perciò o mi fai vedere il certificato medico che indica la tua accertata disabilità cognitiva (cognitiva, eh, non fare il furbo: quella fisica non ti legittima a fare l’idiota!), cosicché io possa essere amorevole e comprendere il tuo limite, oppure ti comporti da persona normodotata.
Il che significa che, se stiamo comunicando faccia a faccia, ascolti quello che ti dico con attenzione senza farti distrarre dai draghi e dalle fate che ti danzano attorno o, se stiamo comunicando tramite dispositivi elettronici, dai un colpo alla ruota su cui si intrattiene quel roditore mezzo andato che ti abita in testa e cerchi di capire quello che sto scrivendo.
VICEVERSA.
Se ti indispettisci perché non capisco quello che stai dicendo, assicurati prima di parlare un italiano corretto, con sintassi, semantica e pragmatica tutte belle al loro posto.
Non è che grugnisci come un maiale strafatto e ti incazzi ancora se interpreto male: ho una buona (non ottima, eh) comprensione dello scritto e dell’orale, se ti sforzi di far concordare concetto ed espressione posso farcela.
Posso farcela a capire quelle quattro minchiate che hai in testa.

Non so cosa vi abbia fottuto il cervello, se siete in overdose da culi su Instragram, da immagini in generale, da pagine Facebook con la comicità del pepe nel culo, dalla maestra che non vi ha menato, ecc, ma dovete darvi una regolata, ché le persone non sono tenute a sopportare i limiti intellettivi che avete deciso di avere.
Non scegliete di non scegliere l’intelligenza.

* “pressoché infinita” significa che i limiti sono molto lontani ma comunque esistono.
** “anziani”, non i “vecchi di merda” maleducati e inaciditi.

venerdì 8 giugno 2018

Fai schifo MA mi piaci






: leggi quello che scrivo su Facebook.
Per qualche strana ragione ti piace.
Decidi di contattarmi per un progetto.
Questo progetto ha a che fare con un sito che fa roba TIPO satira, un comico-cinico che sembra cucito addosso a me.
Ti dico che ho anche un blog, che non è proprio un blog ma è solo un modo per avere quelle quattro cagate che scrivo sempre a portata di mano.
Ti consiglio, però, di andare a leggertelo e ti avviso che il mio stile di scrittura è quello e mai cambierà, nemmeno se dovessi scrivere per il Papa, giusto per farti (e farci) risparmiare tempo.
Leggi e mi ricontatti per riconfermare il tuo apprezzamento.
Ci incontriamo.
E la prima cosa che mi dici è che hai letto il mio blog e secondo te faccio un po' la figa.
MA questo ti piace.
E allora ti fermo subito, ché io non ho un buon rapporto con i MA. Se tu mi dici una cosa e subito dopo ci metti un MA, io mi innervosisco.
Se quello che scrivo ti piace MA... non ci siamo.
Perché, come già detto, io non cambio il mio modo di esprimermi.
O ti piace (senza SE e soprattutto senza MA), oppure non illustrarmi nessun progetto.
Non ho l’ambizione di fare successo scrivendo a qualunque costo.
Ho altre ambizioni.
Ho un’ambizione che sto coltivando a rilento ma nel modo che decido io, mettendo insieme i pezzi di un puzzle che voglio sia perfetto, non incastrato  a forza.
Ho, più importante!, l’ambizione di mantenere integro il mio stile, che passati i trenta è consolidato e quello rimane.
Non ho bisogno di elemosina.
Non arraffo progetti tanto per fare curriculum.
Non me ne frega un cazzo, tanto per essere chiari.
Se tu mi contatti, è perché io servo a te.
NON viceversa.
Altrimenti ti avrei contattato io, no?
Ti avrei chiesto io una collaborazione, no?
Perciò, o quello che scrivo ti piace così com’è e sei disposto a mantenerlo tale e, soprattutto, retribuirlo, oppure lasciamo stare.
È un discorso che non è né borioso né da figa né nient’altro: è così che la penso ed è così che vivo.
Niente compromessi, di nessun tipo, niente modifiche al mio modo di essere. Perché non sono un cazzo di nessuno, però sono io. Un “io” sudato e sofferto, costruito in trentadue difficili anni.

“Caspita, sei esattamente ciò che fa per noi! 

E, poi, sparì.
Sul serio, eh.
Volatilizzato.
Evaporato.
Inghiottito dal nulla.
E quando lo incontro abbassa lo sguardo manco io fossi un dobermann addestrato all’attacco.
Chissà che è successo.
Perché è una cosa che a me capita più spesso di quanto mi aspetti: mi contattano per vari progetti e poi non se ne fa più nulla.
Sono sempre ciò che stanno cercando ma quando mi trovano scappano.
E io ho il dovere morale di farmi delle domande: cosa accade nel passaggio intermedio tra il “Collabori con me?” e il dileguarsi come un ladro?
Perché ci sarà qualcosa che fa allarmare, deludere, o non so cosa, il mio “contattatore”.
Forse ho un modo troppo diretto, troppo crudo, troppo apparentemente borioso.
Forse faccio cagare nelle relazioni interpersonali.
Ma, raga, si dovrebbe quantomeno intuire, eh: se mi chiami per quello, quello devi aspettarti.
Oppure.
E non voglio nemmeno pensarlo, perché io accuso sempre prima me stessa, ma forse le domande dovresti fartele tu.
Forse sei tu a vacillare.
Forse è il tuo progetto a barcollare.
Ma se così fosse, prima di andare-fare-brigare-tediare me, metterci ‘na pezza? Renderlo un po’ più stabile?
Difficile? Sì, eh?