martedì 27 aprile 2021

Indovina chi non viene a cena

: i ristoratori sono la categoria che è stata presa più per il culo da un anno a questa parte.
Ci sono categorie che sono state vergognosamente dimenticate, gravemente danneggiate, ma la beffa è stata riservata di gran lunga ai ristoratori.
Prima li fanno chiudere.
Poi li fanno riaprire, ma col plexiglas (che poi ha una o due s?) sui tavoli.
Poi li fanno richiudere.
Poi li fanno riaprire, ma con massimo quattro persone per tavolo e solo a pranzo.
Poi li fanno richiudere.
Poi li fanno riaprire, ma con i dovuti metri di distanza tra i tavoli - che più che un ristorante devi avere un ippodromo - e solo a pranzo.
Poi li fanno richiudere.
Poi li fanno riaprire, ma solo all’aperto, però, hey!, anche a cena, anche se è aprile, anche se ci sono dieci gradi.
E, in più, piove.
Governo ladro, in questa zona gialla quanto piove!
Sembra quasi pioggia dorata, data l’atmosfera di latrina in cui stiamo vivendo.
La necessaria lotta al magna-magna, così tipicamente nostro, si è però attuata nel più materiale dei modi: si sta cercando di togliere il cibo agli italiani (e siamo nel terreno della cultura, eh, non razza!).
Agli italiani.
Quelli che, pur de magna’, si sono inventati l’apericena.
Quelli che, quando hanno voglia di vedersi, non se lo dicono apertamente ma si chiedono “Ci prendiamo un caffè?” o “Ci mangiamo una pizza?”.
In altri momenti della nostra storia avremmo fatto una rivoluzione, avremmo fatto saltare un bel po’ di teste. Ma ora, per quanto poco abbiamo, è comunque troppo da perdere.
Perciò, staremo qui fino a quando quel poco sarà così misero da essere disposti a sacrificarlo.
E non manca tantissimo, eh.

venerdì 16 aprile 2021

La mia Covid Experience



: “Come è possibile che siamo ancora piazzati così dopo un anno?”
“Come è possibile che, per esempio, in Russia vadano a teatro, ai concerti, in discoteca?”
“Perché in Italia non riusciamo a tornare a una vita normale?”
Beh, prenditi il Covid e la intuisci, quella verità che ama celarsi.
È solo entrando nel sistema che si colgono le falle del sistema.
E il nostro sistema, per quanto non vogliamo ammetterlo perché molte volte ne traiamo giovamento, è un colabrodo.
Siamo un popolo di incompetenti, governati da incompetenti, che si affidano, quando hanno bisogno di qualsivoglia consulenza (medica, economica, ecc), ad altri incompetenti.
Dopo più di un anno, non abbiamo ancora capito come gestire questa pandemia. Come comportarci, noi tutti, in questa pandemia.
La nostra colpa, di noi comuni mortali senza potere o voce in capitolo, è quella di essere ignoranti: non sappiamo le risposte perché non sappiamo formulare le giuste domande; non sappiamo (né vogliamo) informarci perché è più comodo e fa meno paura. Non sappiamo ancora come muoverci in caso di Covid. Dopo più di un anno di Covid.
La loro colpa, di tutti “loro”, è quella di essere degli incuranti delinquenti, che permettono la diffusione di precauzioni fallaci, cure fallaci, protocolli fallaci e metodi informativi fallaci.
Basti pensare, banalmente, per partire proprio dal principio, ai termometri - con cui si dovrebbe misurare il sintomo principe di questo virus bastardo- che sono spesso (perché mi hanno insegnato a non utilizzare il termine “sempre”) non funzionanti: in ogni luogo pubblico che io abbia frequentato, al supermercato come a lavoro, la mia temperatura ha sempre oscillato dai 33 ai 36 gradi. Un cadavere, praticamente. Però mi è stata misurata, quindi la coscienza è salva!
Basti anche pensare, poi, all’utilizzo dei tamponi rapidi per accedere a qualsivoglia struttura (ospedali, soprattutto).
I TAMPONI RAPIDI. 
Un tampone rapido su due dà un falso negativo.
Ed è ovvio, eh.
Perché, per essere efficace, non può essere effettuato né troppo presto né troppo tardi rispetto al contatto con un positivo: c’è solo un ristretto lasso di tempo in cui funziona.
Ma, hey!, è rapido.
E, soprattutto, costa poco. Ai privati e allo Stato.
Per sapere se si ha il Covid c’è solo un modo, che non è rivolgersi a Natuzza la mistica come non è il tampone rapido: è il TAMPONE MOLECOLARE.
Qual è, però, il problema?
Anzi, i problemi: uno, che ha bisogno di almeno due giorni per essere “lavorato”.
In quei due giorni, un buon cittadino dotato di sale in zucca dovrebbe chiudersi in casa. Perché, se fai il tampone lunedì mattina e poi lunedì pomeriggio vai a leccare le narici dei tossici in stazione, forse, l’esito che ti arriverà mercoledì potrai usarlo giusto per pulirti il culo.
Due, che costa tanto. A un privato, dai 75 ai 200 euro. E, perciò, puntiamo a farne il meno possibile. Noi, inteso sia come “noi comuni mortali” sia come “noi Stato”.
E, attenzione, un molecolare da privato puoi farlo solo senza sintomi (quello che fanno negli studi non ha valore diagnostico e, in ogni caso, se hai la febbre non ti fanno entrare!). Se hai i sintomi, devi aspettare di entrare nel “sistema” per averlo gratuitamente.
È, insomma, un cazzo di cane che si morde la coda.
Io ho preso il Covid per un esito errato di un tampone rapido di una mia cara amica.
O, meglio, il motivo a monte, ovvero il motivo per cui lei (con grande senso civico e di responsabilità) ha fatto il tampone, è un altro. Che non esplicito, perché ha a che fare con le creature. Mi limiterò a dire che, quando ci scagliamo contro la didattica a distanza (con ragione o meno) dei bambini di età inferiore agli undici anni, ricordiamoci sempre che, per quanto loro non ne possano nulla, hanno molto spesso dei genitori deficienti che li costringono ad andare a scuola con la febbre. Per quanto elogiamo i nostri angioletti, che quando sono con noi o con i nonni si sforzano teneramente di tenere la mascherina, noi non siamo con loro a scuola e non sappiamo quanto difficile sia gestirli tutti insieme. E qui mi fermo.
Ho iniziato a sviluppare i sintomi il primo di marzo e sono entrata in quel girone dell’inferno chiamato ASL, poi SISP, poi STOCAZZ.
Non ho avuto, però, la fortuna di farmi accompagnare da una mente eccelsa come Virgilio, ma dal mio medico della mutua che, dopo più di un anno di pandemia, non aveva ancora dimestichezza con il “sistema” e non è stato in grado di prenotarmi i tamponi e suggerirmi una cura adeguata (io non sono, per così dire, un torello: ho i miei pasticcetti a livello di sistema immunitario, di cuore, circolazioni varie, ecc.).
Il mio medico ha totalmente sottovaluto il “problema Covid”. Cosa che mi aspetto da Peppino il folle commentatore negazionista ma non mi aspetto certamente da un servo della scienza che ha fatto il giuramento di Ippocrate.
E questo, oltre ad avermi fatto incazzare per tutta la mia quarantena, mi ha fatto anche molto sorridere: quando gioiamo per la candidatura del personale sanitario italiano al premio Nobel, ricordiamoci che non verranno premiati i poveri infermieri che hanno lavorato ventiquattr’ore al giorno tutti giorni lontani dalle loro famiglie ma TUTTO il sistema sanitario.
Anche i medici di famiglia che, comodi nel loro studio, non si sono nemmeno sbattuti a informarsi sulle procedure.
Anche i direttori delle strutture, che spacciavano qualunque morte come morte per Covid, per prendere le sovvenzioni.
C’è un bel cazzo da gioire, eh, raga.
Comunque, entrata nel sistema il primo di marzo, ho avuto la possibilità di fare un tampone molecolare l’undici. Esito, ovviamente, positivo.
Poi ne ho fatto un altro una settimana dopo. Esito, ancora, positivo. E siamo al 18.
Avrei voluto un altro molecolare ma non mi è stato concesso perché, dopo 21 giorni, si è comunque dichiarati guariti. Avendo rotto abbastanza i coglioni ho ottenuto un rapido che, ovviamente, al 29 di marzo, ha dato esito negativo.
Poiché la scienza, essendo questo un virus giovane, non ha ancora tutte le risposte (dopo 21 giorni, infatti, non è certo che si è guariti. “Si pensa”, “si ritiene”, che non si sia più contagiosi e che quindi non ci sia la necessità di altro tampone. Ma “pensare” e “ritenere” non equivalgono a certezza.) mi sono fatta a mie spese un molecolare. E, dal dieci di aprile, posso considerarmi guarita e con una coscienza pulita.
Sono negativa, che non è più solo la mia proverbiale condizione esistenziale ma è la mia attuale condizione virologica. Attuale fino a quel giorno, almeno.
Per la scienza e per la legge italiana, però, la libertà di circolare deve essere accertata tramite una lettera dell’Asl che, in alcuni fortunati casi, viene mandata esattamente allo scadere del 21esimo giorno di quarantena, mentre nel mio caso -strano!- ci ha messo una settimana.
È per queste falle nel sistema che si ha più paura dell’iter legato alla malattia che della malattia stessa. Soprattutto se non sei un lavoratore dipendente, col gentil deretano parato dalla mutua.
È per questo motivo che, dopo più di un anno in cui c’è in giro un virus che sembra un’influenza (ma dovrebbe esserci almeno chiaro che, se è un’influenza, è un’influenza bella tosta!), se ci viene la febbre pensiamo ancora “Avrò preso freddo!”. AVRÒ PRESO FREDDO. DOPO UN ANNO DI PANDEMIA.
È per questo motivo che prendersi il Covid in Italia, nella migliore delle ipotesi, è una grana.
Perché siamo un popolo di incompetenti, governati da incompetenti, che si affidano, quando hanno bisogno di qualsivoglia consulenza (medica, economica, ecc), ad altri incompetenti.