martedì 29 maggio 2018

Revolutionary Road






: la rivoluzione si può fare, eh.
Il “Quanto mi piacerebbe fare la rivoluzione!” di uno scontento non equivale al “Quanto mi piacerebbe avere le tette naturali!” di una piatta: questo è un desiderio irrealizzabile, perché la natura ha deciso così e dubito che le cose cambino, quell’altro no.
Possiamo rivoltarci, la storia è piena di rivolte: ci riuniamo in un gruppone ingestibile dalla autorità, ci portiamo dietro bombe artigianali e andiamo a Roma ad assalire il parlamento.
Si può fare.
Cioè, si potrebbe fare.
Se solo non avessimo (io per primissima) serie difficoltà a organizzarci in gruppi.
Se avete Whatsapp sapete di cosa sto parlando: se è quasi impossibile cercare una data che vada bene a tutti per una grigliata, figuriamoci per una rivoluzione.

Robespierre: “Oh, raga, allora il 2 giugno facciamo la rivoluzione?”
Giada: “No, eh, è il mio compleanno!”
Maniaco della cabala: “Mi dispiace ma io non mi muovo nei giorni pari!”
Mamma-bomber: “E chi mi guarda i bambbbine?”
L’influencer: “Ma là c’è il Wi-Fi?”
L’animalista ambientalista: “Ma come ci muoviamo? Io vengo solo se andiamo a piedi perché non sono un assassino, io non induco i moscerini al suicidio contro il mio parabrezza!”
L’integralista: “Ma l’autogrill è bio?”
 ~ Robespierre ha abbandonato ~

Se, però, siete davvero motivati e avete ben in mente per che cosa volete rivoltarvi, io ci sto.
Se, quando dite “IERI la democrazia è morta”, lo dite non tanto perché lo avete letto da qualcuno su Facebook ma perché ne siete convinti, raga, facciamolo.
Però, a onor di cronaca, la democrazia non è morta IERI.
Per quel che mi riguarda, la democrazia non era democrazia nemmeno quando è nata (e penso di essere una delle quattro persone meno democratiche del pianeta, perciò taccio).
Comunque, io ci sto.
Anzi, lo dico subito: se dovessero mettere in discussione leggi per me sacre, tipo la 194, io, se trovo qualcuno di serio che mi accompagni davvero e che non si limiti a mettermi un like, mi rivolterei. Materialmente, eh.
Perciò, quando volete, io chiudo Facebook e vengo con voi.
Ci INFORMIAMO BENE, decidiamo bene che cosa vogliamo rivoluzionare e partiamo.
G c’è.
Solo una cosa: non mettetemi in un gruppo “Rivoluzione” su Whatsapp, aggiornatemi una volta alla settimana via mail. E non azzardatevi a tediarmi con cinquanta messaggi al giorno. E scrivete in italiano. E non siate idioti. E leggete. E capite.
Ok, partiamo già di merda.

sabato 19 maggio 2018

Li amo tutti, anche se non sono royal!





: ho sempre adorato i matrimoni.
Tutti.
Quelli destinati a essere da sempre.
Quelli improvvisati ma desiderati.
Quelli razionali.
Quelli irrazionali.
Ma anche quelli per convenienza.
Anche quelli con le corna.
Anche quelli riparatori.
Anche quelli che si vede a occhio nudo che non supereranno l’anno.
Anche quelli per cui ti viene da chiedere “Ma ci avete pensato bene? Ma siete sicuri?”.
Ogni matrimonio, raga, è una figata.
Certo, se c’è l’amore è meglio.
(Quasi) tutto se c’è l’amore è meglio.
Se eterno, poi, champagne!
Però ogni celebrazione di unione fra adulti consenzienti a me sconfinfera.
Vedere due persone, qualunque motivo abbiano, che si stanno impegnando davanti a famiglia e amici, davanti a se stessi, davanti all’universo, che si stanno lanciando in un “per sempre” (a prescindere da quanto duri quel “sempre) per me rimane uno degli spettacoli umani più forti, emotivamente e concettualmente.
Cinico è bello (e se lo dico io!), se non ci si crede veramente.
Altrimenti cinico è triste.
E invidioso.
E banale.
E lo dice una che “per sempre” l’ha detto solo al Big Mac.

venerdì 18 maggio 2018

Concorsi cittadini





: concittadini, scusate: devo essere petulante. Ancora. Come sempre.
E spero apprezziate questo buttarsi nella fossa dei leoni perché, con argomenti come questo, uscirne vivi non è semplice. 
(Un giorno mi farò una risata quando qualcuno, con così tanta merda nel cervello da sbagasciargli il nervo ottico, non vedrà l’idiozia dei propri processi mentali. Ma quel giorno, purtroppo per voi, non è oggi.)
È giunta alla mia attenzione questa brillante trovata di RadioGold: il concorso “Piccolo Sportivo da Oscar” (che va avanti da mesi, anni, ma io non è che possa seguire proprio tutte tutte le cagate della città, eh: Batman era ricco e annoiato, io no!).
Il concorso consiste nel votare una piccola promessa dello sport, tramite sondaggio sul sito o coupon sul giornale, in base a nome, cognome, foto e sport praticato.
Io mi chiedo: è veramente necessario?
Abbiamo davvero bisogno di questo?
Già alle elementari, ‘sti poveri infanti, devono avere l’ossessione del successo virtuale?
Già da così piccini devono entrare in contatto con il “molti follower molto onore”?
Io dico di no.
Già romperei i coglioni se una cosa del genere fosse fatta “dal vivo”, tipo un torneo in cui si sfidano bambini che praticano sport differenti: come fai a mettere sullo stesso piano cose così diverse? Quello che vince, vince in base a cosa? All’applausometro?
Alle Olimpiadi non danno UNA medaglia d’oro per un motivo, eh: mettereste mai sullo stesso piano il nuoto sincronizzato col lancio del giavellotto? Non rispondete, va, ché ho paura.
Figuriamoci, comunque, se si tratta di far vincere un bambino con un voto virtuale. In base alla simpatia, poi? O in base alle conoscenze?
Non ha davvero alcun senso, per me.
Perché, da buona leopardiana, mi immedesimo in chi non vincerà, più che altro.
“Mamma, perché non ho vinto?”
- Non lo so, GianPoveraccio. Forse non conosciamo abbastanza persone. Forse non abbiamo avuto un forte impatto.
“Ah!”.
E con quell’”ah”, inizierà un processo di auto-struggimento.
Che culminerà nella droga.
Che terminerà col suicidio.
Ok, scusate, sono troppo figlia degli anni ‘80.
Però, prima della parola “droga”, ero seria.
Un po’ meno leggerezza, raga, con ‘ste cose.
Se anche chi ha l’onere/onore di dare lustro alla società tramite l’informazione fa lo scemotto, allora non abbiamo proprio speranze.
Almeno nelle piccole realtà, come la nostra, stiamo un po’ attenti.
Siamo (un po’) intelligenti.
Siamo (un po’, eh) lungimiranti.
Che cazzo.

Pippo-ne finito.
So che sono spessa.
So che, anche solo buttando l’occhio al numero di parole, faccio scattare automaticamente il “Fattela ‘na risata!”.
Ma ci sono cose che mi toccano profondamente.
Quando si fa qualcosa fingendo che sia per i bambini e invece è per l’ego degli adulti, per esempio.
Oddio, sarò mica una malcelata mamma-bomber?
Naaa.
Mi dispiace non dispiace.

giovedì 17 maggio 2018

Dall’otorinolaringoiatra (quanto mi piace ‘sta parola?)







: sono andata dall’otorinolaringoiatra.
E menomale che c’è il T9 se no ci avrei messo un’ora a scriverlo.
Premessa: io ho smesso di fumare il 6 marzo 2015. Da quel momento, complice il fatto che i miei organi di senso siano molto sviluppati, soprattutto in grandezza, capto odori a distanze considerevoli.
Non ho solo un naso enorme, funziona anche molto bene.
Questo è una gioia quando ti trovi in un roseto e un handicap quando sei in mezzo agli umani.
Così, a sentimento, indovinate in che percentuale, nel quotidiano, mi capita di trovarmi in un roseto?
Ecco.
Per la maggior parte del tempo, avere un naso portentoso è veramente un incubo.
Comunque, dall’otorinolaringoiatra:

“Respiri bene?”
- Uhm, sì!
“Ma sei sicura?”
... Sinceramente, essendo già una carretta, non avevo voglia di aggiungere dei sintomi alla mia già precaria situazione. Però insisteva, perciò:
- In realtà, ultimamente, non respiro più col naso, solo con la bocca.
“E per forza: hai un’ipertrofia dei turbinati inquietante!”

Cioè, raga, mi avete intasato il naso.
Con i vostri aliti e ascelle ruggenti, mi avete infiammato il mio gioiellone.
LAVARE, vi dovete LAVARE.
Soprattutto se fate cose che richiedono il contatto con gli altri, come ballare in coppia, andare in treno, parlare, vivere.
Ma, poi, non vi sentite sudici come i bagni della stazione?
Non vi accorgete di puzzare di cadavere?
Non vi rendete conto che al vostro passaggio appassiscono i fiori?
Ma come fate ad accoppiarvi?
... ah, già.




Il giorno più brutto tra tanti giorni brutti






: un anno fa, un giorno fa, stavo vivendo il giorno più brutto della mia vita.
E vuol dire molto, eh, parlando di Meredith Grey (cit).
Me l’ha detto l’Accadde Oggi perché io, chissà perché, mi ricordavo fosse il 21 maggio.
Mi regalo un post a cuore aperto, già che non lo faccio mai.
A chi voleva farmi fare la fine di Chiara, che ci ha messo la faccia, la testa e il cuore, e poi è finita in depressione, o, peggio, della Cantone, vorrei dire che... vabbè, un cazzo.
Vorrei dire un cazzo, raga.
Qualche mese fa un gruppo di miei concittadini ha seviziato un disabile. Che cazzo dovrei dire?
Che cazzo potevo aspettarmi, da una città che ha il triste primato di essere la più infelice d’Italia?
Intelligenza?
Comprensione?
Dai, su.
Da quel giorno c’è stato un inception di merda che è culminato addirittura con un lutto.
Un gatto nero che mi si è attaccato ai coglioni e ci è stato per un bel, bel, po’. 
Dal punto di vista professionale, soprattutto. Ma non ne parlerò, perché sarebbe pubblicità negativa per alcune realtà alessandrine che stanno molto a cuore e non mi va: sarà il karma a fotterli, non io. Annegheranno nella loro merda, non in quella che gli butto addosso io.
Poi sono successe cose che mi hanno semplicemente scottato.
Ma è stata una bella scottatura, eh.
Ci ha messo un bel po’ a guarire.
E lo dico conscia della soddisfazione che potrei dare a chi mi ha scottato: se uno ti vuole fare male apposta e sa che te l’ha effettivamente fatto, beh, ci gode. Perché, il fighissimo, gode solo di queste cose. Non ha molto altro. Non ha la figa, soprattutto. O ce l’ha un po’ così, marcia, per dire.
Ma non importa, gliela do volentieri vinta: sì, mi hai fatto abbastanza male.
 Perché quando qualcuno che reputi amico o che ti conosce da una vita ti sputtana alle tue spalle e tu lo becchi grazie a controlli incrociati che manco a Cluedo, fidati, brucia.
Quando non ha nemmeno i coglioni o la volontà di chiederti scusa, brucia.
Quando devi usare sesto senso e intelligenza per stanare un amico che ha fatto l’infame, beh, è orribile.
Non conoscevo la sensazione perché sono stata fortunata per trent’anni, avendo concesso la mia amicizia a veramente pochi individui.
Poi è capitato.
Non che fossero amici, eh.
Erano più “amici”, ma comunque più che conoscenti.
Vabbè, pazienza.
È andata.
È andato anche tutto il resto.
L’impotenza, la rabbia, il senso di frustrazione per non essere né capita né cagata.
Resta una sola cosa, una consapevolezza, che mi tengo per me.
Credo di avere ancora un po’ di ricordi da condividere e lo farò.
Perché di esperienze negative ne ho avute, come tutti, ma questa è stata quella che mi ha insegnato (inculato) più di tutte: vale la pena di riproporre le mie sensazioni dell’epoca.
Perciò preparatevi con gli screen, ché mi sa che sarò ancora un po’ patetica.
Tanto anche da patetica, in tilt emotivo o cerebrale, in coma, sotto morfina, con un piccone conficcato in testa, il culo concettuale ve lo faccio lo stesso.
Con modestia parlando, eh.

martedì 15 maggio 2018

Ma cosa suggerite agli imbecilli di farsi i cazzi propri? Li volete fra i coglioni per cent’anni?







: da un post di qualcuno su Facebook si possono evincere molte cose:
- se conosce la grammatica della lingua in cui si sta esprimendo;
- in generale, se sa padroneggiare la lingua in cui si sta esprimendo;
- se reputa importante il corretto utilizzo della lingua in cui si sta esprimendo;
- se apprezza una specifica fetta di realtà;
- se è ignorante riguardo a una specifica fetta di realtà;
- se è ignorante riguardo a molteplici fette di realtà;
- se usa Facebook per cose frivole;
- se usa Facebook per cose meno frivole;
- se è "intelligente", cioè se è abituato a intelligere;
- se è in grado di muoversi nella giungla del uebbe senza farsi fottere dalle fake news;
- se è un ladro di proprietà intellettuali;
- se segue i trending topics;
- se, pur di acchiappare un mipiace, è disposto a mettere in piazza molto di sé;
- se, pur di acchiappare un mipiace, è disposto a modificare la “realtà”.
Si possono capire tutte queste cose da un post di qualcuno su Facebook, in linea di massima.
Ciò che non si può capire, da UN post di qualcuno su Facebook, è:
- se puzza;
- se mangia;
- se va di corpo;
- se scopa;
- se non ha un cazzo fa fare;
- se ha troppo da fare;
- se è una buona persona;
... e altre cose così.

Perché UN post di Facebook è, beh, UN post di Facebook.
La giornata è fatta di 24 ore. Un post di Facebook, per quanto sia strutturato e ragionato, lo scriviamo in massimo un’ora.
Perciò non lanciatevi in interpretazioni, raga.
Non capite un cazzo di niente, manco con le figure, pensate davvero di essere così estremamente empatici?
Fatevi i cazzi vostri, da bravi.
Così almeno campate cent’anni.
...merda.
Non fatevi i cazzi vostri, raga cari.
Fatevi i miei, fateveli tutti, siate adorabili puttanelle.
Perché sopportarvi per cent’anni anche no.



venerdì 11 maggio 2018

Buongiorno, eh!





: è venerdì.
Sono le ore 10,20 a.m. (d’la mateina).
Sono in un negozio dove ho una certa confidenza, nel senso che chi ci lavora è mio parente stretto, strettissimo.
Sono dietro a una colonna che rifletto sulla fallibilità della mente umana e aspetto che il mio parente stretto strettissimo serva una signora che si trova davanti alla cassa.
Mi sposto leggermente e la signora mi vede. Mi squadra come se avesse visto un picchio becco d’avorio.
Io sbadiglio (con la manina davanti, eh!) e mi dice, in tono di rimprovero: “Buongiorno, eh!”. 
La butto sul ridere per capire se sia seria o meno: -Beh, mi sono alzata alle otto, l’equivalente dell’alba per me!
Lei, sbuffando: “Ah, andiamo bene!”.
Io, per volermi giustificare per non so quale motivo, le dico “Eh, signora, sa, io sono un animale notturno!”.
Così lei ribatte una cosa che mi ha scioccata (e scioccare me, raga, rasenta l’impossibile): 
“VEDI UN PO’ TU, MIO FIGLIO È SVEGLIO DALLE SEI!”, facendo il gesto con le tre dita che sventolano di fianco alla tempia, come dire “non so se mi spiego!”.
Io riesco a risponderle solo un timido “Menomale che c’è suo figlio a salvare l’economia, signora!”.
E lei, borbottando e senza salutare, esce.
Ora.
ORA.
Sei in un negozio che fai shopping.
Non sei in farmacia.
Non stai salvando vite all’infantile.
Ma, se anche fosse, se anche l’umanità necessitasse della tua esistenza come di quella di Leibniz, che cazzo vuoi?
Che cazzo di voglia hai al mattino di rimproverare persone a caso che non conosci?
Rimproverarle, poi, perché sbadigliano alle dieci del mattino e, quindi, tu deduci che siano delle fancazziste.
Ma chi sei?
Ma come ti permetti?
Io, fino all’anno scorso, mi svegliavo alle 4,45. Non mi sono mai sentita Batman (anzi sì. Ma io un po’ lo sono, Batman!).
E se qualcuno si fosse vantato con altre persone di questo e io l’avessi saputo, mi sarei alzata ancora prima.
Per prenderlo a cinghiate.
Quindi.
O figli laboriosi,
O figli salvatori di questo nostro decadente universo,
Tenetele a bada le vostre orgogliose mamme bomber.
Perché non sempre ho sonno.
Non sempre ho solo la forza di sbadigliare.
Talvolta sono bella attiva.
Per prenderle a cinghiate.

giovedì 10 maggio 2018

Cono o coppetta?






: l’altro giorno sono andata a piedi in palestra.
Nel tragitto, mi sono mangiata una banana.
Ecco, una donna non può portarsi alla bocca alimenti di forma fallica pubblicamente, senza conseguenze.
Non può mangiare una banana, non può mangiare un gelato nel cono, non può mangiare un lecca-lecca, ecc.
Cioè, non è che non possa.
Può, ma deve subire fischi, commenti, ecc.
Perché quei commenti arrivano, eh.
Che tu sia sexy come un lampione o giovane e arrapante come Nonna Papera, ci sarà sempre un cafone che ti omaggerà del suo “Apperò!”.
Il punto è: tutto questo mi urta così tanto? Tanto da prendere il gelato nella coppetta? Tanto da spezzettare una banana con le mani per non addentarla?
No.
Me ne fotto alla grande.
Il cafone vuole interpretare?
Vuole far finta che, nella sua mente, il mio cono sia il suo cono?
Che lo faccia. È la sua, di mente.
Vuole, andando oltre, estendere la sua immagine alla realtà con un fischio, un “apperò!”, palesando il suo pensiero?
Che lo faccia.
Questo non deve urtarmi, non deve urtarci.
Perché, se ci sentiamo urtate (ma anche urtati), ha vinto lui, hanno vinto loro.
Il mondo si divide in chi mangia il gelato nella coppetta e chi lo mangia nel cono.
Dobbiamo essere liberi di sentirci persone da gelato nella coppetta o gelato nel cono.
A casa o per strada.
È questo che sbaglia il femminismo estremista, il punto di vista.
Non è il carnefice a dover cambiare, il mondo non è perfetto. È la vittima.
Io, il gelato nella coppetta, con quel cucchiaino da becco di un passerotto, non l’ho mai sopportato.
Io, il gelato nella coppetta, non lo mangerò mai.
Passibile di doppio senso o meno.