martedì 26 novembre 2019

Madre Giada (novembre 2016)





: questo lo scrissi nel 2016, quando scampammo la catastrofe per 35 cm.
Quando la toccai delicatamente.

È la sera del 25 novembre e io mi trovo romanticamente a cena a Vercelli, in un posto in cui il telefono non prende.
Finito di mangiare, sulla strada verso casa, il 3G ritorna e decido di dare un'occhiata alla situazione fiume, pensiero che ha comunque fatto da sfondo alla mia serata.
Apro Facebook.
Leggo "Orti a bagno".
Leggo "Evacuato il quartiere Pista".
Leggo "Peggio del '94".
Leggo "Sono salvo per un pelo!".
Vedo un video del sig. Domenico Di Filippo in cui viene urlato "È uscito, ecco l'acqua!!!".
Vedo nei vari gruppi della città un accavallarsi di informazioni piene di angoscia e ignoranza.
Il mio cuore si ferma.
Voglio andare a casa, nella mia città. Voglio vedere io, con i miei occhi. 
E obbligo il mio fidanzato ad andarci.
Ponte Tiziano aperto, ponte degli Orti aperto. Ma come? -penso- Non c'era l'acqua?
Passando da Piazza Garibaldi mi butto agli Orti, proprio là, in viale Milite Ignoto, sforzandomi di prepararmi mentalmente a quello che avrei visto, ché sarebbe stato un balzo emotivo all'indietro, ventidue anni indietro.
Niente acqua. Ma come? -penso- ma l'ho letto, ho letto "Orti a bagno", sono sicura.
Allora sento il mio amico giornalista, uno dei pochi seri, che mi dice che la situazione critica è in zona piscina. La situazione è critica, non catastrofica.
E, infatti, non c'è stata nessuna catastrofe.
Danni e paura sì e sono profondamente dispiaciuta per gli abitanti delle aree golenali, per gli animali, per le aziende agricole.
Ma "catastrofe" è stata quella del '94, quando INASPETTATAMENTE il fiume ha invaso anche il centro della città. "Catastrofe" è qualcosa di imprevedibile. 
Fortunatamente, ieri i fiumi ci hanno graziato.
Certo, l'emergenza è stata gestita molto bene dalla Protezione Civile, volontari, forze dell'ordine, dal sito del Comune, ecc, e anche dalla Ritona mediaticamente molto attiva (tralascio i canti e l'italiano maccheronico e do la colpa alla tensione), ma chi ha fatto il bravo è stato soprattuto il nostro forte, possente e sensuale fiume. Grazie. Grazie, entità, per i 35 centimetri.
Ora che l'emergenza è (quasi) rientrata, però, io avrei delle cose da dire.
1. LE VARIE PAGINE SU ALESSANDRIA, comprese quelle dei "giornaletti".
Voi siete il male. Voi avete creato allarmismi. Voi avete creato psicosi con la scusa di "dare informazioni". Voi vi siete mascherati da paladini senza che nessuno ve lo abbia chiesto e, così facendo, avete sputato sul dolore di chi ha vissuto davvero la tragedia.
Le pagine "Alessandria- Lisondria"
e "Sei di Alessandria se", la cui amministratrice ha detto di voler bloccare le iscrizione perché incapace di gestirle, si devono vergognare.
2. ALCUNI "GIORNALISTI".
Ketti Porceddu, in particolare, ha scritto che "la Pista è stata evacuata". E anche altri siti di informazione hanno dato informazioni FALSE. Questo, nel mio mondo ideale, sarebbe da ghigliottina. È sciacallaggio mediatico, è da non potersi più guardare allo specchio.
3. SCIACALLAGGIO POLITICO.
Domenico Di Filippo, 5 stelle, ha pubblicato un video creando allarmismo, dicendo che "il Tanaro è uscito", ridendo e scherzando con la Ritona. Ricordatevene a maggio.
4. GLI UTENTI BOMBER DI FACEBOOK.
Ho letto cose terribili. Soprattutto da parte di chi, a casa al calduccio, sputava sentenze protetto dallo schermo del computer o cellulare.
Voi siete il motivo per cui provo disagio a vivere in questo mondo.
Voi siete ignoranti, stupidi, meschini.
Voi occupate il pianeta senza merito alcuno, anzi, siete dannosi, siete smog, siete aria irrespirabile.
Voi non sapete leggere, scrivere, siete analfabeti funzionali. Nonostante questo, però, vi arrogate il diritto di esprimervi, pensando di saperla più lunga degli altri.
Voi parlate di pancia, senza ragione.
Siete in balìa delle vostre povere e dozzinali emozioni, il vostro cervello è inesistente. Siete il motivo per cui questo è un mondo di merda.
I catastrofisti, le mamme bomber, i ragazzini maleducati che, fra un selfie e l'altro, speravano che il Tanaro esondasse solo per saltare la scuola.
Voi, tutti, siete blatte infestanti.
Nel '94 non avevamo telefoni. Nessuno sapeva se fossimo vivi o morti.
Ma nel 2016, quando c'è una giungla di informazioni e non sai cosa sia vero e cosa no, forse psicologicamente è anche peggio.
Voi, che vivete come parassiti, come se la vita vi fosse dovuta, ringraziate la magnanimità di Madre Natura per ieri sera. 
Perché se fosse per Madre Giada...
Niente, mi fermo.
Grazie per avermi fatto rivivere quello che già sogno ogni notte.
Ma, almeno, avete imparato a scrivere una parola nuova: "evacuazione", che si scrive con la C.
Di Coglioni. A terra, frantumati.

lunedì 25 novembre 2019

Violenza di genere






: non capisco cosa vi dia fastidio, esattamente, dell’argomento “violenza sulle donne”.
Perché qualcosa vi dà fastidio, è lampante.
Vi vedo, con quelle bocche piene di “Sì, MA...” che scivolate sullo specchio della dialettica, che volete dire qualcosa con la speranza (presunzione) che sia almeno sensato e poi, per mancanza di ventose cognitive, tutti giù per terra.
Mi piacerebbe sapere cos’è che vi agita così tanto.
È questione, però, di abbassarsi a un livello di deficit che non ho mai toccato.
È un po’ come un limbo dell’idiozia: mi piego fino a una certa ma poi mi si spezza la schiena.
E io ho un’intelligenza media, eh, non sono un genio.
Lo sono, però, rispetto a chi condivide, proprio oggi, dei link sulla violenza sugli uomini, tipo “Sì, MA pensiamo a tutti quegli uomini che...”.
Come se fosse una gara, una faida.
Perché è ovvio che la violenza sia da condannare tutta (tranne quella piccantina!), specificarlo mi pare un insulto alle coscienze dei più.
Solo che è altrettanto ovvio che una donna uccisa ogni 72 ore per mano di un uomo o abusata dal compagno, padre, fratello, o uno stronzo a caso, sia un dato allarmante.
Un dato che dimostra come la “donna” sia ancora considerata una “cosa”, “proprietà”, perché ha scelto di essere considerata tale, o perché ha scelto di regalare la propria vita a gente di merda.
E il fatto che, almeno per quel che vedo dalla maggior parte dei miei contatti di Facebook (l’unica mia finestra sul popolo), si tenti di minimizzare il problema, è veramente preoccupante. Ed è il motivo per cui c’è bisogno di una “giornata mondiale contro”.
Che ci sia un’emergenza dovrebbe essere evidente.
Invece, si fanno battute, se ne è irritati come se si volessero fare dei favoritismi, ecc.
Forse è questo che disturba così tanto? È il dedicare troppa attenzione solo a una fetta della popolazione?
È una sorta di campanilismo? Cameratismo?
Non saprei.
Credo sia più un’antipatia diffusa verso alcuni gruppi, alcuni movimenti “femministi”.
Tipo: se ti batti contro la violenza sulle donne, allora sei femminista, allora mi stai sul cazzo.
Oppure: se ti batti contro la violenza sulle donne, allora sei comunista, allora mi stai sul cazzo perché i problemi sono altri.
Penso sia più questo.
Penso sia una cecità dovuta all’appartenenza, o di partito, o di genere, o di chissà cos’altro.
O, più probabilmente, è solo questione di essere dei coglioni.
Sì, mi sa di sì.
Mi sa che siete solo dei coglioni.

(Apprezzate il fatto che non abbia sottolineato, per l’ennesima volta, che prima di avere un’opinione sulla violenza di genere, bisognerebbe aver riflettuto approfonditamente su cosa sia “violenza”, cosa sia “genere”, cosa sia “donna”, cosa sia “uomo”, ecc. Apprezzate il fatto che mi sforzi di accettare la libertà di opinione!”

giovedì 21 novembre 2019

La borsa abusiva






: non ho dormito.
E, quando io non dormo, non dormo forte.
Perciò, sono sul nervosetto. Non da strage, eh. Solo leggermente intollerante.
Sono dal medico.
Studio pieno.
Una sola sedia libera da essere umano ma occupata da borsa voluminosa.
Mi appoggio al muro, in piedi, fissandola.
La proprietaria della borsa, invece, fissa il vuoto con quell’adorabile vacuità nello sguardo, propria dei grandi erbivori.
Sposto i miei occhi su di lei.
Cioè, sul serio, non la togli quella cazzo di borsa?
Sul serio non la toglie.
Sul serio non ha quell’automatismo -frutto di una basilare educazione, eh, non di una mistress pedagogica- che dovrebbe immediatamente portare a liberare la seduta, essendoci una persona in piedi in attesa di appoggiarci sopra il culo.
Oppure.
Oppure è proprio una stronzetta.
Quello stronzetto mediocre, senza troppe pretese, solo fastidioso. Proprio come piace a me, adatto alla sevizia.
Lo testo.
Mi schiarisco la voce, indicando la sedia.
Ehm, ehm!
È già tanto che non picchi il piedone sulla piastrella.
E lei: “Oh!”, come se non si fosse accorta prima della mia presenza.
Fa per spostare la cazzo di borsa ma il medico apre la porta e la chiama.
E mi guarda, facendo spallucce, accennando un sorrisetto di cortesia come per dire “Siediti pure!”.
Grazie, eh.
Grazie per avermi inconsapevolmente lasciato così, insoddisfatta.
Sarà stata stronzetta oppure no?
Chissà.
Io so solo che, per oggi, dovrò trovarmi un altro agnello sacrificale.

martedì 19 novembre 2019

Come una Coca-Cola





: con la grana dell’allergia, quindi con l’abuso di antistaminico, altri farmaci, ecc, unitamente ad altre granelle che completano questa pralina alla merda che è la mia esistenza, è un po’ che non riesco a fare la cosa che, di quelle poche che mi fanno sentire davvero utile, mi rende più orgogliosa: donare il sangue.
Perché, un po’ come il bombo che non potrebbe volare, io non potrei, costituzionalmente, donare. In generale, dico. 
Ma lo faccio lo stesso, perché sono gruppo 0, perché si deve fare, perché lo voglio fare.
Ultimamente, però, a causa dei motivi di cui sopra, vengo sempre rimbalzata.
Oggi, ritento.
Ma sono pronta, sono carica.
Sono tre settimane che non prendo l’antistaminico, a costo di strapparmi via l’epidermide con le unghie.
Ho mangiato carne, ho bevuto un sacco di acqua.
Ho usato sempre...
Vabbè, ho fatto tutte le cose a modino, diciamo, per essere un eccellente donatore.
Perciò, mi sveglio all’alba (per i miei standard) e mi presento alla reception.
N.B. È la mia prima volta all’Avis di Alessandria: ho sempre donato a Valenza, dove vivevo fino a poco fa.
Mi accoglie una signora gentile, che mi consegna il questionario da compilare.
Ah, ma io non vi temo, stupide domande.
Sono perfetta. Perfettissima.
Però, poiché ho questi sensi iper-sviluppati che mi fanno captare l’avvicinarsi della rogna, mi metto in allerta.
“Non so, mi sento che mi rimbalzano di nuovo!”, mi dico. 
“Perché dovrebbero?”, mi rassicuro.
Entro dal medico, che ha il compito di valutare se possa donare o meno, che deve fare tre cose: guardare come ho risposto al questionario, misurare la pressione e misurare l’emoglobina.
Come andrà, oggi?
Come andrà, considerando il mio operato zelante?
Dimmerda, ovviamente.
Infatti, ho pestato due merde su tre.
Perché è vero, io sono stata bravissima, attentissima, precisissima.
Ma mi è sfuggito un particolare: sono anche anemicissima. Patologia che non va d’accordo con l’allergia al nichel.
Ho pestato la merda “emoglobina” (che sono riuscita solo poche volte a schivare, a onor del vero): insufficiente.
E ho, ovviamente, pestato la merda “pressione”: il medico mi ha chiesto come facessi a stare in piedi. 
Con il nervo teso, tesoro: non sono le gambe che mi tengono. È la cazzimma.
Che, però, oggi mi ha abbandonato.
“Non sei tu, sono io!”
“È che ti amo troppo!”
“Sai, devo ritrovare me stesso!”
E altre scuse banali con cui il mio solito piglio si è congedato.
Facendomi rimbalzare per l’ennesima volta: per l’ennesima volta sono stata inutile.
E, così, in un ambulatorio di un ospedale di provincia, io sono crollata.
Sono scoppiata a piangere.
Davanti alla signora della reception, che ha visto la metamorfosi da ghiaccio ad acqua.
Lacrimoni, eh, non occhi lucidi.
Con tanto di labbrino pendulo e nasone colante.
E la signora, dolcissima, lì a consolarmi: “Non fare così, non prenderla così male, donare è nobile ma vieni prima tu...” e una lunga lista di eccetera.
Non gliel’ho spiegato, naturalmente, che ho avuto un’estate difficile, che ha fatto di me una bottiglietta di Coca-Cola nelle mani di un affetto da Parkinson.
E che anche l’autunno non si stia rivelando proprio ‘sta sfilata di Philipp Plein.
Ma...
Fra tre giorni ci riprovo.
Perché io, anche se sballottata e sempre prossima all’eruzione (emotiva o cutanea), sono io.
E i capricci del mio organismo non sono un cazzo.

lunedì 18 novembre 2019

I segreti del tappo macina






: non so cucinare.
Lo so io, lo sanno tutti.
Non so cucinare perché non ho mai imparato.
Non so cucinare perché, vivendo da sola, ho sempre comprato cose pronte.
Non so cucinare perché, non vivendo da sola, ho sempre avuto chi cucinasse per me.
Non so cucinare perché mi piace troppo mangiare per rischiare di farlo di merda.
Non so cucinare perché mi stanca, anima e corpo.
E, ultimo ma non ultimo, non so cucinare perché non saper cucinare mi fa godere del privilegio di essere affascinata da chi è in grado di farlo: sedermi al tavolo con un bicchiere di vino e osservare chi sta preparando del cibo per me, per noi, è una delle note più alte del pentagramma erotico.
Questo, naturalmente, prima che il nichel, quel maledetto sessista, mi incatenasse ai fornelli: adesso (non sempre ma spesso, grazie a quella santa donna di Madre) sono obbligata a riempirmi le fauci con delle vettovaglie assemblate in modo precario da me medesima.
Dicesi “karma”, me ne sto.
È che il mio cervello non collabora: va forte coi sillogismi ma fa cilecca quando deve comandare alle mani di tagliare in quattro un finocchio.
È proprio lento, in ritardo.
Il che fa di me una ritardata.
Ed è ok, perché io, ritardata, ci sono nata*.
Però mi sono fatta un bel culo -vedi Kant e compagnia- per essere intellectual bomber e vedere come arranco in cucina mi fa sentire un po’, boh, così.
Tipo, ieri ho capito, dopo una settimana che imprecavo perché non ne scendeva abbastanza, come macinare il pepe.
Oddio, “macinare il pepe” è un’espressione un po’ forte che non corrisponde alla realtà. Meglio “come usare il pepe della Cannamela con il tappo macina”.
Praticamente lo giravo solo in un senso e lui, povero, si schiantava stancamente sulla mia insalata, pesce o checcessia, come per cercare di farmi capire quanto fossi stupida.
Come per dire “Non è così che mi farai venire, bellezza!”.
Poi, dopo una settimana, appunto, di pietanze diversamente pepate, mi è venuto il lampo di bradipo: “Ma, forse, se provo a... se magari...”.
E, infatti, Niagara di pepe.
Il mio cervello ha lavorato, inconsciamente, sette giorni per ‘sta cagata.
Per riuscire in una cosa così basilare come condirmi le cose.
Il che, per quanto ricco di metafora, è abbastanza preoccupante.
Ricordatelo, tu, quando ti faccio sentire cognitivamente inadeguato.
Ricordamelo, che ci ho messo una settimana a macinare un pepe confezionato.

domenica 17 novembre 2019

Dall’archivio: Nobel a Dylan





: accadde oggi nel 2016, quando non avevo troppo gradito il Nobel a Bob Dylan.


Quando ero (più) giovane gli scostanti mi attiravano un sacco.
(Spero si apprezzi la scelta stilistica di usare la parola "scostanti").
Ero attratta esclusivamente dai prendi-una-donna-trattala-male-lascia-che-ti-aspetti-per-ore.
Poi hanno iniziato ad annoiarmi: la loro prevedibilità a volte tocca vette altissime.
Ma, soprattutto, ho capito che chi ha bisogno di fare lo scostante, il birichino, il carnefice, è perché ha poco altro da offrire: il suo essere speciale sta esclusivamente nell'essere "cattivo" e, se fosse buono, se fosse "il bravo ragazzo", non avrebbe tutto questo successo. Non c'è niente oltre a quella muffa: se la gratti via non trovi niente, non c'è un mondo meraviglioso. C'è la noia.
Come quelli che hanno un look ribelle, pieni di tatuaggi e marchi a fuoco, e poi quando aprono bocca ti accorgi di quanto siano conformisti. E noiosi.
Appunto, sento la noia attanagliarmi.
Facendo lo strano, la "testa calda" apposta, mi annoi.
Non ritirando un'onorificenza dicendo di "avere altri impegni", mi annoi.
Scostante, birichino, particolarissimo... e noiosissimo.
Se sei figo e lo vuoi far sapere a tutti, il premio lo rifiuti (ciao Jean-Paul, bisous!).
Se, dopo aver tenuto l'Accademia sulle spine, lo accetti (ma va?) e poi, sorpresona!, non ti fai trovare, sei un bambino noioso.
Robbè, sei noioso. Prevedibilmente noioso. 

...quante strade deve percorrere un uomo prima di essere chiamato "sfigato"?

G-postilla: mi baso sulla lettera che il caro Bob ha inviato all'Accademia.
Se poi ha motivazioni più serie, se c'è qualcosa che non ci è dato sapere, se gli è morto il gatto, se ha le emorroidi, sarò ben lieta di rettificare. Bisous.

sabato 16 novembre 2019

E altre cazzate simili






: prima di partire per le Americhe, mia sorella, cazzeggiando con il mio Tinder, mi fece matchare con un ragazzo.
Dopo averla insultata a dovere, dopo un po’ la ringraziai: lui mi colpì con una geniale frase di apertura, che ci misi un po’ a capire.
Perciò gli diedi corda e lo incontrai pure.
Carino, domande giuste, risposte giuste, mia stessa lunghezza d’onda. Molto mentale, molto fisico.
Però.
Però non era davvero il momento: era il momento  di capire che cazzo stesse succedendo al mio corpo, perché mi gonfiassi improvvisamente, perché non riuscissi a respirare dal prurito, perché avessi difficoltà a stare in piedi.
Ed era anche il momento di veder partire per l’altra parte del mondo un pilastro della mia esistenza.
Ed era anche un altro momento, un po’ più inconfessabile.
Insomma, non era troppo il momento di approfondire nuove conoscenze.
Ero contenta di farle, ma non avevo tempo, in quell’istante, di approfondirle.
Non avevo tempo, né testa.
E, così, quel ragazzo, che io credevo sulla mia stessa lunghezza d’onda, si rivelò essere poco più che un’increspatura, di quelle deboli, capaci però di farti innervosire perché si portano via la tua scritta sul bagnasciuga.
Infatti, quel ragazzo, probabilmente piccato dall’essere trascurato, insultò prima me, poi il mio momento delicato.
Mi disse che mi ero inventata la mia allergia e “altre cazzate simili”.
Definì quindi, per estensione, “cazzata” il mio malessere.
E io ho fatto ghosting (tié, pappappero!).
Perché tu, a me, puoi dire di tutto.
Puoi ingiuriarmi, se ne sei in grado, attribuendomi epiteti di qualsiasi colore, forma e fantasia.
Puoi dirmi che sono un disastro con le relazioni interpersonali e avresti la ragione più completa.
Ma non azzardarti mai più, MAI PIÙÙÙ, a insultare la mia allergia.
Ok, mi sto lentamente trasformando in Zequila che punta il dito contro Pappalardo, in difesa della madre.
Tipo: toccatemi tutto, ma non la mia allergia.
Ma, in effetti, è colei che mi ha cambiato la vita.
Colei che mi infiamma.
Colei che mi sprona a prendermi cura di me.
Colei che mi induce a fare attenzione.
E (eccezziunale veraménte, cosa che non succederebbe nemmeno per Leonardo!) che mi spinge a cucinare. 
Cazzo, per nessuno al mondo sono stata (e sarei) così malleabile.
Cazzo, non è che mi sto innamorando della mia allergia?

(sì, ci sarebbe un’ulteriore considerazione: so’ filo, lo so!)


mercoledì 13 novembre 2019

Nell’intimità della tua cameretta






: c’è un’espressione che ho fatto mia tanti anni fa ma di cui non ricordo la fonte (e non scaverò nei meandri della mia memoria per paura dei fantasmi) ed è “nell’intimità della tua cameretta”, che uso per dire “quando sei solo con te stesso”.
Quel momento prima di dormire, per esempio, in cui tu sai. In cui tu senti. In cui tu ti senti.
È l’ora della coscienza.
Perché, vedi, puoi raccontartene di balle, durante il giorno.
Puoi raccontarne anche agli altri.
Puoi anche giustificare le tue scelte, le tue azioni, anche quelle che non ne avrebbero di giustificazioni umanamente accettabili.
Ma in quel momento, nell’intimità della tua cameretta, tu sai.
Sai cosa hai fatto, il perché l’hai fatto, il come l’hai fatto.
Sai che hai sbagliato. 
Oppure sai cosa ti hanno fatto, il perché l’hanno fatto, il come l’hanno fatto. O, almeno, te lo domandi.
Sai che hai perdonato, ma sai che non avresti dovuto.
Sai che non hai perdonato, ma sai che avresti dovuto.
Sai cosa vorresti, davvero. Non quello che ti consigliano di volere, quello che fa figo volere, quello che è “giusto” volere.
Perché sai tutto, nell’intimità della tua cameretta.
Perché è il momento dell’io profondo.
Che sa. Che spera.
E che non dorme.
Sì, è teatro d’insonnia, l’intimità della tua cameretta.
Se è veramente intima.
Se è veramente tua.


martedì 12 novembre 2019

Sono solo le dieci e ho già usato due onomatopee






: la piercer mi disse: “Occhio che le palline in titanio si svitano più facilmente di quelle in acciaio!”.
Certo.
Completamente dimenticata.
Stamattina mi sto lavando con la mia proverbiale delicatezza quando dling!, la barretta si schianta davanti ai miei piedi mentre la pallina, chissà dove cazzo si è infilata.
Comincio un’affannata e spasmodica ricerca.
Il mio treno è fra diciassette minuti.
La vedo.
Però, piccolo problema: io non mi sono mai cambiata ‘sto coso da sola.
Beh, è arrivato il momento.
Prendo la barretta e mi crocifiggo.
Adoro.
Prendo nota di farmene altri dieci.
Abbandono il deliquio perverso in cui si abbandona spesso e volentieri la mia anima e mi fiondo in stazione.
Sono sul treno.
Il mio stomaco inizia a urlare, nonostante abbia fatto colazione.
Ho solo un mandarino.
Decido di mangiarlo e interrompere la sinfonia, impestando l’aria di un delizioso aroma agrumato.
Mi odierei, se fossi nei miei vicini.
E mi odio lo stesso, anche se sono io, perché detesto mangiare con le mani in treno.
Comunque, inizio a sbucciare il mio triste spuntino, probabilmente schizzando qua e là.
Apro la bocchetta della spazzatura per buttare la buccia.
Sdong!
Mi rimane in mano.
Ma nell’altra ho il mandarino sbucciato, su cui sarà in atto un’epica gang bang di batteri.
Me lo infilo in bocca.
Così, come se fossi un maialino sardo dal triste destino.
Raccolgo alla bene e meglio la spazzatura che ho fatto cadere, tra cui uno stecchino leccato da chissà quale essere umano, aiutandomi con un fazzoletto usato che ho in tasca.
Fatto.
Ne cerco uno pulito nella borsa per togliermi il mandarino dalla bocca.
Non ce l’ho.
Lo prendo con le mani con cui ho armeggiato nella spazzatura.
Del treno.
Il luogo notoriamente più diversamente asettico del mondo, ché se dico lercio si offende.
Mangio con la spensieratezza di un condannato a morte.
Ora, sicuramente, almeno l’epatite ce l’ho.
Nel mentre, il mio vicino di treno mi guarda come se fossi un animale in via d’estinzione.
Un maialino sardo, appunto, credo.
Buona giornata a me.
Buona giornata a voi.

venerdì 8 novembre 2019

Io sono Gggiada, sono una donna, sono un’aristotelica, sono un’allergica






: oggi scade il mio primo mese di disintossicazione.
Che, detta così, rimanderebbe a qualcosa di squisitamente immorale.
Invece, per un cazzo.
Invece è solo un mese che devo stare attenta a quello che tocco, che mangio, che indosso.
Sprecare sinapsi per concentrarmi sulla banale materia è per me qualcosa di estremamente irritante.
Sprecare sinapsi per concentrarmi su ciò che è immediatamente osservabile mina il mio io, la mia essenza, la mia natura.
Ma, se dai piani alti hanno deciso così, incasso e vado avanti: chi sono io per contrastare il volere dell’universo?
Sono una che si incazza forte con i propri simili ma poco con l’ineluttabile.
(Se avessi velleità influenceristiche ora sarebbe il momento di utilizzare la parola “resilienza”.)
Anche perché, lo rafforzo ché non fa mai male, un’allergia improvvisa non è una tragedia.
Le tragedie sono altre, ne abbiamo appena avuto una prova.
Lo so e me lo ripeto continuamente.
Me lo dimentico, talvolta, ok.
Me lo dimentico quando inizio a gonfiare all’improvviso.
Quando divento viola.
Quando passo la notte a grattarmi.
Quando il prurito ci mette ore, tante ore, a passare.
Quando sono così debilitata che non riesco a fare ciò per cui sono stata creata, riflettere, analizzare.
Quando penso al perché mi sia venuta questa allergia, ché lo so perché è arrivata, ché col cazzo che ha una causa caduta dal cielo.
Quando vedo che sto attentissima anche all’aria che respiro ma non passa. E, perciò, saranno solo nichel-frumento-latte o ci sarà altro?
Quando mi dicono “Ah, mia cuggggggina è allergica al nichel ma mangia i saccottini al ciocciolato!” e io li guardo e dico, per farli contenti, per esplicitare il loro sottinteso implicito, “Eh, sarò io che sono sfigata!”.
Il che è vero, sono sfigata, perché ho un sistema immunitario di merda ma non è ancora una tragedia, quindi non posso nemmeno avere l’ardire di lamentarmi.
Infatti, poi, rinsavisco, mi mangio un muffin solo riso, faccio l’amore con il mio nuovo fidanzato, il Robilas 20 mg, e vado.
E sopravvivo.
Anzi, vivo.
Ché ho proprio poco da lamentarmi.

giovedì 7 novembre 2019

Gggenitore uno gggenitore dddue






: la domanda che mi sto facendo attualmente (oltre, naturalmente, al nuovo leitmotiv della mia vita, il caro “Ci sarà il nichel qua dentro?”) è: il diciottenne che vota per la prima volta riuscirà a discernere il personaggio di Giorgia Meloni dalla caricatura di Giorgia Meloni, quella che la vede canticchiare GGGENITORE UNO GGGENITORE DDDUE IOOOOSONOGGGIORGIA SONO UNA DONNA SONO UNA MADRE SONO CRISTIANA?
Oppure, davanti a una lista di nomi, voterà il meme migliore, quello che gli picchierà di più in testa, come se fossero i Macchianera Awards e non le elezioni?
Il diciottenne ritardato, eh, non quello con tutti i venerdì al posto giusto.
E, prima dei vari “Ccccioè fattela ‘na risata, zia!”: la mia è genuina curiosità in merito a cosa accadrà, non un malinconico “Ai miei tempi ridevamo con altre cose!”.
Anche perché io ci ho riso un sacco, anche se sono biologicamente anziana.

mercoledì 6 novembre 2019

L’oggi, dopo ieri






: oggi è per me un giorno delicato.
Come lo è per la mia città.
Oggi è l’anniversario di uno dei miei traumi, dei nostri traumi.
Alzo gli occhi al cielo, come faccio sempre, per natura e per formazione, ed è come è ogni sei di novembre, da venticinque anni: bianco e malinconico, come a chiedermi “Te lo ricordi, sì, che giorno è oggi?”.
E me lo ricordo, sì.
È una cicatrice che pulsa, prepotente, nelle mie notti travagliate.
È ciò che ha forgiato il mio carattere, duro e puro.
È ciò che mi ha insegnato, facendomelo sentire, toccare, ma soprattutto capire, che siamo tutti vivi per miracolo.
Nel mio caso, una porta bloccata dall’acqua, di un appartamento al piano terra in viale Milite Ignoto, che si è aperta per un soffio. E una famiglia che mi ha accolto, facendomi salire sul suo balcone.
Ma può essere una macchina che inchioda, una mano amica, una collettività che continua a prestare attenzione. Tutto contribuisce a farci, miracolosamente, continuare a vivere.
Non sempre, però.
Ed è per questo che, nonostante oggi sia quell’oggi, io non riesco a non pensare a cosa è successo ieri.
Una cosa di cui non voglio ancora parlare, per rispetto, e perché l’indagine è solo agli inizi.
E vorrei dire “Non si può morire così!” ma si può eccome, quando, in quell’attimo, il miracolo trova ostacoli. E non accade.
Si inceppa il meccanismo e si spezzano delle vite.
E che vite!
Vite di chi salva altre vite con la propria.
Vite di chi sceglie, quotidianamente, di mettere a repentaglio se stesso per un altro che nemmeno conosce. 
Vite di chi fa del rischio la propria routine.
Vite che la maggior parte di noi non avrebbe mai, proprio mai, il coraggio di vivere.
E non è vero che il pompiere paura non ne ha.
Il pompiere, della morte, ha paura come ognuno di noi.
Solo che la affronta. La combatte.
Ogni giorno.
Per questo, anche quando perde, vince comunque.
Alla sua famiglia, il cui dolore non mi permetto nemmeno di provare a immaginare, tutto l’affetto e il bene possibile.
E la forza di accettare di continuare nel miracolo senza il proprio caro.