sabato 21 dicembre 2019

Il temibile idioma






: credo anch’io che il dialetto vada salvaguardato come patrimonio culturale.
Bella l’idea del nostro sindacone di insegnarlo nelle scuole.
Bisogna però essere molto stupidi, davvero stupidi, uominiedonnamente stupidi, per proporre un aut aut con la lingua inglese: o il dialetto o l’inglese.
È, praticamente, ciò che ha fatto l’assessore alla Pubblica Istruzione, Silvia Straneo, che, in consiglio comunale ha dichiarato: “I corsi di inglese non si organizzeranno più nei servizi educativi erogati dal comune perché la lingua inglese confonde le idee e influisce negativamente sull'apprendimento della lingua italiana. [...] Ai miei figli ho fatto seguire corsi di inglese da piccoli, ma un conto è ragionare da mamma un altro da assessore alla Pubblica Istruzione. [...] Dobbiamo dirlo, i bambini hanno più a che fare con il dialetto che con la lingua straniera. Poi tra le persone che assumeremo se alcune avranno le competenze per insegnare l’inglese vedremo.”.
Ok.
Quindi una lingua, con ceppo, struttura e grammatica, completamente differenti, mina l’apprendimento della lingua italiana, mentre una lingua, che ne costituisce semplicemente una variazione talvolta molto fedele, non crea assolutamente confusione.
Non fa una piega.
Fa un cratere, una depressione oceanica.
L’abisso Challenger del buon senso, il punto più basso del ragionamento, è costituito dal “Un conto è ragionare da mamma, un altro da assessore alla Pubblica Istruzione”.
Ah.
Quindi, seguendo il ragionamento da assessore e non da mamma, i tuoi figli devono ricevere una formazione decente, mentre i figli della città che amministri devono essere trattati come dei poveri pastorelli dalle risorse cognitive limitate.
Confortante, davvero.
Confortante anche il ritenere che i bambini abbiano più a che fare con il dialetto che con la lingua straniera (è un essere o un dover essere? È una constatazione o una norma?).
Confortante, ancor di più, è il “vedremo” circa l’eventualità di integrare l’inglese, SE le persone che assumeranno avranno le competenze per insegnarlo.
Riempie di gioia, di speranza.
Riempie di brividi, raga.
Perché è proprio questo, altro che l’inglese, che influisce negativamente sull’apprendimento: la decisione in mano all’incompetente, all’incapace, che, in questo caso, dà la colpa all’idioma quando dovrebbe darla all’idiota (se stesso).
Povere creature, poveri germogli distrutti da un mix letale di pesticidi.
E non lo dico da mamma.
E non lo dico nemmeno da assessore.
Lo dico da semplice cittadina, che si sta cagando addosso per il tragico destino a cui stiamo andando incontro.
Felice Natale a tutti.

mercoledì 18 dicembre 2019

E sarebbe sempre un mondo, anche se ci fosse solo quel nodo bianco?






: all’asilo mi rifiutavo di fare il riposino pomeridiano.
Odiavo l’asilo e, ancora adesso, se io ho un qualche disagio (e ne ho!) non dormo.
Non mi addormento proprio.
Perciò, la suora, la terribile Suor Maria, doveva darmi qualcosa da fare mentre i miei compagnetti dormivano.
Generalmente si trattava di una sorta di libro con dei compitini ma io, ovviamente, preferivo disegnare.
Un giorno - e me lo ricordo come se fosse successo stamattina - stavo disegnando quello che per i seguaci del dogmatico Altissimo prende il nome di “Eden”, credo: un albero con Adamo ed Eva, la mela e il serpente.
Da sempre, a tre come trent’anni dopo, se io ho le mani impegnate in qualcosa di estremamente meccanico, la mia mente viaggia.
E, mentre coloravo, mi chiesi: “Ma pensa se non ci fossero mai stati Adamo ed Eva, ecc, e quindi se non ci fossimo noi, ma ci fosse solo un nodo, un grande nodo bianco! Non ci sarebbe nulla. Anzi no, ci sarebbe il nodo bianco. E sarebbe sempre un mondo, se ci fosse solo quel nodo bianco?”.
E, come facevo, faccio e sempre farò, estesi la mia riflessione al mondo esterno.
Alla suora, nello specifico: “Ma perché Dio ha creato tutto questo? Perché non ha creato solo, per esempio, un nodo bianco?”.
Lei, naturalmente, mi liquidò, consigliandomi di continuare a disegnare in silenzio, ché altrimenti avrei svegliato gli altri bambini.
E io ci rimasi di merda.
Soprattutto perché, come appresi molti anni dopo, una domandina simile (“Perché tutto questo anziché il nulla?”) non se l’era posta proprio un coglione qualunque, ecco.
E ci rimango ancora, di merda, quando qualcuno non coglie il mio guanto di riflessione che lascio cadere con fare poco civettuolo ma molto speranzoso.
La mia età dei “perché” non è ancora finita.
Non finirà mai.
Non finirà mai il mio rimanerci male per le mancate risposte, anzi, per il rifiuto di riflettere insieme a me.
Perché molto spesso le risposte o fanno cagare o, semplicemente, non ci sono.
Ma il tragitto che porta a quelle risposte è tutto, la discussione è bella, il dialogo è vita, il pensiero è ciò che nessuno (tranne, per quel che mi riguarda, l’Alzheimer) ci porterà mai via.
Questo è sempre stato il mio sollievo più grande: fino a quando il mio cervello non si accartoccerà su se stesso, a dispetto della disgrazia, a dispetto della prigionia, a dispetto di ogni cosa, io sarò libera. Io avrò di che cibarmi, di che divertirmi, di che soddisfarmi.
E, se possibile, estenderò questo mio pensiero all’esterno.
Non tutti sono suore che tarpano le ali.
Non tutti sono aridi.
Non tutti sono intellettualmente sterili.
Non tutti.
Quasi tutti.
Ma non tutti.
Non resta che inciampare in quel “quasi” senza rompersi il femore che, si sa, a una certa età è una triste sentenza.

giovedì 12 dicembre 2019

Mi perdoni, ma Lei è veramente indietro!






: a Natale siamo tutti più ritardati, altro che più buoni.
Vaghiamo imbambolati, con lo sguardo assente e la bocca aperta.
È proprio un mese difficile, dicembre, se sei allergica al nichel ma di più alle persone.
E se hai l’emicrania.
Adesso, per esempio, dopo l’ennesima visita per controllare il livello di sfarfalleggiamento della mia istamina, necessito di tornare subito a casa per imbottirmi di qualcosa che inibisca il martello pneumatico che, lo so, sta per sfondarmi il cranio.
Non c’è un buco per mettere la macchina. Come al solito, direi, abitando in centro.
Però vedo arrivare lui, come un miraggio, come un’oasi nel deserto, con le chiavi in mano.
Dal modo in cui trascina le cosce mollicce e da come ha parcheggiato, a un metro dal marciapiede, campano che non sia proprio l’aquilotto più sveglio del nido.
Inoltre, ha una borsa in mano e la faccia di uno che vuole solo posarla in auto, per poi tornare a essere un inutile e ciondolante accumulatore di regali di Natale senza sentimento.
Ma io mi illudo, talvolta.
Perciò gli faccio italianamente il gesto del “Va via?”.
Mi guarda con un “Eh?” che gli sfonda le tempie e gli si piazza nello sguardo, già naturalmente bovino.
Allora, comprendendo un evidente deficit cognitivo, glielo scandisco con il labiale: VA VIA?.
Mi ri-guarda e, cercando di decifrare questo oscuro codice atlantico con cui sto provando a comunicare con lui, accenna un saluto.
Cioè, mi saluta! ‘Sto cretino mi fa ciao con la manina!
A questo punto, sempre italianamente, gesticolando nemmeno fossi al mercato del pesce, gli dico “No, non ha capito. VA VIA?” con sottinteso un porcatroia inversamente proporzionale alla mia pazienza.
Lui, continuando a non capire, frustrato più dalla circostanza che dalla sua idiozia, fa spallucce, apre la macchina, butta la borsa sul sedile e NO, NON VA UN CAZZO VIA, cvd.
Infatti torna da dove è venuto, a sprecare fiato ed esistenza in Corso.
E io resto lì, affranta, meditando se andargli dietro e schiacciarlo con tutte le ruote e rispedirlo alla Madre Terra o stare buona e accumulare punti karma.
Scelgo la seconda ma un educato “Mi perdoni, ma Lei è veramente indietro, caro mio!” glielo urlo.
Perché, è vero, a Natale siamo tutti più ritardati.
Ma qualcuno, raga, qualcuno lo è decisamente di più.

mercoledì 11 dicembre 2019

Sardine e murene






: io, se guardo a me stessa con occhio critico e non sentimentale, non sono proprio una sardina.
Sono più uno squalo, un barracuda, una murena.
Ma non un piccolo e grazioso pesciolino, innocuo se preso singolarmente.
Io non nuoto in gruppo.
Nuoto da sola, salvo incontrarmi, per necessità, amore o diletto, con un nucleo ristretto di fedelissimi.
Non sono nemmeno il tipo da “movimento” o “manifestazione”.
Fatta eccezione per il Pride (che mi è comunque costato molto in termini di benessere fisico), io detesto le folle.
C’è, per questi motivi, nel movimento delle Sardine, nel loro nome e intento, che possiamo riassumere con “Tutti uniti, tutti stretti contro il nemico!” qualcosa di costituzionalmente antitetico alla mia natura. Qualcosa di claustrofobico e gregario.
E, soprattutto, c’è anche qualcosa che mi fa storcere il naso. Appunto perché, sempre per natura, io diffido.
Poi, magari, dopo un’analisi certosina condita con svariate seghe mentali, cambio idea. Ma la mia prima reazione, nei confronti di oggetti o persone che spuntano dal nulla, è “Uhm, no”.
Per onestà, realismo e, ok, forse narcisismo, va detto che ci prendo al 99%.
Insomma, raga, per me le sardine sono come i vegani: a livello ideale, non puoi dargli torto.
Se uno ti dice che i suoi ideali sono il “No al razzismo”, “No all’odio”, indipendentemente dal partito di appartenenza, e, ugualmente, se uno sceglie di nutrirsi senza macchiarsi del sangue di un altro essere vivente, come cazzo fai a dargli torto?
Io, almeno, nonostante sia abbastanza brava nel costruire argomentazioni ad hoc per accaparrarmi la ragione e sia cintura nera del giramento di frittata, non ci riesco.
Hanno ideali nobili.
Qual è la macchia nello stemma, però?
I metodi e gli approcci utilizzati.
L’incoerenza.
Per quanto riguarda i primi, temo che la mia opinione si basi semplicemente su un gusto personale o, anzi, sulla mia natura di cui sopra: io non faccio parte di una folla e io non canto “Bella Ciao!”.
E qui si arriva all’incoerenza, che esula da gusti o tendenze.
Tu non puoi definirti un movimento apolitico se nel tuo gruppo Facebook è un continuo pubblicare dei meme contro Salvini o personaggi specifici. Perché allora sei un movimento anti-Salvini, anti-chicchessia. Che mi va benissimo, per carità, ma si va un po’ oltre il semplice “No” a qualcosa di orribile. È una vera e propria opposizione, ma non a livello ideale, bensì bello materiale, particolare.
E, soprattutto, tu non puoi definirti un movimento apolitico, apartitico, ecc, se poi fai cantare “Bella Ciao”, perché quella canzone è impregnata di politica.
Anche di storia, certamente, ma allo stato attuale delle cose, quella canzone è colorata politicamente, stuccata politicamente.
Per far capire meglio: io non mi definirei mai anti-fascista. Io, semplicemente, non sono fascista.
Perché definirsi anti-fascista è un qualcosa di politicamente determinato.
Il che va benissimo, anzi: fossero tutti apolitici come me ci sarebbe anarchia.
Ma va contro l’intento esplicitato, è incoerente con l’intento di partenza “Questo non vuole essere un movimento politico!”.
È questo che mi fa storcere il naso: il dimenticarsi che “politico” deriva da “pólis” e per forza un movimento è politico. Tutto quello che si fa per la comunità è politico, perché specificare che non lo sia?
Il preoccuparsi di privarlo del suo significato, questo ossessivo mettere le mani avanti, mi fa pensare all’imminente inculata.
È lo stessa, identica, popolare, strategia che avevano utilizzato i Cinque Stelle.
Capite, il mio brivido lungo la schiena?
Forse sono solo il classico Bastian Contrario.
Forse sono solo la classica murena inacidita.
Ma, come c’è bisogno di opporsi all’odio (e qui permettetemi un “Grazie al cazzo!”) c’è bisogno anche di occhio critico.
L’unica cosa che, davvero, salverà il mondo.

P.S. Questo post è stato mosso dalla paura: tra le Sardine ci sono persone che ammiro e altre che reputo adorabili. Ho il terrore che ne restino deluse. Non inculatemele. Non a tradimento e senza consenso, almeno.

lunedì 9 dicembre 2019

Mente cogliente







: lo scorso venticinque novembre ho ricondiviso una foto (che avevo postato due anni fa) di una specie di calzone ripieno, con la descrizione “25/11”, scrivendo come commento “Se hai colto immediatamente e senza sforzo forse dovremmo sposarci subito”.
L’ho scritto tanto per: sposarmi, nelle mia lista di priorità, viene molto dopo il volermi fare i capelli verdi e a spazzola.
E io, no, non vorrò mai farmi i capelli a spazzola. Men che meno verdi.
Però mi ha divertito il modo in cui qualcuno ha accolto la sfida. Mi ha anche fatto piacere, certo.
Ma...
La foto ritraeva un calzone (che bei tempi, quando ancora potevo mangiare ciò che volevo!) che aveva la forma di una vagina.
E quello, sì, è stato ovviamente colto.
Ma non era solo quello: era bruciacchiato in alcuni punti, dando l’idea di essere “ammaccato”.
Era quello, infatti, il senso: una vagina ammaccata, con descrizione “25/11”, la giornata mondiale per l’eliminazione della violenza sulle donne.
E quello, no, non è stato colto.
Con “Se hai colto immediatamente e senza sforzo forse dovremmo sposarci subito!” intendevo dire “Hey tu, tu sei come me!”.
Perché io non mi voglio sposare (l’avrei già fatto!).
Io voglio solo una mente gemella.
Che non sia vissuta nel quarto secolo avanti Cristo.
Maschio, femmina, umana, non umana.
Voglio una mente gemella.
Che sia in grado di cogliere.
Voglio una cogliona, insomma.
Come me, appunto.

domenica 8 dicembre 2019

La banana del Maurizione







: dammi del concetto e io sono completamente tua.
Anche se quel concetto non lecca proprio i lobi alla metafisica: pazienza, mi accontento.
In un mondo in cui è Instagram a dettare i canoni di bellezza, genialità e ribellione (filler, comicità in serie e tatuaggi uguali su persone uguali) io mi accontento.
In un mondo in cui anche chi sostiene di essere sopra le righe regala like agli stereotipi, io mi accontento.
In un mondo in cui dà più sicurezza la plastica della carne viva, io mi accontento.
Mi accontento di una banana attaccata al muro con lo scotch (“Comedian”, Maurizio Cattelan).
Uno, perché, al di là delle mille interpretazioni, molte delle quali non posso cogliere per ignoranza, che vanno dal rendere arte un oggetto banale allo spettacolarizzare la deperibilità, credo che Cattelan volesse creare un’opera iconica, un sigillo di se stesso: ho letto da qualche parte che è solito attaccare delle banane nelle stanze d’albergo dei luoghi che visita, sostenendo che gli diano ispirazione.
E, da narcisa, i narcisi mi fanno impazzire.
Due, perché dammi un simbolo fallico e una parvenza di bondage e io schizzo verso l’Iperuranio.
Tre, perché ho sempre voluto farmi fotografare attaccata con lo scotch da pacchi a una parete. Ma non ho mai trovato un partner in crime che fosse in grado di farlo. Quindi c’è anche quella parvenza di stessa lunghezza d’onda, di affinità intellettiva, che vado ricercando (ma che non sto trovando).
Perciò, a me, che sia un concetto banalotto, che “Quella non è arte!”, ecc, non me ne frega un cazzo.
Anche perché “arte” è “prodotto umano”.
“Comedian” è prodotto umano? Cazzo, se è prodotto umano.
Mi è sempre piaciuto il Maurizione.
E mi piace la banana.
Sì, anche scotchata.

lunedì 2 dicembre 2019

Io per ottantamila euro...






: già trovo assurdo che un programma come Le Iene, paradosso materializzato dello smascherare bufale producendo altre bufale, possa continuare a stare in piedi.
Già trovo assurdo che lo stesso programma rubi format di altri programmi per mandare in onda scherzoni divertentissimi e, soprattutto, naturalissimi in recitazione e fisionomia, al solo scopo di fare il botto virale.
Già trovo assurdo che esista gente che si indigni per ciò che viene detto, non accorgendosi che tutto, ma proprio tutto, è costruito. Trovo assurdo che ci si indigni per frasi che, ok, sono uno schiaffo alla povertà ma cosa, oggi, non è uno schiaffo alla povertà (ma anche all’intelligenza, alla decenza, ecc)?
Già trovo assurdo che, nel 2019, quasi 20, quando dobbiamo pensare a come mettere in imbarazzo una vulvodotata, l’unica cosa che ci venga in mente è ritrarla su un cesso o su un assorbente (Oddio, un assorbente! Oddio, il ciclo! Oddio, le donne cagano!).
Già trovo assurdo, davvero assurdo, che si faccia passare il messaggio che gonfiarsi le labbra tanto da non riuscire a parlare vada bene e sia considerato bello, mentre il provocatorio, il trash, venga demonizzato (my one and only LaChapelle ci ha fatto una fortuna, non capite proprio un cazzo!).
Già trovo assurdo che un clone di un altro abbia così tanto successo (devo ancora digerire il successo di Matt Damon, scusate!).
MA.
MA, davvero, era il caso di usare la mia melodia, la melodia che ha accompagnato un mio momento molto brutto ma anche alcuni miei momenti molto belli, per un cazzo di scherzo fake a una persona fake?
Era il caso, Iene di merda, di usare “Nuvole Bianche” per ‘sta cagata?

(Io mi ero fatta fare una foto in cui usavo un’asse da stiro, abbandonato davanti a un cassonetto, come tavola da surf - vedi album “Immagini del profilo -.
Se vogliono darmi ottantamila euro per surfare su un assorbente, io ci sono!
Anche usato!
Ma anche aggratis, cazzomene!).

domenica 1 dicembre 2019

Pizza-gorgo







: fra poco, dopo più di due mesi di regime totalitarista alimentare, forse, potrò provare a sgarrare.
Forse. Se l’universo decide di darmi una tregua.
In attesa, sto fantasticando su cosa vorrei mangiare per primo.
E, come al solito, non lo so. Non so scegliere.
Scegliere fra più cose è proprio ciò che mi riesce peggio. Scegliere fra troppe possibilità è la mia principale fonte di emicrania.
Perché io voglio tutto.
Voglio la pizza, voglio gli spaghetti al pomodoro, voglio una forma di gorgo, voglio un avocado toast, voglio il riso venere coi gamberi, voglio la focaccia di Recco, voglio le lenticchie, voglio lo stinco, voglio la salamella crauti e salsa tonnata, voglio un Mc Chicken, voglio le patatine, voglio un brownie, voglio una stecca di gianduia, voglio una crepe alla Nutella, voglio una crostata di albicocche.
Voglio tutto, forse anche in quest’ordine.
Però, mi viene da dire, se la pizza è la cosa che ho scritto per prima e se la gorgo l’ho scritta per terza ma è ciò che mi manca di più, forse la pizza-gorgo sarà la mia scelta.
Perché io non so scegliere, è vero.
Ma poi scelgo.

(Tanto l’universo procederà con il suo solito fisting senza lube.
Quindi, che cazzo mi illudo a fare?)

martedì 26 novembre 2019

Madre Giada (novembre 2016)





: questo lo scrissi nel 2016, quando scampammo la catastrofe per 35 cm.
Quando la toccai delicatamente.

È la sera del 25 novembre e io mi trovo romanticamente a cena a Vercelli, in un posto in cui il telefono non prende.
Finito di mangiare, sulla strada verso casa, il 3G ritorna e decido di dare un'occhiata alla situazione fiume, pensiero che ha comunque fatto da sfondo alla mia serata.
Apro Facebook.
Leggo "Orti a bagno".
Leggo "Evacuato il quartiere Pista".
Leggo "Peggio del '94".
Leggo "Sono salvo per un pelo!".
Vedo un video del sig. Domenico Di Filippo in cui viene urlato "È uscito, ecco l'acqua!!!".
Vedo nei vari gruppi della città un accavallarsi di informazioni piene di angoscia e ignoranza.
Il mio cuore si ferma.
Voglio andare a casa, nella mia città. Voglio vedere io, con i miei occhi. 
E obbligo il mio fidanzato ad andarci.
Ponte Tiziano aperto, ponte degli Orti aperto. Ma come? -penso- Non c'era l'acqua?
Passando da Piazza Garibaldi mi butto agli Orti, proprio là, in viale Milite Ignoto, sforzandomi di prepararmi mentalmente a quello che avrei visto, ché sarebbe stato un balzo emotivo all'indietro, ventidue anni indietro.
Niente acqua. Ma come? -penso- ma l'ho letto, ho letto "Orti a bagno", sono sicura.
Allora sento il mio amico giornalista, uno dei pochi seri, che mi dice che la situazione critica è in zona piscina. La situazione è critica, non catastrofica.
E, infatti, non c'è stata nessuna catastrofe.
Danni e paura sì e sono profondamente dispiaciuta per gli abitanti delle aree golenali, per gli animali, per le aziende agricole.
Ma "catastrofe" è stata quella del '94, quando INASPETTATAMENTE il fiume ha invaso anche il centro della città. "Catastrofe" è qualcosa di imprevedibile. 
Fortunatamente, ieri i fiumi ci hanno graziato.
Certo, l'emergenza è stata gestita molto bene dalla Protezione Civile, volontari, forze dell'ordine, dal sito del Comune, ecc, e anche dalla Ritona mediaticamente molto attiva (tralascio i canti e l'italiano maccheronico e do la colpa alla tensione), ma chi ha fatto il bravo è stato soprattuto il nostro forte, possente e sensuale fiume. Grazie. Grazie, entità, per i 35 centimetri.
Ora che l'emergenza è (quasi) rientrata, però, io avrei delle cose da dire.
1. LE VARIE PAGINE SU ALESSANDRIA, comprese quelle dei "giornaletti".
Voi siete il male. Voi avete creato allarmismi. Voi avete creato psicosi con la scusa di "dare informazioni". Voi vi siete mascherati da paladini senza che nessuno ve lo abbia chiesto e, così facendo, avete sputato sul dolore di chi ha vissuto davvero la tragedia.
Le pagine "Alessandria- Lisondria"
e "Sei di Alessandria se", la cui amministratrice ha detto di voler bloccare le iscrizione perché incapace di gestirle, si devono vergognare.
2. ALCUNI "GIORNALISTI".
Ketti Porceddu, in particolare, ha scritto che "la Pista è stata evacuata". E anche altri siti di informazione hanno dato informazioni FALSE. Questo, nel mio mondo ideale, sarebbe da ghigliottina. È sciacallaggio mediatico, è da non potersi più guardare allo specchio.
3. SCIACALLAGGIO POLITICO.
Domenico Di Filippo, 5 stelle, ha pubblicato un video creando allarmismo, dicendo che "il Tanaro è uscito", ridendo e scherzando con la Ritona. Ricordatevene a maggio.
4. GLI UTENTI BOMBER DI FACEBOOK.
Ho letto cose terribili. Soprattutto da parte di chi, a casa al calduccio, sputava sentenze protetto dallo schermo del computer o cellulare.
Voi siete il motivo per cui provo disagio a vivere in questo mondo.
Voi siete ignoranti, stupidi, meschini.
Voi occupate il pianeta senza merito alcuno, anzi, siete dannosi, siete smog, siete aria irrespirabile.
Voi non sapete leggere, scrivere, siete analfabeti funzionali. Nonostante questo, però, vi arrogate il diritto di esprimervi, pensando di saperla più lunga degli altri.
Voi parlate di pancia, senza ragione.
Siete in balìa delle vostre povere e dozzinali emozioni, il vostro cervello è inesistente. Siete il motivo per cui questo è un mondo di merda.
I catastrofisti, le mamme bomber, i ragazzini maleducati che, fra un selfie e l'altro, speravano che il Tanaro esondasse solo per saltare la scuola.
Voi, tutti, siete blatte infestanti.
Nel '94 non avevamo telefoni. Nessuno sapeva se fossimo vivi o morti.
Ma nel 2016, quando c'è una giungla di informazioni e non sai cosa sia vero e cosa no, forse psicologicamente è anche peggio.
Voi, che vivete come parassiti, come se la vita vi fosse dovuta, ringraziate la magnanimità di Madre Natura per ieri sera. 
Perché se fosse per Madre Giada...
Niente, mi fermo.
Grazie per avermi fatto rivivere quello che già sogno ogni notte.
Ma, almeno, avete imparato a scrivere una parola nuova: "evacuazione", che si scrive con la C.
Di Coglioni. A terra, frantumati.

lunedì 25 novembre 2019

Violenza di genere






: non capisco cosa vi dia fastidio, esattamente, dell’argomento “violenza sulle donne”.
Perché qualcosa vi dà fastidio, è lampante.
Vi vedo, con quelle bocche piene di “Sì, MA...” che scivolate sullo specchio della dialettica, che volete dire qualcosa con la speranza (presunzione) che sia almeno sensato e poi, per mancanza di ventose cognitive, tutti giù per terra.
Mi piacerebbe sapere cos’è che vi agita così tanto.
È questione, però, di abbassarsi a un livello di deficit che non ho mai toccato.
È un po’ come un limbo dell’idiozia: mi piego fino a una certa ma poi mi si spezza la schiena.
E io ho un’intelligenza media, eh, non sono un genio.
Lo sono, però, rispetto a chi condivide, proprio oggi, dei link sulla violenza sugli uomini, tipo “Sì, MA pensiamo a tutti quegli uomini che...”.
Come se fosse una gara, una faida.
Perché è ovvio che la violenza sia da condannare tutta (tranne quella piccantina!), specificarlo mi pare un insulto alle coscienze dei più.
Solo che è altrettanto ovvio che una donna uccisa ogni 72 ore per mano di un uomo o abusata dal compagno, padre, fratello, o uno stronzo a caso, sia un dato allarmante.
Un dato che dimostra come la “donna” sia ancora considerata una “cosa”, “proprietà”, perché ha scelto di essere considerata tale, o perché ha scelto di regalare la propria vita a gente di merda.
E il fatto che, almeno per quel che vedo dalla maggior parte dei miei contatti di Facebook (l’unica mia finestra sul popolo), si tenti di minimizzare il problema, è veramente preoccupante. Ed è il motivo per cui c’è bisogno di una “giornata mondiale contro”.
Che ci sia un’emergenza dovrebbe essere evidente.
Invece, si fanno battute, se ne è irritati come se si volessero fare dei favoritismi, ecc.
Forse è questo che disturba così tanto? È il dedicare troppa attenzione solo a una fetta della popolazione?
È una sorta di campanilismo? Cameratismo?
Non saprei.
Credo sia più un’antipatia diffusa verso alcuni gruppi, alcuni movimenti “femministi”.
Tipo: se ti batti contro la violenza sulle donne, allora sei femminista, allora mi stai sul cazzo.
Oppure: se ti batti contro la violenza sulle donne, allora sei comunista, allora mi stai sul cazzo perché i problemi sono altri.
Penso sia più questo.
Penso sia una cecità dovuta all’appartenenza, o di partito, o di genere, o di chissà cos’altro.
O, più probabilmente, è solo questione di essere dei coglioni.
Sì, mi sa di sì.
Mi sa che siete solo dei coglioni.

(Apprezzate il fatto che non abbia sottolineato, per l’ennesima volta, che prima di avere un’opinione sulla violenza di genere, bisognerebbe aver riflettuto approfonditamente su cosa sia “violenza”, cosa sia “genere”, cosa sia “donna”, cosa sia “uomo”, ecc. Apprezzate il fatto che mi sforzi di accettare la libertà di opinione!”

giovedì 21 novembre 2019

La borsa abusiva






: non ho dormito.
E, quando io non dormo, non dormo forte.
Perciò, sono sul nervosetto. Non da strage, eh. Solo leggermente intollerante.
Sono dal medico.
Studio pieno.
Una sola sedia libera da essere umano ma occupata da borsa voluminosa.
Mi appoggio al muro, in piedi, fissandola.
La proprietaria della borsa, invece, fissa il vuoto con quell’adorabile vacuità nello sguardo, propria dei grandi erbivori.
Sposto i miei occhi su di lei.
Cioè, sul serio, non la togli quella cazzo di borsa?
Sul serio non la toglie.
Sul serio non ha quell’automatismo -frutto di una basilare educazione, eh, non di una mistress pedagogica- che dovrebbe immediatamente portare a liberare la seduta, essendoci una persona in piedi in attesa di appoggiarci sopra il culo.
Oppure.
Oppure è proprio una stronzetta.
Quello stronzetto mediocre, senza troppe pretese, solo fastidioso. Proprio come piace a me, adatto alla sevizia.
Lo testo.
Mi schiarisco la voce, indicando la sedia.
Ehm, ehm!
È già tanto che non picchi il piedone sulla piastrella.
E lei: “Oh!”, come se non si fosse accorta prima della mia presenza.
Fa per spostare la cazzo di borsa ma il medico apre la porta e la chiama.
E mi guarda, facendo spallucce, accennando un sorrisetto di cortesia come per dire “Siediti pure!”.
Grazie, eh.
Grazie per avermi inconsapevolmente lasciato così, insoddisfatta.
Sarà stata stronzetta oppure no?
Chissà.
Io so solo che, per oggi, dovrò trovarmi un altro agnello sacrificale.

martedì 19 novembre 2019

Come una Coca-Cola





: con la grana dell’allergia, quindi con l’abuso di antistaminico, altri farmaci, ecc, unitamente ad altre granelle che completano questa pralina alla merda che è la mia esistenza, è un po’ che non riesco a fare la cosa che, di quelle poche che mi fanno sentire davvero utile, mi rende più orgogliosa: donare il sangue.
Perché, un po’ come il bombo che non potrebbe volare, io non potrei, costituzionalmente, donare. In generale, dico. 
Ma lo faccio lo stesso, perché sono gruppo 0, perché si deve fare, perché lo voglio fare.
Ultimamente, però, a causa dei motivi di cui sopra, vengo sempre rimbalzata.
Oggi, ritento.
Ma sono pronta, sono carica.
Sono tre settimane che non prendo l’antistaminico, a costo di strapparmi via l’epidermide con le unghie.
Ho mangiato carne, ho bevuto un sacco di acqua.
Ho usato sempre...
Vabbè, ho fatto tutte le cose a modino, diciamo, per essere un eccellente donatore.
Perciò, mi sveglio all’alba (per i miei standard) e mi presento alla reception.
N.B. È la mia prima volta all’Avis di Alessandria: ho sempre donato a Valenza, dove vivevo fino a poco fa.
Mi accoglie una signora gentile, che mi consegna il questionario da compilare.
Ah, ma io non vi temo, stupide domande.
Sono perfetta. Perfettissima.
Però, poiché ho questi sensi iper-sviluppati che mi fanno captare l’avvicinarsi della rogna, mi metto in allerta.
“Non so, mi sento che mi rimbalzano di nuovo!”, mi dico. 
“Perché dovrebbero?”, mi rassicuro.
Entro dal medico, che ha il compito di valutare se possa donare o meno, che deve fare tre cose: guardare come ho risposto al questionario, misurare la pressione e misurare l’emoglobina.
Come andrà, oggi?
Come andrà, considerando il mio operato zelante?
Dimmerda, ovviamente.
Infatti, ho pestato due merde su tre.
Perché è vero, io sono stata bravissima, attentissima, precisissima.
Ma mi è sfuggito un particolare: sono anche anemicissima. Patologia che non va d’accordo con l’allergia al nichel.
Ho pestato la merda “emoglobina” (che sono riuscita solo poche volte a schivare, a onor del vero): insufficiente.
E ho, ovviamente, pestato la merda “pressione”: il medico mi ha chiesto come facessi a stare in piedi. 
Con il nervo teso, tesoro: non sono le gambe che mi tengono. È la cazzimma.
Che, però, oggi mi ha abbandonato.
“Non sei tu, sono io!”
“È che ti amo troppo!”
“Sai, devo ritrovare me stesso!”
E altre scuse banali con cui il mio solito piglio si è congedato.
Facendomi rimbalzare per l’ennesima volta: per l’ennesima volta sono stata inutile.
E, così, in un ambulatorio di un ospedale di provincia, io sono crollata.
Sono scoppiata a piangere.
Davanti alla signora della reception, che ha visto la metamorfosi da ghiaccio ad acqua.
Lacrimoni, eh, non occhi lucidi.
Con tanto di labbrino pendulo e nasone colante.
E la signora, dolcissima, lì a consolarmi: “Non fare così, non prenderla così male, donare è nobile ma vieni prima tu...” e una lunga lista di eccetera.
Non gliel’ho spiegato, naturalmente, che ho avuto un’estate difficile, che ha fatto di me una bottiglietta di Coca-Cola nelle mani di un affetto da Parkinson.
E che anche l’autunno non si stia rivelando proprio ‘sta sfilata di Philipp Plein.
Ma...
Fra tre giorni ci riprovo.
Perché io, anche se sballottata e sempre prossima all’eruzione (emotiva o cutanea), sono io.
E i capricci del mio organismo non sono un cazzo.

lunedì 18 novembre 2019

I segreti del tappo macina






: non so cucinare.
Lo so io, lo sanno tutti.
Non so cucinare perché non ho mai imparato.
Non so cucinare perché, vivendo da sola, ho sempre comprato cose pronte.
Non so cucinare perché, non vivendo da sola, ho sempre avuto chi cucinasse per me.
Non so cucinare perché mi piace troppo mangiare per rischiare di farlo di merda.
Non so cucinare perché mi stanca, anima e corpo.
E, ultimo ma non ultimo, non so cucinare perché non saper cucinare mi fa godere del privilegio di essere affascinata da chi è in grado di farlo: sedermi al tavolo con un bicchiere di vino e osservare chi sta preparando del cibo per me, per noi, è una delle note più alte del pentagramma erotico.
Questo, naturalmente, prima che il nichel, quel maledetto sessista, mi incatenasse ai fornelli: adesso (non sempre ma spesso, grazie a quella santa donna di Madre) sono obbligata a riempirmi le fauci con delle vettovaglie assemblate in modo precario da me medesima.
Dicesi “karma”, me ne sto.
È che il mio cervello non collabora: va forte coi sillogismi ma fa cilecca quando deve comandare alle mani di tagliare in quattro un finocchio.
È proprio lento, in ritardo.
Il che fa di me una ritardata.
Ed è ok, perché io, ritardata, ci sono nata*.
Però mi sono fatta un bel culo -vedi Kant e compagnia- per essere intellectual bomber e vedere come arranco in cucina mi fa sentire un po’, boh, così.
Tipo, ieri ho capito, dopo una settimana che imprecavo perché non ne scendeva abbastanza, come macinare il pepe.
Oddio, “macinare il pepe” è un’espressione un po’ forte che non corrisponde alla realtà. Meglio “come usare il pepe della Cannamela con il tappo macina”.
Praticamente lo giravo solo in un senso e lui, povero, si schiantava stancamente sulla mia insalata, pesce o checcessia, come per cercare di farmi capire quanto fossi stupida.
Come per dire “Non è così che mi farai venire, bellezza!”.
Poi, dopo una settimana, appunto, di pietanze diversamente pepate, mi è venuto il lampo di bradipo: “Ma, forse, se provo a... se magari...”.
E, infatti, Niagara di pepe.
Il mio cervello ha lavorato, inconsciamente, sette giorni per ‘sta cagata.
Per riuscire in una cosa così basilare come condirmi le cose.
Il che, per quanto ricco di metafora, è abbastanza preoccupante.
Ricordatelo, tu, quando ti faccio sentire cognitivamente inadeguato.
Ricordamelo, che ci ho messo una settimana a macinare un pepe confezionato.

domenica 17 novembre 2019

Dall’archivio: Nobel a Dylan





: accadde oggi nel 2016, quando non avevo troppo gradito il Nobel a Bob Dylan.


Quando ero (più) giovane gli scostanti mi attiravano un sacco.
(Spero si apprezzi la scelta stilistica di usare la parola "scostanti").
Ero attratta esclusivamente dai prendi-una-donna-trattala-male-lascia-che-ti-aspetti-per-ore.
Poi hanno iniziato ad annoiarmi: la loro prevedibilità a volte tocca vette altissime.
Ma, soprattutto, ho capito che chi ha bisogno di fare lo scostante, il birichino, il carnefice, è perché ha poco altro da offrire: il suo essere speciale sta esclusivamente nell'essere "cattivo" e, se fosse buono, se fosse "il bravo ragazzo", non avrebbe tutto questo successo. Non c'è niente oltre a quella muffa: se la gratti via non trovi niente, non c'è un mondo meraviglioso. C'è la noia.
Come quelli che hanno un look ribelle, pieni di tatuaggi e marchi a fuoco, e poi quando aprono bocca ti accorgi di quanto siano conformisti. E noiosi.
Appunto, sento la noia attanagliarmi.
Facendo lo strano, la "testa calda" apposta, mi annoi.
Non ritirando un'onorificenza dicendo di "avere altri impegni", mi annoi.
Scostante, birichino, particolarissimo... e noiosissimo.
Se sei figo e lo vuoi far sapere a tutti, il premio lo rifiuti (ciao Jean-Paul, bisous!).
Se, dopo aver tenuto l'Accademia sulle spine, lo accetti (ma va?) e poi, sorpresona!, non ti fai trovare, sei un bambino noioso.
Robbè, sei noioso. Prevedibilmente noioso. 

...quante strade deve percorrere un uomo prima di essere chiamato "sfigato"?

G-postilla: mi baso sulla lettera che il caro Bob ha inviato all'Accademia.
Se poi ha motivazioni più serie, se c'è qualcosa che non ci è dato sapere, se gli è morto il gatto, se ha le emorroidi, sarò ben lieta di rettificare. Bisous.