sabato 21 dicembre 2019

Il temibile idioma






: credo anch’io che il dialetto vada salvaguardato come patrimonio culturale.
Bella l’idea del nostro sindacone di insegnarlo nelle scuole.
Bisogna però essere molto stupidi, davvero stupidi, uominiedonnamente stupidi, per proporre un aut aut con la lingua inglese: o il dialetto o l’inglese.
È, praticamente, ciò che ha fatto l’assessore alla Pubblica Istruzione, Silvia Straneo, che, in consiglio comunale ha dichiarato: “I corsi di inglese non si organizzeranno più nei servizi educativi erogati dal comune perché la lingua inglese confonde le idee e influisce negativamente sull'apprendimento della lingua italiana. [...] Ai miei figli ho fatto seguire corsi di inglese da piccoli, ma un conto è ragionare da mamma un altro da assessore alla Pubblica Istruzione. [...] Dobbiamo dirlo, i bambini hanno più a che fare con il dialetto che con la lingua straniera. Poi tra le persone che assumeremo se alcune avranno le competenze per insegnare l’inglese vedremo.”.
Ok.
Quindi una lingua, con ceppo, struttura e grammatica, completamente differenti, mina l’apprendimento della lingua italiana, mentre una lingua, che ne costituisce semplicemente una variazione talvolta molto fedele, non crea assolutamente confusione.
Non fa una piega.
Fa un cratere, una depressione oceanica.
L’abisso Challenger del buon senso, il punto più basso del ragionamento, è costituito dal “Un conto è ragionare da mamma, un altro da assessore alla Pubblica Istruzione”.
Ah.
Quindi, seguendo il ragionamento da assessore e non da mamma, i tuoi figli devono ricevere una formazione decente, mentre i figli della città che amministri devono essere trattati come dei poveri pastorelli dalle risorse cognitive limitate.
Confortante, davvero.
Confortante anche il ritenere che i bambini abbiano più a che fare con il dialetto che con la lingua straniera (è un essere o un dover essere? È una constatazione o una norma?).
Confortante, ancor di più, è il “vedremo” circa l’eventualità di integrare l’inglese, SE le persone che assumeranno avranno le competenze per insegnarlo.
Riempie di gioia, di speranza.
Riempie di brividi, raga.
Perché è proprio questo, altro che l’inglese, che influisce negativamente sull’apprendimento: la decisione in mano all’incompetente, all’incapace, che, in questo caso, dà la colpa all’idioma quando dovrebbe darla all’idiota (se stesso).
Povere creature, poveri germogli distrutti da un mix letale di pesticidi.
E non lo dico da mamma.
E non lo dico nemmeno da assessore.
Lo dico da semplice cittadina, che si sta cagando addosso per il tragico destino a cui stiamo andando incontro.
Felice Natale a tutti.

mercoledì 18 dicembre 2019

E sarebbe sempre un mondo, anche se ci fosse solo quel nodo bianco?






: all’asilo mi rifiutavo di fare il riposino pomeridiano.
Odiavo l’asilo e, ancora adesso, se io ho un qualche disagio (e ne ho!) non dormo.
Non mi addormento proprio.
Perciò, la suora, la terribile Suor Maria, doveva darmi qualcosa da fare mentre i miei compagnetti dormivano.
Generalmente si trattava di una sorta di libro con dei compitini ma io, ovviamente, preferivo disegnare.
Un giorno - e me lo ricordo come se fosse successo stamattina - stavo disegnando quello che per i seguaci del dogmatico Altissimo prende il nome di “Eden”, credo: un albero con Adamo ed Eva, la mela e il serpente.
Da sempre, a tre come trent’anni dopo, se io ho le mani impegnate in qualcosa di estremamente meccanico, la mia mente viaggia.
E, mentre coloravo, mi chiesi: “Ma pensa se non ci fossero mai stati Adamo ed Eva, ecc, e quindi se non ci fossimo noi, ma ci fosse solo un nodo, un grande nodo bianco! Non ci sarebbe nulla. Anzi no, ci sarebbe il nodo bianco. E sarebbe sempre un mondo, se ci fosse solo quel nodo bianco?”.
E, come facevo, faccio e sempre farò, estesi la mia riflessione al mondo esterno.
Alla suora, nello specifico: “Ma perché Dio ha creato tutto questo? Perché non ha creato solo, per esempio, un nodo bianco?”.
Lei, naturalmente, mi liquidò, consigliandomi di continuare a disegnare in silenzio, ché altrimenti avrei svegliato gli altri bambini.
E io ci rimasi di merda.
Soprattutto perché, come appresi molti anni dopo, una domandina simile (“Perché tutto questo anziché il nulla?”) non se l’era posta proprio un coglione qualunque, ecco.
E ci rimango ancora, di merda, quando qualcuno non coglie il mio guanto di riflessione che lascio cadere con fare poco civettuolo ma molto speranzoso.
La mia età dei “perché” non è ancora finita.
Non finirà mai.
Non finirà mai il mio rimanerci male per le mancate risposte, anzi, per il rifiuto di riflettere insieme a me.
Perché molto spesso le risposte o fanno cagare o, semplicemente, non ci sono.
Ma il tragitto che porta a quelle risposte è tutto, la discussione è bella, il dialogo è vita, il pensiero è ciò che nessuno (tranne, per quel che mi riguarda, l’Alzheimer) ci porterà mai via.
Questo è sempre stato il mio sollievo più grande: fino a quando il mio cervello non si accartoccerà su se stesso, a dispetto della disgrazia, a dispetto della prigionia, a dispetto di ogni cosa, io sarò libera. Io avrò di che cibarmi, di che divertirmi, di che soddisfarmi.
E, se possibile, estenderò questo mio pensiero all’esterno.
Non tutti sono suore che tarpano le ali.
Non tutti sono aridi.
Non tutti sono intellettualmente sterili.
Non tutti.
Quasi tutti.
Ma non tutti.
Non resta che inciampare in quel “quasi” senza rompersi il femore che, si sa, a una certa età è una triste sentenza.

giovedì 12 dicembre 2019

Mi perdoni, ma Lei è veramente indietro!






: a Natale siamo tutti più ritardati, altro che più buoni.
Vaghiamo imbambolati, con lo sguardo assente e la bocca aperta.
È proprio un mese difficile, dicembre, se sei allergica al nichel ma di più alle persone.
E se hai l’emicrania.
Adesso, per esempio, dopo l’ennesima visita per controllare il livello di sfarfalleggiamento della mia istamina, necessito di tornare subito a casa per imbottirmi di qualcosa che inibisca il martello pneumatico che, lo so, sta per sfondarmi il cranio.
Non c’è un buco per mettere la macchina. Come al solito, direi, abitando in centro.
Però vedo arrivare lui, come un miraggio, come un’oasi nel deserto, con le chiavi in mano.
Dal modo in cui trascina le cosce mollicce e da come ha parcheggiato, a un metro dal marciapiede, campano che non sia proprio l’aquilotto più sveglio del nido.
Inoltre, ha una borsa in mano e la faccia di uno che vuole solo posarla in auto, per poi tornare a essere un inutile e ciondolante accumulatore di regali di Natale senza sentimento.
Ma io mi illudo, talvolta.
Perciò gli faccio italianamente il gesto del “Va via?”.
Mi guarda con un “Eh?” che gli sfonda le tempie e gli si piazza nello sguardo, già naturalmente bovino.
Allora, comprendendo un evidente deficit cognitivo, glielo scandisco con il labiale: VA VIA?.
Mi ri-guarda e, cercando di decifrare questo oscuro codice atlantico con cui sto provando a comunicare con lui, accenna un saluto.
Cioè, mi saluta! ‘Sto cretino mi fa ciao con la manina!
A questo punto, sempre italianamente, gesticolando nemmeno fossi al mercato del pesce, gli dico “No, non ha capito. VA VIA?” con sottinteso un porcatroia inversamente proporzionale alla mia pazienza.
Lui, continuando a non capire, frustrato più dalla circostanza che dalla sua idiozia, fa spallucce, apre la macchina, butta la borsa sul sedile e NO, NON VA UN CAZZO VIA, cvd.
Infatti torna da dove è venuto, a sprecare fiato ed esistenza in Corso.
E io resto lì, affranta, meditando se andargli dietro e schiacciarlo con tutte le ruote e rispedirlo alla Madre Terra o stare buona e accumulare punti karma.
Scelgo la seconda ma un educato “Mi perdoni, ma Lei è veramente indietro, caro mio!” glielo urlo.
Perché, è vero, a Natale siamo tutti più ritardati.
Ma qualcuno, raga, qualcuno lo è decisamente di più.

mercoledì 11 dicembre 2019

Sardine e murene






: io, se guardo a me stessa con occhio critico e non sentimentale, non sono proprio una sardina.
Sono più uno squalo, un barracuda, una murena.
Ma non un piccolo e grazioso pesciolino, innocuo se preso singolarmente.
Io non nuoto in gruppo.
Nuoto da sola, salvo incontrarmi, per necessità, amore o diletto, con un nucleo ristretto di fedelissimi.
Non sono nemmeno il tipo da “movimento” o “manifestazione”.
Fatta eccezione per il Pride (che mi è comunque costato molto in termini di benessere fisico), io detesto le folle.
C’è, per questi motivi, nel movimento delle Sardine, nel loro nome e intento, che possiamo riassumere con “Tutti uniti, tutti stretti contro il nemico!” qualcosa di costituzionalmente antitetico alla mia natura. Qualcosa di claustrofobico e gregario.
E, soprattutto, c’è anche qualcosa che mi fa storcere il naso. Appunto perché, sempre per natura, io diffido.
Poi, magari, dopo un’analisi certosina condita con svariate seghe mentali, cambio idea. Ma la mia prima reazione, nei confronti di oggetti o persone che spuntano dal nulla, è “Uhm, no”.
Per onestà, realismo e, ok, forse narcisismo, va detto che ci prendo al 99%.
Insomma, raga, per me le sardine sono come i vegani: a livello ideale, non puoi dargli torto.
Se uno ti dice che i suoi ideali sono il “No al razzismo”, “No all’odio”, indipendentemente dal partito di appartenenza, e, ugualmente, se uno sceglie di nutrirsi senza macchiarsi del sangue di un altro essere vivente, come cazzo fai a dargli torto?
Io, almeno, nonostante sia abbastanza brava nel costruire argomentazioni ad hoc per accaparrarmi la ragione e sia cintura nera del giramento di frittata, non ci riesco.
Hanno ideali nobili.
Qual è la macchia nello stemma, però?
I metodi e gli approcci utilizzati.
L’incoerenza.
Per quanto riguarda i primi, temo che la mia opinione si basi semplicemente su un gusto personale o, anzi, sulla mia natura di cui sopra: io non faccio parte di una folla e io non canto “Bella Ciao!”.
E qui si arriva all’incoerenza, che esula da gusti o tendenze.
Tu non puoi definirti un movimento apolitico se nel tuo gruppo Facebook è un continuo pubblicare dei meme contro Salvini o personaggi specifici. Perché allora sei un movimento anti-Salvini, anti-chicchessia. Che mi va benissimo, per carità, ma si va un po’ oltre il semplice “No” a qualcosa di orribile. È una vera e propria opposizione, ma non a livello ideale, bensì bello materiale, particolare.
E, soprattutto, tu non puoi definirti un movimento apolitico, apartitico, ecc, se poi fai cantare “Bella Ciao”, perché quella canzone è impregnata di politica.
Anche di storia, certamente, ma allo stato attuale delle cose, quella canzone è colorata politicamente, stuccata politicamente.
Per far capire meglio: io non mi definirei mai anti-fascista. Io, semplicemente, non sono fascista.
Perché definirsi anti-fascista è un qualcosa di politicamente determinato.
Il che va benissimo, anzi: fossero tutti apolitici come me ci sarebbe anarchia.
Ma va contro l’intento esplicitato, è incoerente con l’intento di partenza “Questo non vuole essere un movimento politico!”.
È questo che mi fa storcere il naso: il dimenticarsi che “politico” deriva da “pólis” e per forza un movimento è politico. Tutto quello che si fa per la comunità è politico, perché specificare che non lo sia?
Il preoccuparsi di privarlo del suo significato, questo ossessivo mettere le mani avanti, mi fa pensare all’imminente inculata.
È lo stessa, identica, popolare, strategia che avevano utilizzato i Cinque Stelle.
Capite, il mio brivido lungo la schiena?
Forse sono solo il classico Bastian Contrario.
Forse sono solo la classica murena inacidita.
Ma, come c’è bisogno di opporsi all’odio (e qui permettetemi un “Grazie al cazzo!”) c’è bisogno anche di occhio critico.
L’unica cosa che, davvero, salverà il mondo.

P.S. Questo post è stato mosso dalla paura: tra le Sardine ci sono persone che ammiro e altre che reputo adorabili. Ho il terrore che ne restino deluse. Non inculatemele. Non a tradimento e senza consenso, almeno.

lunedì 9 dicembre 2019

Mente cogliente







: lo scorso venticinque novembre ho ricondiviso una foto (che avevo postato due anni fa) di una specie di calzone ripieno, con la descrizione “25/11”, scrivendo come commento “Se hai colto immediatamente e senza sforzo forse dovremmo sposarci subito”.
L’ho scritto tanto per: sposarmi, nelle mia lista di priorità, viene molto dopo il volermi fare i capelli verdi e a spazzola.
E io, no, non vorrò mai farmi i capelli a spazzola. Men che meno verdi.
Però mi ha divertito il modo in cui qualcuno ha accolto la sfida. Mi ha anche fatto piacere, certo.
Ma...
La foto ritraeva un calzone (che bei tempi, quando ancora potevo mangiare ciò che volevo!) che aveva la forma di una vagina.
E quello, sì, è stato ovviamente colto.
Ma non era solo quello: era bruciacchiato in alcuni punti, dando l’idea di essere “ammaccato”.
Era quello, infatti, il senso: una vagina ammaccata, con descrizione “25/11”, la giornata mondiale per l’eliminazione della violenza sulle donne.
E quello, no, non è stato colto.
Con “Se hai colto immediatamente e senza sforzo forse dovremmo sposarci subito!” intendevo dire “Hey tu, tu sei come me!”.
Perché io non mi voglio sposare (l’avrei già fatto!).
Io voglio solo una mente gemella.
Che non sia vissuta nel quarto secolo avanti Cristo.
Maschio, femmina, umana, non umana.
Voglio una mente gemella.
Che sia in grado di cogliere.
Voglio una cogliona, insomma.
Come me, appunto.

domenica 8 dicembre 2019

La banana del Maurizione







: dammi del concetto e io sono completamente tua.
Anche se quel concetto non lecca proprio i lobi alla metafisica: pazienza, mi accontento.
In un mondo in cui è Instagram a dettare i canoni di bellezza, genialità e ribellione (filler, comicità in serie e tatuaggi uguali su persone uguali) io mi accontento.
In un mondo in cui anche chi sostiene di essere sopra le righe regala like agli stereotipi, io mi accontento.
In un mondo in cui dà più sicurezza la plastica della carne viva, io mi accontento.
Mi accontento di una banana attaccata al muro con lo scotch (“Comedian”, Maurizio Cattelan).
Uno, perché, al di là delle mille interpretazioni, molte delle quali non posso cogliere per ignoranza, che vanno dal rendere arte un oggetto banale allo spettacolarizzare la deperibilità, credo che Cattelan volesse creare un’opera iconica, un sigillo di se stesso: ho letto da qualche parte che è solito attaccare delle banane nelle stanze d’albergo dei luoghi che visita, sostenendo che gli diano ispirazione.
E, da narcisa, i narcisi mi fanno impazzire.
Due, perché dammi un simbolo fallico e una parvenza di bondage e io schizzo verso l’Iperuranio.
Tre, perché ho sempre voluto farmi fotografare attaccata con lo scotch da pacchi a una parete. Ma non ho mai trovato un partner in crime che fosse in grado di farlo. Quindi c’è anche quella parvenza di stessa lunghezza d’onda, di affinità intellettiva, che vado ricercando (ma che non sto trovando).
Perciò, a me, che sia un concetto banalotto, che “Quella non è arte!”, ecc, non me ne frega un cazzo.
Anche perché “arte” è “prodotto umano”.
“Comedian” è prodotto umano? Cazzo, se è prodotto umano.
Mi è sempre piaciuto il Maurizione.
E mi piace la banana.
Sì, anche scotchata.

lunedì 2 dicembre 2019

Io per ottantamila euro...






: già trovo assurdo che un programma come Le Iene, paradosso materializzato dello smascherare bufale producendo altre bufale, possa continuare a stare in piedi.
Già trovo assurdo che lo stesso programma rubi format di altri programmi per mandare in onda scherzoni divertentissimi e, soprattutto, naturalissimi in recitazione e fisionomia, al solo scopo di fare il botto virale.
Già trovo assurdo che esista gente che si indigni per ciò che viene detto, non accorgendosi che tutto, ma proprio tutto, è costruito. Trovo assurdo che ci si indigni per frasi che, ok, sono uno schiaffo alla povertà ma cosa, oggi, non è uno schiaffo alla povertà (ma anche all’intelligenza, alla decenza, ecc)?
Già trovo assurdo che, nel 2019, quasi 20, quando dobbiamo pensare a come mettere in imbarazzo una vulvodotata, l’unica cosa che ci venga in mente è ritrarla su un cesso o su un assorbente (Oddio, un assorbente! Oddio, il ciclo! Oddio, le donne cagano!).
Già trovo assurdo, davvero assurdo, che si faccia passare il messaggio che gonfiarsi le labbra tanto da non riuscire a parlare vada bene e sia considerato bello, mentre il provocatorio, il trash, venga demonizzato (my one and only LaChapelle ci ha fatto una fortuna, non capite proprio un cazzo!).
Già trovo assurdo che un clone di un altro abbia così tanto successo (devo ancora digerire il successo di Matt Damon, scusate!).
MA.
MA, davvero, era il caso di usare la mia melodia, la melodia che ha accompagnato un mio momento molto brutto ma anche alcuni miei momenti molto belli, per un cazzo di scherzo fake a una persona fake?
Era il caso, Iene di merda, di usare “Nuvole Bianche” per ‘sta cagata?

(Io mi ero fatta fare una foto in cui usavo un’asse da stiro, abbandonato davanti a un cassonetto, come tavola da surf - vedi album “Immagini del profilo -.
Se vogliono darmi ottantamila euro per surfare su un assorbente, io ci sono!
Anche usato!
Ma anche aggratis, cazzomene!).

domenica 1 dicembre 2019

Pizza-gorgo







: fra poco, dopo più di due mesi di regime totalitarista alimentare, forse, potrò provare a sgarrare.
Forse. Se l’universo decide di darmi una tregua.
In attesa, sto fantasticando su cosa vorrei mangiare per primo.
E, come al solito, non lo so. Non so scegliere.
Scegliere fra più cose è proprio ciò che mi riesce peggio. Scegliere fra troppe possibilità è la mia principale fonte di emicrania.
Perché io voglio tutto.
Voglio la pizza, voglio gli spaghetti al pomodoro, voglio una forma di gorgo, voglio un avocado toast, voglio il riso venere coi gamberi, voglio la focaccia di Recco, voglio le lenticchie, voglio lo stinco, voglio la salamella crauti e salsa tonnata, voglio un Mc Chicken, voglio le patatine, voglio un brownie, voglio una stecca di gianduia, voglio una crepe alla Nutella, voglio una crostata di albicocche.
Voglio tutto, forse anche in quest’ordine.
Però, mi viene da dire, se la pizza è la cosa che ho scritto per prima e se la gorgo l’ho scritta per terza ma è ciò che mi manca di più, forse la pizza-gorgo sarà la mia scelta.
Perché io non so scegliere, è vero.
Ma poi scelgo.

(Tanto l’universo procederà con il suo solito fisting senza lube.
Quindi, che cazzo mi illudo a fare?)