mercoledì 30 ottobre 2019

Living my best trauma







: se un trauma non fa di te una persona eccellente, o non è stato un vero trauma o sei tu che sei umanamente sterile.
La sofferenza profonda, una perdita, un lutto, un abbandono, un fallimento, un distacco, devono servirti per renderti una persona migliore.
Migliore rispetto a ciò che eri, migliore rispetto a tutto quel male banale che c’è in giro.
Un trauma non deve essere una scusa, deve essere un’occasione.
Se non è un’occasione, ammazzati.
Ok, un po’ forte.
Rifaccio.
Se non è un’occasione, rielaboralo, rielaborati.
Perché così sei un danno, tesoro.
Sei inquinante, banalmente pestilenziale.
Sei tossico.
Nessun’altra persona deve sopportare gli strascichi del tuo trauma.
E nemmeno tu dovresti ancora farlo, se ci avessi riflettuto nel modo giusto.
Nessun’altra persona deve essere calpestata, in nome di un qualsivoglia amore o comprensione dei tuoi trascorsi.
E nemmeno la tua anima dovrebbe esserlo: se un trauma ti ha calpestato e continua a farlo, lavoraci.
Non è troppo tardi.
Non è mai troppo tardi per non essere una persona di merda.

Solo il nichel è una merda.
Un’irrecuperabile merda.

giovedì 24 ottobre 2019

La provocante oliva ascolana





: è un po' nella natura umana desiderare qualcuno per una sua peculiare caratteristica e poi lamentarsi proprio di quella caratteristica.
È la nostra tendenza a essere squisitamente contraddittori*.
Come quelli che scelgono una donna provocante e, accorgendosi di non saper gestire quand'ella altrui provoca, si lamentano del fatto che sia "troppo provocante".
O come me, che ieri sono andata in un posto che amo molto per le sue fritture, in particolare patatine e olive all'ascolana, ma, una volta uscita, ho iniziato a lamentarmi ossessivamente per la puzza di fritto che avevo addosso.
Siamo così, dolcemente ritardati, sempre più decerebrati, rincoglioniti...
Ecc.

*ironia: la contraddizione è il male, non c'è un cazzo di squisito.

martedì 22 ottobre 2019

Dalla stalla allo stallo







: guardatevi intorno, vedete dell’umanità?
Lasciate perdere questi giorni di disastro, guardate alla quotidianità: voi vedete dell’umanità?
Perché io ho smesso di vederla da un po’.
Non c’è niente di tipicamente umano, intorno a me.
C’è molto di tipicamente prima idiota, poi cattivo. Quel “cattivo” di cui parlo sempre, banalotto, non perfido, non malvagio, non fascinosamente sadico.
Quel “cattivo” che non è cattiveria pura, ma è cattiveria raffazzonata, caotica, mista.
Quel “cattivo” a me non indigna più, non tanto da farmi schizzare i neuroni, non mi stimola più.
Dovrei indignarmi per la non-umanità dell’Outlet o di Autostrade?
Quelle sono cose, raga.
Come potrei aspettarmi dell’umanità da cose non umane, che hanno sempre, sempre davvero, dimostrato di essere non cose formate da persone ma cose formate da altre cose?
Lo sono, indignata, naturalmente, profondamente indignata, ma è un’indignazione così radicata, cronica, stagnante, che non mi fa più ribollire il sangue. Non così tanto da immolarmi virtualmente per la denuncia, non in questo momento, almeno, in cui porto lo strascico di uno shock anafilattico.
Mi sono rassegnata alla non-umanità, alla ripugnanza, delle persone.
Come potrei, ripeto, aspettarmi dell’umanità dalle cose?
Sono qui, in stallo.
E la mia mente torna a al fango, all’odore di nafta, alla paura di morire, che tanto hanno temprato e traumatizzato il mio spirito.

giovedì 17 ottobre 2019

Fammi passare!







: avendo appena scoperto di non poter mangiare le ultime due cose rimaste senza nichel, anche se non in via definitiva, ho l’umore un po’ sotto i piedi.
Perciò vado all’Esselunga a cercare qualcosa di dolce per stasera.
Qualcosa di dolce che io possa mangiare.
Non lo trovo.
Vado alla cassa con una magra consolazione: un cartone di latte di riso.
Non è proprio un dolce, non si mastica, ma spero che riesca comunque a ingannare le mie scaltre papille.
Però, rimango abbacchiata. Non triste, non incazzata, abbacchiata: toglimi il cioccolato, toglimi la pasta, toglimi il latte, e il mio umore ne risente.
Per ora, almeno, che il mio fisico non si è ancora abituato.
Sono lì in coda, con in mano il mio cartone di latte di riso.
Davanti a me una donna.
Mi guarda, guarda l’unico oggetto che ho in mano, e si gira dall’altra parte.
Inizia a mettere le sue cose sul rullo.
Cioè, sul serio non mi fai passare?
Sul serio non mi fa passare.
Ok, simpatica.
La cassiera finisce con quello davanti a lei.
Se volesse farmi passare, quello sarebbe il momento.
Infatti mi guarda e io riesco a leggere nella sua mente un impeto morale, un “Forse dovrei...” nel fondo della sua coscienza: è un essere semplice, trasparente, dallo sguardo facilmente decifrabile.
Invece, fugge quel pensiero, scrolla le spalle e la cassiera fa passare la sua roba.
Mi ri-lancia una rapida occhiata e io scoppio a ridere.
Lei mi guarda come per dire “Che cazzo ridi?”.
Niente.
È che sei proprio stronza.
Ma non in quel senso che attrae un po’ tutti.
“Stronza” come il “Cielodicoallamaestra”, il “Gnegnegne”, il “Pappappero”.
Stronza da frustate sulle mucose, insomma.

P.S. Non era tenuta a farmi passare, ok.
Non siamo tenuti a compiere atti di gentilezza.
Ma se pensiamo che “forse dovremmo...”, beh forse dovremmo.
Se abbiamo un carrello pieno di roba e quello dietro di noi ha solo un misero cartone di latte di riso e ha già i soldi in mano, che cazzo!, facciamolo passare.
È la base, no?

mercoledì 9 ottobre 2019

Allegra allergia






: la parola “alleGria”, se fai fare un saltello alla lettera più scavezzacollo dell’alfabeto, si trasforma facilmente nella parola “allerGia”.
Perché, effettivamente, basta un niente perché tu, da mangiare allegramente il cazzo che vuoi, da toccare allegramente il cazzo che vuoi (ops, uscita maluccio!), venga investita da un’improvvisa tristezza.
Tristezza, eh, non disperazione: i problemi sono altri, le disgrazie sono altre.
Ma è un bel fastidio.
È una bella rottura di coglioni.
Questo, almeno, possiamo dirlo?
Nichel, sei un bel rompicoglioni.
Perché sei ovunque, non per altro.
Per esempio, io sono allergica anche al paracetamolo.
Lo so, lo evito.
Ma evitare il nichel è un po’ come evitare gli idioti: impossibile.
Gli idioti sono fra noi, spesso sono individui insospettabili.
Quante volte vi capita di conoscere qualcuno nella vita reale e poi aggiungerlo su Facebook, vedere ciò che posta e pensare “Eppure non sembrava così imbecille!”?
Ecco, così il nichel.
Si trova in cose impensabili, in cibi impensabili.
Si trova, banalmente, in quasi tutto.
Tanto da poterci fare una rubrica dal nome “Ma lo sai dove stracazzo si trova il nichel?”.
No, non lo sai dove stracazzo si trova il nichel, fino a quando non ne diventi allergica.
E diventi viola.
E gonfi.
E gratti.
E bestemmi.


martedì 8 ottobre 2019

Il lato peggiore della malattia mentale è che la gente vorrebbe che tu ti comportassi come se non la avessi






: per la prima volta, nella mia vita, ho avuto l’impulso di applaudire al cinema.
A un film senza Leonardo, poi.
A un Joker che non è Jack Nicholson, poi.
Non l’ho fatto perché non ho il gene giargiana, ma l’impulso l’ho avuto.
A me si compra con poco: con una mimica facciale che fa rabbrividire di piacere e paura, con una fotografia concettuale e paludosa, decadente e seducente, con una follia come risultato di un’anima bombardata, con un obbligo di dover scavare per trovare le ragioni, con una colonna sonora capricciosa, con le parole “senso” e “vita” scandite con regolarità, con copiosi schizzi di sangue.
Se un film ha tutto questo, io sono completamente sua.
Se un film mi fa scattare l’empatia, tanto da farmi surriscaldare anima e corpo, per forza che sono completamente sua.
Vale per i film.
Vale un po’ per tutto.


(Per Leonardo: non essere geloso, se col Joker ballo il twist. Non essere furioso, se col Joker ballo il rock. Con te, che sei la mia passione, io ballo il ballo dell’amore. Sempiterno, eh!)

giovedì 3 ottobre 2019

A me no comunque grazie







: stamattina sono andata a ritirare una roba in un negozio.
“Che nome?”
– Giada.
“Oh, mi è sempre piaciuto il nome Giada!”
– A me no. Comunque, grazie.
E vado nel camerino a provarmi la roba.
Guardo nello specchio la mia allergicissima faccia gonfia e paonazza e... un momento.
Cos’è che le ho detto?
A ME NO COMUNQUE GRAZIE?
Ma cosa sono, cretina?
Cioè io, davvero, ho risposto di merda a un gesto di gentilezza?
Sì.
Perché la mia mente non l’ha recepito come complimento (non l’ho scelto io il mio nome) e quindi ho pensato bene di dire la mia verità, come se stessi effettivamente valutando l’estetica del mio nome.
Con una ragazza che ha, semplicemente, cercato di essere carina sul posto di lavoro.
Ma come cazzo si fa a essere così antipatiche?
È colpa del nichel?
Perché poi ho ancora il coraggio di lamentarmi se c’ho la nomea della zitella acida.
Ma è colpa del nichel.
O del mio segno zodiacale.
Non mia, ovviamente.

mercoledì 2 ottobre 2019

Che fortuna, sorella!






: sono nella sala d’aspetto di un poliambulatorio, in attesa di sapere di quale morte il mio corpo non morirà (per ora) ma sarà la mia anima a farlo.
Sono già scalpitante: sono seduta a fissare il vuoto da tre quarti d’ora, lasciata in balìa di me stessa, la peggiore delle balie.
Nessuno da osservare, nessuno su cui rimuginare, nessuno su cui inventare storie improbabili.
Balle di fieno che rotolano, prive di bellezza, prive di vita.
All’improvviso, come quando nei western un gringo spezza la quiete irrompendo nel saloon, tre suore.
Tre suore, suorine. Minute, occhialute, con le ortopediche ai piedi e le calze contenitive.
Che cosa terribile deve essere, per le suore, andare all’ospedale.
Concettualmente, dico.
Ma anche, che cazzo, materialmente, pragmaticamente.
Che merdata deve essere affidare la tua vita a qualcuno, sposarlo, sposare anche i sacrifici a cui ti obbliga, divulgarne il verbo, credere a una marea di fantasiose stronzate, crederci col cuore, con tutto il cuore, e sapere che, quando proprio quel cuore inizierà a funzionare male, il tuo oggetto d’amore non potrà farci niente?
Una bella, voluminosa, merdata.
Perché tu, suorina, nonostante le levatacce alle cinque per pregare, nonostante le comunioni, le penitenze e i peccati mancati... sei diventata cardiopatica.
Cardiopatica, cazzo.
Quanto può essere terribile sbattere la faccia contro il fatto che Dio possa fare grandi cose, come creare le montagne, i mari, noi, e sticazzi in sei giorni, ma non abbia uno schifo di laurea in medicina?
Quanto può essere terribile rendersi conto, nonostante il fascino del paradiso, nonostante la consolazione di ricongiungersi con l’Altissimo Amante, di voler posticipare quell’incontro ancora un po’? Di volere affidarsi a un altro essere umano, deficitario in sacramenti ma forte in biologia, per continuare a vivere?
Davvero terribile, io credo.
Credo che ti faccia sentire di aver fallito, un po’. Di aver sprecato, un po’.
O forse no.
Forse, se una ha scelto di farsi suora, forse, potrebbe non aver capito semplicemente un cazzo. Potrebbe non capire semplicemente un cazzo.
Potrebbe non avere quella finezza di intelletto per struggersi l’anima.
Che fortuna, sorella!


martedì 1 ottobre 2019

Resilienza in di er, Resilienza in di er!






: raga, ma prima di “resilienza” che cazzo dicevate per darvi un tono, per comunicare l’idea di piegarvi ma non spezzarvi?
Con quale altra parola riassumevate la vostra vita di merda?
Con quale altra parola ci informavate che lui sì, era uno stronzo, ma voi siete forti-forti e avete ritrovato voi stesse-stesse?
Quale altra parola vi tatuavate?
Cosa abbinavate alle foto dei timidi bucaneve*?
Vi rendete conto che, prima di vederla stampata sulla pelle danzerina di Gianluca Vacchi, non sapevate nemmeno come si scrivesse, quella spocchiosa parola?
Ve ne rendete conto, o devo verificare personalmente la resilienza dei vostri denti?

(Sono in pre, resilienzatemi!)