giovedì 25 marzo 2021

DanteDì

 

: mi accodo alla celebrazione del DanteDì condividendo quella che, per me, è la più grande verità sull’amore mai scritta.
Quella dalla difficile trascrizione.
Quella dall’impossibile parafrasi.
Quella che, quando la vedremo scritta correttamente abbinata a chiappe abbronzate, o quando chi se la tatuerà metterà l’h nel punto giusto o quando capiremo cosa significhi davvero, renderà il mondo un posto migliore.
“Amor, ch’a nullo amato amar perdona (....)”.
Io piango, ogni volta.
Non me la sono ancora tatuata perché mi sembrerebbe di depotenziarla, di toglierle un po’ di bellezza, ma è la cosa in cui credo di più.
Da sempre.
Da quando ho scoperto il quinto canto dell’Inferno, almeno.

martedì 23 marzo 2021

Vaticano e nozze gay



: chiedere al Vaticano di benedire le nozze gay è come chiedere al Ku Klux Klan di tollerare le persone di colore.

Riguarda semplicemente un’impossibilità logica, concettuale, costituzionale.

Per la Chiesa Cattolica ci si sposa esclusivamente per procreare, anzi, ci si accoppia solo per procreare.

L’amore tra due persone è tale solo in subordinazione a quello per Dio.

Sono stati fatti degli strappi alle regole (il matrimonio fra non-vergini, il battesimo a figli di non-sposati, la comunione ai divorziati, ecc) ma sono, appunto, strappi alle regole, ovvero sono estremamente mal tollerati dalla totalità e lasciati alla discrezione del singolo prete: quello che dice Papa Francesco - le sparate che vi emozionano e che vi piace condividere su Facebook - viene quasi sempre smentito dall’autorità vaticana.

E questo, se ti professi cattolico, ti deve star bene: è una religione dogmatica, fatta di comandamenti, norme. Non è un cesto di caramelle, non puoi decidere di mangiare solo quelle alla fragola e lasciare quelle al limone.

A maggior ragione, se sei omosessuale e ti professi cattolico, credo ci sia proprio un problema di incapacità di interpretazione del dogma: la Sacra Scrittura presenta le relazioni omosessuali come “gravi depravazioni” e nel “Catechismo” gli atti di omosessualità vengono dichiarati come “intrinsecamente disordinati” e per questo, pur non dovendo essere discriminate, le persone omosessuali sono chiamate alla castità e trattate come malate.

E tutto questo è abbastanza normale, trattandosi di un libro scritto più di duemila anni fa. Per quanto possiamo lasciarci andare a virtuosismi esegetici e giocare a interpretarlo a nostro piacimento, sono parole che ovviamente rispecchiano la società dell’epoca (che accettiamo o meno che la sua stesura sia avvenuta sotto divina dettatura) e la società dell’epoca era così: generalmente misantropa, particolarmente misogina, totalmente incoerente.

Il punto è: per un omosessuale ha senso accettare questa ovvietà in nome di una credenza?

Lungi da me addentrarmi nell’intricato discorso relativo, appunto, alla credenza, perché “il cuore conosce ragioni che la ragione non conosce” e se uno vuole credere a una vergine incinta non sarò io a discriminare cosa comanda il suo cuore (io credo che l’unico libro mai scritto da mano divina sia una raccolta di appunti che prende il nome di “Metafisica” e non permetto di essere giudicata per questo) ma sono davvero convinta che ci sia un grave problema che deriva dalla confusione dei due termini, “religione” e “spiritualità”.

Si può essere spirituali, si può credere che ci sia “qualcosa”, si può avvertire un’entità immateriale, anche senza aderire a una religione che, invece, prevede dei rituali e l’accettazione di dogmi.

La frase “sono credente ma non praticante”, relativa alla religione cattolica, è quanto di più concettualmente errato esista al mondo: la pratica è costitutiva di quella religione. Se credi al bue, all’asino, alla cometa e a Cristo, devi anche praticare perché è quello che ti comanda il tuo Dio.

So che è faticoso e dire “sono credente ma non praticamente” ti leva da tanti fastidiosi impicci, quali svegliarsi la domenica e andare a messa o fare all’amore solo per figliare o addirittura non trastullarti con il tuo augello in mano invano, ma fa anche di te un quaquaraquà.

Se sei cattolico, devi praticare e accettare quello che il tuo Dio ha scritto per te, sacrificando suo figlio per la tua salvezza.

Oh, sei tu che dici di crederlo, eh! Sei tu che, scusa la franchezza, scegli di crederlo.

E io, invece, credo che si creda a quello per mancata conoscenza di altre opzioni: il nostro cuore ha l’esigenza di pregare, di sperare, di credere, appunto, e sceglie di farlo con quello che gli viene inculcato fin da piccolo.

Perché è lì, perché è più comodo.

Ma ci sono molti modi per essere religiosi e  infiniti modi per essere spirituali.

Senza pretendere che una religione, con una sua struttura millenaria, modifichi la sua struttura per le nostre esigenze delle quali, con ogni evidenza, non siamo così così sicuri e sulle quasi non abbiamo riflettuto abbastanza.

Per questo, ogni tanto, vengono fuori queste polemiche sterili.

Perché ci incaponiamo senza riflettere.

Perché vuoi sposarti con rito cattolico, se sei gay?

Perché sei cattolico, se sei gay?

Ci hai pensato, prima di pretendere?

O è solo comodità?

O è solo capriccio?

O, e mi scuso, è solo ignoranza di altre opzioni?

Sai che ci sono religioni bellissime la cui chiesa non ha un proprio stato con una propria legislazione in cui può fare il cazzo che vuole, tra cui predicare castità e razzolare promiscuità? O predicare privazione e razzolare opulenza?

Sai che si può fare esperienza di enorme spiritualità anche solo passeggiando in un bosco dopo la pioggia?

Sai che puoi ricongiungerti con il divino anche solo leggendo, guardando, sentendo?

No, secondo me non lo sai.

Sappilo, allora.

Credilo, allora.