mercoledì 19 settembre 2018

Dieci anni di Uh Signur








: dieci anni di Uh Signur.

“Fatti Facebook”, mi disse my partner in crime.
“Che cazzo è?”, chiesi io.
“È un social network!”.
“Ah. No, non lo faccio.”
“Cazzona, fatti Facebook, ci divertiamo!”.
“No.”

Sempre stata così: la mia prima risposta è sempre NO.
Al buio, no.
Per non saper né leggere né scrivere, no.
Se non so, no.
Poi però posso cambiare idea.
E, infatti, dopo qualche mese:

“Oh, cos’era quella cosa che mi avevi detto?”
“Cosa?”
“Ma sì, quella cosa sociale su internet!”
“Ma cosa? Facebook?”
“Eh, brava, Facebook! Come funziona?”
“Niente, ti registri, metti il tuo nome e una foto profilo.”
“Uh Signur!”
“Cosa?”
“No, dico, Uh Signur!”
“Ma Uh Signur cosa?”
“Metto Uh Signur come nome!”
“Ma no, il senso di Facebook è farsi riconoscere, è potersi mettere in contatto con persone dall’altra parte del mondo, con i contatti che hai perso! Metti Giada Pippo!”
“Io me ne fotto del senso di Facebook. A me riconoscono lo stesso.”
Stocazzo, ovviamente: ho usato sì Uh Signur, ma ho fatto l’errore di mettere la foto con il mio fidanzato dell’epoca, così la gente mi chiedeva l’amicizia pensando fossi lui.
“Vabbè, metto Giada. Giada Uh Signur.”
“Ma perché ‘sto cazzo di Uh Signur?”
“Perché sì. Comunque, adesso?”
“Niente, adesso puoi condividere cose, scrivere uno status, un pensiero.”
“Figo, però metto i due punti prima!”
“Che due punti?”
“Due punti prima di quello che voglio dire. Tipo: - Giada dice: blablabla!”
“Uhm, ok.”

E fu così che la mia vita cambiò.
Perché?
Beh:
1. Innanzitutto perché sono stata la prima, almeno tra i miei contatti, a usare Facebook in un certo modo, come “denuncia”.
Ok, sto facendo il Pippo Baudo della situa (L’ho inventato io!), però è la verità: quando tutti usavano lo status per commentare il clima, io usavo lo status per far notare cose (vedi: per rompere i coglioni).
Ora è consuetudine, all’epoca un po’ meno. All’epoca Facebook era una Smemo 2.0.
Il mio, invece, era già un “dire cose”.
2. Perché non pensavo ci fosse così tanta idiozia in giro.
Essere una grammar-nazi, per esempio, ha fatto sì che io, per tutta la vita, mi circondassi di persone con a cuore la lingua italiana (o con a cuore il non farsi massacrare da me). Sapevo che esistesse l’io-speriamo-che-me-la-cavo ma non era roba che interessasse me e le persone che frequentavo. Con Facebook, invece, ho scoperto che una laurea non ti garantisce il corretto utilizzo dei congiuntivi e, soprattutto, della logica: persone arrivate, con molti successi all’attivo, si rivelarono dei completi imbecilli.
Con Facebook sono entrata in contatto con l’ignoranza vera, con l’analfabetismo funzionale propriamente detto.
Prima nutrivo ancora qualche speranza nel genere umano, ora nessuna.
Ora l’incoerenza, l’inabilità cognitiva dei più, il non saper formulare concetti, ecc, sono ovvietà.
Dieci anni fa pensavo non appartenessero alla maggioranza. Mi sbagliavo.
Dieci anni di Uh Signur, raga.
Dieci anni.
Una vita, un preadolescente di quarta elementare.
Dieci anni di post chilometrici.
Dieci anni di “Ma non puoi scrivere meno?”.
Dieci anni di “Ma non puoi prenderlo di più, acida di merda?”.
Dieci anni di “Ho letto i tuoi post, lavori per noi?” e poi nulla.
Dieci anni di relazioni rovinate, amicizie interrotte.
Dieci anni di “Facebook non è la vita reale!” e invece è realtà pura.
Dieci anni di denunziaquerelaaaa!
Dieci anni di “A vederti non sembri COSÌ!”, che vuol dire “così cagacazzo come quando scrivi”.
Dieci anni di caccia ai fenomeni, ai morti di figa, agli incoerenti, ai killer concettuali.
Dieci anni di “Ma chi ti caga?” e poi spiare, e poi segnalarmi il profilo.
Dieci anni di molte cose, insomma.
Anche belle, eh, ma quelle me le tengo per me.
Ma, soprattutto, dieci anni di (fatemela un po’ sentire, dai!) stile emulato, di due punti rubati, di “Quanto mi stai sul cazzo, Uh Signur!” e poi cercare di scrivere qualcosa di simile.
Senza successo perché, raga, l’essere gatto nero o ce l’hai nel DNA o ciccia.
L’essere Uh Signur, quindi, pure.
E, per svelare il segretone, cioè il “perché Uh Signur?”: perché è un modo un po’ più fine e, soprattutto, alessandrino, per dire “Oh cazzo!”.
Che è esattamente quello che si pensa appena si vede il numero di parole che compongono un mio post. 
Ed è esattamente quello che si pensa quando si ha l’ardire di leggerlo, arrivando fino alla fine.
Oh, santissimo, cazzo!
Uh, santissimo, Signur!
Grazie a Mark, per tutto.
Per la svolta.
Per l’opportunità.
Per lo stravolgimento della società.
Per le bestemmie quotidiane.