domenica 27 dicembre 2020

Vaffanccino



 : per poter parlare di vaccini con una certa credibilità bisogna:

- avere una formazione scientifica (non un semplice otto in biologia al liceo, eh!);

- avere una specializzazione nel campo;

- sapere cosa si intende per “vaccino” e tutto ciò che ne concerne: il perché dell’esigenza di produrne uno, i tempi per le varie sperimentazioni, i trial clinici, ecc.

- sapersi destreggiare tra le orde di articoli, informazioni, conclusioni, che si hanno a disposizione;

- aver accesso a fonti attendibili, che non tutti hanno a disposizione;

- saper cercare i dati;

- avere una buona padronanza dei dati;

- conoscere, bene, tutte le malattie per le quali esiste un vaccino: la loro incidenza sulla popolazione, ecc.

- aver chiara la distinzione tra caso specifico e generalizzazione: una cosa è il concetto “vaccino”, altra sono i casi particolari;

- avere, quindi, ottima capacità di contestualizzazione al fine di evitare paragoni di merda, per esempio non pubblicare la foto di Elvis Presley che fu testimonial del vaccino per la polio o la foto del bambino con il vaiolo.

- eccetera.


Pochissimi, fra le persone che conosco e, soprattutto, che ho fra i contatti di Facebook, soddisfano tali requisiti.

Pochissimi, fra le persone che conosco e, soprattutto, che ho fra i contatti di Facebook, sono in grado di non aderire acriticamente a una certa linea di pensiero come pecore al pascolo guidate dalla paura che un cane pastore gli morda il culo.

Io stessa, per esempio, non sono tra quelle persone.

La maggior parte di noi, pure.

Perciò, insomma, tappatevi la bocca e mozzatevi le dita, ché non sapete un cazzo e nemmeno potrete auspicare a saperlo.

giovedì 26 novembre 2020

La mano di Dio per noi agnostici



: "Era il Dio del calcio MA era un cocainomane, un evasore fiscale e picchiava la compagna".

 "Era un cocainomane, un evasore fiscale e picchiava la compagna MA era il Dio del calcio".

Dipende da cosa ci preme svalutare attraverso quel MA.

Dipende da cosa siamo disposti a tollerare in favore di qualcosa che, per noi, vale di più.

Dipende da quanto e cosa siamo disposti a giustificare.

Dipende, anche, un po' dal tipo di persona che siamo.

Io, per esempio, sono solita dividere quello che è l'artista da quello che è l'essere umano.

Preferisco farlo quando, più che di arte, si parla di intelletto, ma mi capita spesso di posizionare quel MA prima dell'abilità della persona, se è un'abilità straordinaria.

Per esempio, si dice che Michael Jackson fosse un pedofilo. Ammesso che fosse vero, questo potrebbe sminuirlo come Re del Pop?

Che cazzo di domanda: certo che no!

Ma potrebbe sminuirlo come persona? Eh, dipende da noi e dal peso che ha per noi l'immoralità dell'essere un pedofilo.

Io, forse per l'amore viscerale che provavo per Michael Jackson, non ho mai creduto che fosse un pedofilo e quando è morto ne ho fatto una malattia e l'ho celebrato per mesi. Non solo ho celebrato l'artista, ho celebrato proprio l'essere umano.

Se avessi creduto all'accusa, alla sua morte, non avrei sprecato lacrime e commozione: mi sarei limitata a dire "Era davvero un bravo performer." Punto. Perché, per me, la pedofilia non ha scusanti, per quanto sia una condizione patologica: posso riconoscere la tua abilità ma, abbi pazienza, il post strappalacrime non te lo dedico.

Sarebbe sempre cosa buona e giusta dividere l’artista dalla sua arte ma, soprattutto quando entra in gioco un sentimento di appartenenza, non  sempre è facile e non sempre è possibile.

Ieri, e state continuando oggi, voi non avete celebrato "Maradona calciatore", voi avete celebrato "Maradona uomo". 

E ci sta ma, appunto, dipende.

Dal tipo di persona che celebrate.

Dal tipo di persona che siete.

A me, il tuo saper fare le piroette con la palla in mezzo ai piedi non basta per elevarti a Dio. E, soprattutto, non mi basta per abbuonarti l'essere violento, il seminare figli in mezzo mondo, ecc.

Riconosco il tuo essere un gran fenomeno ma mi fermo lì, non mi consumo le papille a forza di leccarti il culo: non vali, per me, come uomo.

E nemmeno vale così tanto la tua arte perché 1) non sono napoletana e questo fa tanto, se si parla di idolatrare Maradona e 2) non sono innamorata del calcio: mi piace guardarlo ma non mi scuote l'anima.

Farei più fatica a non mescolare uomo e “arte” con Aristotele, però: se fosse morto all'epoca di Facebook, io probabilmente mi sarei uccisa avviando una diretta, perché non solo avrei celebrato anche l'uomo e non meramente il filosofo, ma mi sarei anche chiesta come sarebbe stato possibile continuare a vivere in un mondo senza di lui; l'essere testa di cazzo di Aristotele passa davvero in secondo piano rispetto a ciò che ha donato all'umanità.

Per me.

Perché, appunto, dipende da che tipo di essere umano scegliamo di celebrare.

Da che tipo di essere umano scegliamo di essere.

martedì 17 novembre 2020

ASLRRETA

 



: per lavoro, ho dovuto prenotare una decina di test sierologici all'ASL, test gratuiti perché richiesti da personale non docente che, per poter iniziare a lavorare nelle scuole, deve avere esito negativo.

Dieci chiamate, dieci procedure diverse. 

E prima: "Serve la mail di conferma!".

E poi: “Assolutamente non mandi mail che intasa il sistema!".

E prima: "Mi servono solo i dati di chi si sottopone al test!".

E poi: "Deve darmi anche i suoi dati!".

E prima: "Ma è sicura di aver fatto il numero giusto?".

E poi: “Non ci sono altri metodi per prenotare il sierologico per le scuole, questo è l'unico numero esistente!".

Ecc.

Adesso ho dovuto chiamare per l'undicesima volta e, dopo aver atteso 40 minuti, la conversazione è stata la seguente.

- Buongiorno, sono del XYZ, ho prenotato presso di voi una decina di test sierologici e...

"QUI NOI NON PRENOTIAMO TEST SIEROLOGICI, NON è POSSIBILE CHE ABBIA FATTO QUESTO NUMERO!"

- Le assicuro che il numero è questo e che ho sempre prenotato qui ma non importa perché io volevo solo...

"NON è POSSIBILE! AVRà MANDATO LA MAIL A XXX!"

- Le dico di no, signora, ma, ripeto, non è importante adesso perché adesso ciò che mi serve è...

"QUESTO è IL PUNTO INFORMATIVO COVID!!!"

- Un'informazione. Adesso voglio solo una cazzo di informazione!"

"AH, PREGO, MI DICA! E COMUNQUE NON è POSSIBILE CHE CI ABBIA CHIAMATI PER PRENOTARE TEST SIEROLOGICI!"


Ecco come farmi sguinzagliare la bestia, lo spirto guerrier ch'entro mi rugge.

"Non è possibile che...”.

Ecco, quando mettono in dubbio quello che dico utilizzando la formula "Non è possibile che...", come a volermi smascherare ma al contempo mascherare la propria incompetenza, ecco, lì mi incazzo.

Perché in questo momento storico chiamare il centralino dell'ASL è come chiamare il centralino della CIA e chiedere delucidazioni sull'area 51.

Perché noi comuni mortali non sappiamo un cazzo e non c’è verso di capire il criterio per non annegare in questo mare burrascoso di informazioni contraddittorie.

Perché anche quando siamo certi di ciò che facciamo, arriva l’incompetente che ci mette in dubbio.

Perché siamo un paese di merda che non riesce a progredire: negli uffici pubblici manteniamo ancora le cariatidi con la demenza senile e, quando assumiamo, assumiamo dei deficienti.

Perché non è la pandemia, è la genetica: facciamo schifo al cazzo.

Siamo marci a tutti i livelli.

E, cara impiegata, l’unica cosa “NON POSSIBILE” è farti resuscitare dopo che mi sono cibata dei tuoi organi interni, dissetandomi con le provette dei test che ho prenotato chiamando a quel cazzo di numero.

venerdì 6 novembre 2020

Di novembre, il sei

 


: sarei la stessa persona se avessi vissuto diversamente il sei novembre del ‘94?

Se quella domenica mi fossi svegliata a casa mia, al Cristo, e non dai miei nonni, in viale Milite Ignoto, per esempio.

Senza quell’ingombrante esperienza nel mio bagaglio, sarei la stessa?

Sicuramente vivrei i primi giorni di novembre in maniera molto diversa.

Sicuramente i miei sogni sarebbero meno movimentati o, almeno, non così impetuosi.

Perché non puoi nemmeno immaginarlo, quell’impeto, se non l’hai vissuto.

La potenza dell’acqua la devi toccare, ti deve investire, per riuscire a fartene un’idea. La tua mente non può inventarsela.

Così come la sensazione di camminare in un fiume in piena coi vestiti addosso. Quell’attrito, quella forza attanagliante.

Così come quell’odore, quell’odore di fango e benzina, che ti entra dal naso e ti arriva allo stomaco.

Così come quel silenzio rotto solo dalle sirene.

Così come l’essere salvati, tratti in salvo.

Così come gli occhi di chi ti credeva persa per sempre.

Sarei la stessa, certo.

Stessa tendenza a pormi domande senza risposta.

Stesso petulante patrimonio genetico.

Ma non avrei questi ricordi.

Per questo, finché il mio cervello terrà botta, io, ‘sto giorno, lo voglio celebrare.

Io, ‘st’alluvione, lo voglio ringraziare.

giovedì 5 novembre 2020

Zona rossa

 



: i primi di novembre sono quei giorni in cui la mia emotività, già normalmente pressante, si fa quasi invalidante.

Ieri, dopo che sono state assegnati i colori delle zone e comunicate le nuove ridicole misure, mi si è stretto il cuore a leggere i post di tutti i commercianti, che comunicavano che oggi, ancora oggi, sarebbero stati aperti.

L’aggrapparsi a un giorno in più fa riaffiorare in me ricordi che bruciano ancora.

E il fatto che si debba quasi essere riconoscenti, per questo giorno in più che sa di presa per il culo, è qualcosa che mi fa soffrire.

Soffrire, incazzare e, soprattutto, inquietare.

Mi inquietano, le versioni “light”.

Perché la Coca-Cola fa male, è vero.

Ma la Coca Zero è subdola: ti uccide pulendoti la coscienza con l’acido.

Questo lockdown “light” e questa penna magica, che ha colorato le regioni senza né sentimento né ragione, non hanno un senso.

E io ci vivo, per il senso.

E io ci muoio, dentro, molto spesso, per il senso.

Qui di senso non ce n’è.

C’era, un tempo, protetto dalle parola “tutela” e “precauzione”.

Ora no.

Ora è un circo senza spettacolo, solo animali domati con frusta e sangue.

E mi dispiace che non venga posto il dubbio razionale.

Solo servile accettazione o, al contrario, improduttiva indignazione.

Sono molto, molto, dispiaciuta.

Per noi, tutti.

martedì 20 ottobre 2020

Priorità


: il neo-sindaco di una cittadina qua vicino si è subito dato da fare per risolvere le questioni pregnanti ed esistenziali che tolgono serenità ai cittadini e che impediscono loro di esplicitare tutte le funzioni vitali, sia a livello psichico che fisiologico: rimettere il crocifisso negli uffici comunali.

Che capo carismatico!

Che avanguardista!

E che uomo: ci vogliono i coglioni per ripristinare cotanto “simbolo della tradizione e dell’identità nei secoli”!


Nel senso che ci vogliono proprio i coglioni.

Anche uno solo: ci vuole proprio un coglione.


: il neo-sindaco di una cittadina qua vicino si è subito dato da fare per risolvere le questioni pregnanti ed esistenziali che tolgono serenità ai cittadini e che impediscono loro di esplicitare tutte le funzioni vitali, sia a livello psichico che fisiologico: rimettere il crocifisso negli uffici comunali.

Che capo carismatico!

Che avanguardista!

E che uomo: ci vogliono i coglioni per ripristinare cotanto “simbolo della tradizione e dell’identità nei secoli”!


Nel senso che ci vogliono proprio i coglioni.

Anche uno solo: ci vuole proprio un coglione.

martedì 13 ottobre 2020

21 non più 21

 


: ho quel pallino lì, dell’ossessiva ricerca della motivazione, dell’intenzione, di ciò che muove.

Nelle “cose umane”, eh, senza tirare in ballo il Divino o il fine ultimo.

Non credo al caso, nelle cose umane.

Non credo al “perché sì!” o al “perché no!”.

C’è un cazzo di motivo per cui pensiamo, diciamo e facciamo.

La mente umana non funziona ad minchiam: è mossa, salvo patologie, da dei bei “perché” giustificabili, più o meno coscientemente.

Questo, almeno, è quel che credo (adesso).

Per esempio, il lapsus.

Dio, come mi esalta il lapsus!

Perché dico “albero” quando vorrei dire “sedia”?

L’adorone che mi prende. Ma non è questa la sede.

Altro esempio, materiale, banale, quasi triviale (che col lapsus c’entra zero): perché si possono invitare massimo sei persone a casa, come misura di contenimento Covid?

Perché proprio sei?

C’è un motivo, eh.

Non è che quattro coglioni si siano seduti a un tavolo e, tipo tombola, abbiano convenuto che il sei fosse un numero adatto.

Lo stesso per gli invitati a una cerimonia: trenta.

Cioè, perché proprio trenta?

Ugualmente per gli orari da rispettare: dalle 21 non si possono più consumare bevande in piedi.

Come mai?

Da dove sono tirati fuori, ‘sti numeri?

Ci saranno dei calcoli sotto, degli studi, delle prove, una logica.

Non è che uno dica:

“Oh, Giuse, che numero ti piace?” 

- Mah, non so, gli anni di Cristo meno tre! Trenta!

“Ok. E a te, Roberto, che numero piace?”

- Boh, il sei, ché se lo ripeto tre volte davanti allo specchio non c’ho bisogno del Cialis.

Cioè, non succede così.

Ci sono dei motivi, giustificabili e sensati.

Ci sono dei motivi, dai.

Ci saranno dei motivi, no?


(Dopo leggo le venti (perché proprio venti?) pagine di decreto. Voi le avete lette, giusto?)

giovedì 8 ottobre 2020

Sincerità... è un elemento imprescindibile



: e, dopo Vanessa, anche Arisa ha voluto dare il suo contributo a quel nonsenso nero su bianco che è il #bodypositive (con 71.000, SETTANTUNOMILA!, mipiace).

Lei, Rosaria (il cui cognome è simile al mio ma fa riferimento a un selfie sessuale più che all’assunzione di droghe) a Venezia rilasciava interviste dicendo “Io mi piaccio così come sono” e due giorni fa si è messa “a nudo” - che ormai significa “senza filtri Instagram” - attraverso un post in cui blaterava frasi sconnesse che sembravano stralci di una canzone di Adele, che riassumerei con “L’abito non fa il Monaco”, “Non è bello ciò che è bello, è bello ciò che piace”, “La società fa schifo” e “Basto a me stessa”.

E non sarebbe una cosa fastidiosa, questa esternazione, per quanto sempliciotta e fanciullesca, anzi: il pensiero positivo ha effetti pruriginosi su di me ma capisco che qualcuno, con un’anima meno nebbiosa della mia, ne abbia bisogno e ne tragga giovamento.

Ma.

Ma tu non puoi esserti rifatta anche il buco del culo e asserire che ti piaci così come sei.

Puoi dire che ti piaci adesso, così come sei diventata.

Ma non fare la morale su quanto non si debba essere schiavi della perfezione esteriore quando sei diventata l’ennesimo prodotto dell’omologazione estetica tipica della nostra epoca: stesse labbra, stessi zigomi, stessi trucchi, stesso impatto.

Certo, uno si può redimere e tornare sui suoi passi, ma se non ha niente di illuminante da dire, che taccia.

Se quello che hai da dire non è simile a un discorso che farebbe un ex tossico, taci, Arisa.

Anzi, canta.

Perché è quello che, credo, tu sappia fare.

Sono anche un po’ stufa di chi sfrutta la sua posizione di rilievo, la sua risonanza mediatica, per dire delle boiate.

È come se uno avesse la possibilità di apparire a reti unificate per un momento e ruttasse.

Anzi, no.

Perché un rutto in faccia al mondo sarebbe poco edificante ma irriverente, cazzuto, troppo simpa.

Quello che fa la gente come Arisa è uguale alla desiderata pace nel mondo delle aspiranti Miss Italia: stupida, noiosa, banale e allergizzante.

mercoledì 30 settembre 2020

Nessuno mi può giudicare! (Nel dubbio, però, mi metto a dieta e mi faccio il filler!)

 



: si parla molto di questo fantomatico messaggio che si vuole lanciare posando nude su una copertina con un perentorio “Nessuno mi può giudicare!”.

Ma qual è, questo messaggio?

Purtroppo, questo messaggio, altro non è che un “Sono bella NONOSTANTE io sia grassa”.

Perché, NONOSTANTE NON sia grassa, lei, la Vanessa, questo è quello che si vuole comunicare.

Perché, se no, per cosa dovremmo giudicarla?

È un personaggio ribelle, divisivo, immorale, cardinale?

No.

L’unica cosa per cui i noiosissimi haters l’hanno presa di mira sono quei chili che il nostro occhio, abituato alla gnocca fotonicissima, giudica di troppo.

Quindi il messaggio, mascherandosi dietro a una stucchevole battaglia per l’inclusione, altro non è che questo: “Sto bene, NONOSTANTE io sia grassa”, “Sono ironica, NONOSTANTE io sia grassa”, ecc. e “Non giudicatemi per questo!”.

Ed è più urticante della bigiotteria sulla mia epidermide.

Primo, perché sogno un mondo in cui il peso che dobbiamo avere nella società non sia dato dalla carne che abbiamo intorno allo scheletro e che, quindi, il “grasso” o il “magro” devono avere la stessa valenza di “rosso” o “bruno”, nel giudizio.

Secondo, perché in quella foto Vanessa non è grassa. È in carne, ma non è grassa.

Certo, è più in carne rispetto al modello di bellezza proprio della nostra epoca ma non è una testimonial che utilizzerei se volessi dare avvio a una guerra al bullismo: per quella foto, la Vanesia, si è data una bella ritoccata. È già dimagrita, rispetto al momento in cui veniva massacrata, e si è data una bella gonfiata in faccia.

Perciò “sprezzante del giudizio“ un bel par di balle.

Siamo ben ben lontani da ciò che vogliamo ottenere.

Siamo ben ben lontani dal non essere tacciati come ipocriti.

Facciamo le battaglie per le sinapsi, ché se pensi alla Montalcini non te lo ricordi nemmeno se sia smilza o curvy.

domenica 20 settembre 2020

Perdoname Banksy ma non mi infiammi le sinapsi

 



: “Il copyright è per i perdenti.”

... e poi vuole i diritti d’autore su quel genialissimo murales.
Disprezza la proprietà intellettuale.
... e poi piagnucola se qualcuno mette in dubbio la paternità delle sue opere.
Fa il figo ricercando l’illegalità.
... e poi dà avvio a una battaglia legale perché non vuole che qualcuno utilizzi le sue immagini a fini commerciali.
Vi prego di utilizzare le etichette “genio” e “ribelle” con parsimonia, ché la storia è piena di menti brillanti decisamente meno capricciose e viziate.

(Il nervoso che mi monta quando una cosa semplicemente carina viene idolatrata come se fosse il Codice Atlantico lo so solo io.)


martedì 1 settembre 2020

Non è bello ciò che non è bello

 



: sapere la differenza tra “bello” e “ciò che piace”.

Capire, quindi, che “Non è bello ciò che è bello, è bello ciò che piace” è un concetto molto romantico ma banalotto e, forse, fallace.

Sapere la differenza tra “modella” e “testimonial”.

Sapere cosa intendiamo con “canone estetico”.

Capire perché esistano i canoni estetici e che non basti certo una sfilata per stravolgerli.

Capire che sfilare per una casa di moda è una cosa, esserne il volto di punta un’altra.

Sapere cosa c’è dietro una fantomatica “campagna della diversità”.

Capire, bene, cosa significhi e a quale “diversità” ci stiamo rivolgendo.

Andare a ricercare un po’ in giro, su Instagram banalmente, per vedere la forza di questa campagna e chi, effettivamente, vi partecipa o chi, invece, è usato come semplice manichino in movimento.

Chiederci come sia possibile che una casa di moda possa gettare in pasto ai piranha un soldato del suo patinato esercito, facendo credere al mondo di essere anche in buona e commovente fede.

Chiederci se il prezzo pagato, consistente nelle vagonate di letame addosso a una ragazza, sia valso la pena, se abbia davvero sconvolto i canoni estetici. Ma davvero, eh.

Chiederci se abbiamo davvero bisogno di vedere quegli stessi canoni stravolti, per sentirci meglio.

Chiederci se le lezioni su come conti di più la sostanza invece dell’apparenza non sia il caso di apprenderle altrove, anziché su una passerella. 

Ricordarsi che la tanto demonizzata “oggettivazione” non vale solo per le gnocche: si può oggettivare, attraverso la strumentalizzazione, anche ciò che l’occhio umano riconosce come non gradevole ed è parimenti una cosa meschina.

Ricordarsi che non basta un monociglio per essere Frida Khalo.

Ricordarsi che la cosa di Dante che è arrivata fino a noi non è il naso.

Ricordarsi, subito dopo, che non tutti i nasoni hanno scritto la Divina Commedia.


Allora sì, che si può dire qualcosa di interessante su ‘sto topic tormentone.

Quando avete finito di schierarvi da una parte o dall’altra, dai segoni a due mani per il presunto buon cuore di Gucci o dal dire “Beh, se lei fa la modella allora io sono Miss Universo!” (fallacia, peraltro), ne riparliamo.

Fino ad allora, risparmiatemi la retorica da due lire o i meme che hanno smesso di far ridere ancora prima di essere pubblicati.

Grazie.

lunedì 17 agosto 2020

Non toglietemi i bagordi

 



: raga, vi vedo caldi sull’argomento “Chiusura discoteche”. 

Due i team:

1. Era ora, non avrebbero nemmeno dovuto riaprirle!

2. Che due coglioni!

Il team a cui appartengo è abbastanza palese.

E, se appartenessi al primo, semplicemente, mi camperei giù da una rupe.

Perché vorrebbe dire che tutto il tempo che ho passato a leggere e a pensare sarebbe stato meglio se lo avessi investito nella raccolta delle patate.

Sei un deficiente se dici “Era ora, non avrebbero nemmeno dovuto riaprirle!”.

Perché?

Perché l’aumento del numero dei contagi non è dovuto all’apertura delle discoteche. 

Facile e logicamente piuttosto evidente.

Basterebbe semplicemente andare a informarsi sui focolai.

Basterebbe non avere il cranio a gruviera e chiedersi dove cazzo siano scoppiati.

UN solo focolaio è scoppiato in discoteca, a Vercelli, perché un genio dominicano ha impestato tutti i suoi connazionali.

Gli altri focolai riguardano centri di accoglienza, caserme, ospedali, parrucchieri, stabilimenti balneari, ecc.

E il problema non è il DOVE ma il PERCHÉ: la maggior parte dei focolai sono dovuti a gente che è tornata dalle vacanze in luoghi in cui il virus è ancora bello attivo.

Fossimo rimasti tra noi, tutti pizza e mandolino, avremmo pure potuto organizzare orge pubbliche nelle piazze e non sarebbe successo nulla.

Perciò “Era ora, non avrebbero nemmeno dovuto riaprirle!” è un’idiozia, visto che le discoteche sono aperte da più di un mese: se la colpa dell’aumento dei contagi fosse stata degli assembramenti saremmo piazzati come a marzo.

Anzi, il dato “zero contagi con discoteche aperte” dimostra proprio la tesi opposta, altro che “Era ora, non avrebbero nemmeno dovuto riaprirle”. 

E non nascondiamoci nemmeno dietro all’ipercitato “scopo preventivo”.

“Prevenire”, dal latino Praevenire, significa “venire prima”.

Prevenire è non permettere alle persone di andare e venire, senza controlli, da paesi impestati come ratti e piccioni.

Così è metterci ‘na pezza, un arginare malamente.

Che, d’accordo, non è esattamente come mettersi il preservativo dopo aver scopato (il paragone non regge, anche se la battuta fa ridere) ma è come sputtanarsi lo stipendio in coca e mignotte all’inizio del mese e risparmiare sul cibo per arrivare alla fine.

È un tentativo, ok, ma fastidiosamente paraculo.

E ve ne dovreste accorgere, invece di esultare.

Godere per la distruzione dell’intrattenimento equivale a legittimare l’espropriazione della nostra felicità: mangiare dormire e cagare sono bisogni necessari ma non sufficienti.

Anche uno schiavo mangia, dorme e caga, per dire.

Pensateci.


(Tanto non pensate a un cazzo.)

giovedì 13 agosto 2020

Vakanze in Itagliah!



: vi vedo caldi sull’argomento “Quest’anno è doveroso fare le vacanze in Italia!”.

Obbligo morale, naturalmente.

E, premetto, io sono d’accordo.

MA (eh, beh, checcredevate?).

Ma prima bisogna un po’ decidere di che natura vogliamo che sia quell’obbligo morale: è per la tutela economica del nostro paese o sanitaria?

Perché, se si parla di economia, ha perfettamente senso preferire di spendere i propri soldi nel proprio paese, abbastanza provato dalla pandemia.

Ma se facciamo un discorso diverso, se la nostra è paura dell’aumento dei contagi, dovremmo prima avere un’opinione formata riguardo al Covid.

Se fino a stamattina abbiamo urlato al mondo che “non ce n’è coviddi”, non possiamo dire al nostro vicino di casa che è un coglione perché è andato con le balle al sole in Croazia.

Perché tanto non ce n’è Coviddi, no?

Tanto è tutto un complotto internazionale, no?

E attenzione anche a dire che in Italia “non ce n’è PIÙ coviddi”, perché se non c’è più e prima c’era, significa che le misure adottate dal Governo hanno avuto un senso. Perciò il Governo sarà sì ladro, ma un ladro che ci ha guarito il culo. 

Possiamo pensare e dire tutto, raga.

Ma se prima abbiamo detto “A!” e il secondo dopo abbiamo detto “Non A!”, senza spiegare il repentino cambio di rotta, beh, siamo credibili come quelli che ordinano tre McMenu ma prendono la Coca Zero perché sono a dieta.

Io, alla domanda “L’obbligo morale di fare le vacanze in Italia è mosso da tutela economica o sanitaria?” risponderei, ovviamente, “Da entrambe”.

Sul piano economico, è innegabile che abbiamo subito una mazzata mai vista.

Perciò anche sì aiutarci l’un l’altro.

(Ah, già che ci siamo: finitela un po’ di fare i brillantoni chiedendo “Ma come? Piangevi perché non hai lavorato tre mesi e vai in ferie?”.

Finitela di insinuare cose: i lavoratori autonomi non hanno lavorato tre mesi, punto. Questo è innegabile, indipendentemente che uno decida poi di farsi qualche giorno fuori dai coglioni!).

Poi, anche sul piano sanitario direi che rimanere in Italia potrebbe essere una scelta quantomeno saggia.

Perché è vero che io ho partecipato a un flash mob senza mascherina (rischiando, per altro, di far crollare il nostro stupendo ponte!) ma è anche vero, appunto, che siamo in Italia, dove i contagi si sono drasticamente ridotti.

Andare in Spagna o dove salcazzo, dove hanno gestito l’emergenza virus come io gestivo il mio Tamagotchi facendolo annegare nella sua merda, e rischiare di ammalarsi o, almeno, di farsi una quarantena, non mi pare proprio sherlockissimo.

Poi, insomma, vedete un po’ voi.

lunedì 10 agosto 2020

Credo di sapere





: verificare una notizia è compito assai arduo, per noi comuni mortali.

Sia perché non abbiamo accesso alla totalità delle fonti, sia perché talvolta è uno sbatti incredibile.

Insomma, ci sono cose che non possiamo sapere e ci sono cose che possiamo sapere ma con estrema fatica.

Per esempio, se uscisse la notizia che nella giornata di ieri, in Italia, sono stati venduti settecentocinquantamila gelati, io potrei verificarla: potrei contattare tutti gli esercizi di somministrazione del nostro paese, supermercati inclusi, e vedere (ammesso che siano informazioni che possono essere divulgate) se effettivamente la notizia sia vera o si avvicini al vero (il numero dei gelati potrebbe essere settecentoquarantacinquemila e comunque non distruggerebbe la credibilità dell'informazione).

Certo, sarebbe uno sbatti non indifferente, ma se il fatto che siano stati venduti settecentocinquantamila gelati mi sta così a cuore, se mi provoca spasmi nell'animo tanto da insozzare i social con la mia indignazione, beh, lo potrei fare (io ho fatto davvero di peggio, in termini di "amore per la verità").

Informarsi, in generale, richiede sbatti. Di diversa intensità, ma comunque sbatti.

Se non ho sbatti di fare quello sbatti, sono simpatico e carino lo stesso, ma sono un ignorante con un bagaglio di informazioni non verificate, quindi non attendibili, quindi cacca. Non cacca io, eh, cacca le mie non-conoscenze.

E dovrei, almeno, tacere.

Perché, e qui esce prepotente la mia vocazione, non si può parlare di conoscenza, se quel che so non corrisponde al vero. Io non so veramente, io non conosco: io credo di sapere, credo di conoscere. Ma stocazzo conosco, stocazzo so.

Esempio: "La capitale d'Italia è Alessandria, lo so!"

Eh, stocazzo sai. Tu credi che la capitale d'Italia sia Alessandria ma se avessi lo sbatti, di livello humus, di fare un minimo di ricerca, ti accorgeresti che quello che credevi di sapere in realtà è una minchiata.

E "Capitale d'Italia" è un dato facilmente verificabile. Ci vogliono nemmeno dieci secondi. Infatti è la classica domanda per cui utilizzare l'aiuto da casa. 

Per altre cose, invece, ci vuole un po’ più di sforzo. 

Minimo anche quello, eh, per gli alfabetizzati, però capisco che si tratti di un impiego di forze maggiore rispetto al leggere gli ingredienti del detergente intimo quando si caga senza aver portato il cellulare in bagno. 

Che ne so, tipo leggere un decreto.

Non sono i Nomoi di Platone ma non è nemmeno Moccia, ci vuole un minimo di impegno.

Se, però, vogliamo verificare che la notiziona che abbiamo appreso da Noncielodikono.com e che ci ha scosso così tanto da doverla condividere coi nostri contatti, sia credibile oppure no, beh, dobbiamo leggerlo.

Tenendo conto anche del tipo di notizia che ci ha così indignato: se tira in ballo l’interpretazione o un mero dato.

Se tira in ballo l’interpretazione, auguri.

Ma se si tratta di un mero dato, raga, verificarla non è così difficile. Non dopo la seconda elementare, almeno.

Tutto questo per dire (sì, le mille parole scritte finora sono del tutto superflue!) che, no, non c’è traccia nel decreto del 7 agosto del fatto che non possiamo guardarci negli occhi da settembre, per il prolungamento dello stato di emergenza.

Non c’è scritto.

Non c’è scritto nemmeno che i bambini dovranno indossare i caschetti da minatore.

E nemmeno che verranno ammazzati gattini a scopo preventivo.

Lo sapreste, se sapeste leggere.

Lo sapreste, se voleste leggere.



lunedì 27 luglio 2020

La vera mamma-bomber sono io






: quando hai trentaquattro anni e non hai figli, l’argomento pedagogico te lo devi proprio scordare, se vuoi evitarti i vari “Eeeeh, ma tu non puoi capire!”, “Eeee, poi mi dirai!”, ecc.
E, infatti, per la maggior parte delle volte, me lo scordo eccome e mi crogiolo in quel paradiso mentale meglio noto come “i cazzi miei”.
Per la maggior parte delle volte.
Questa volta, però, non è in quella maggior parte.
Sono sul treno, di fianco a me una famigliola.
Il bambino, un anno e mezzo a occhio, sta colorando.
Ora, a un anno e mezzo nemmeno Raffaello stava nei bordi. Non lo pretenderei dal povero Franceschino che, fra l’altro, non vive in pieno Rinascimento ma in quest’epoca culturalmente e artisticamente arida.
Non è di quest’idea la madre, che gli urla:
“DEVI STARE NEI BORDI!!!”. Così, secca.
Franceschino, con le orecchie basse, la guarda perplesso.
Credo abbia dei dubbi sulla parola “bordi”.
Perché, vedi, aquila diversamente materna, se vuoi che tuo figlio capisca il rimprovero, devi prima insegnargli il concetto e la realizzazione di quel concetto. Prima, non poi.
Come hai fatto, da lì a un secondo:
“GUARDA COME FA LA MAMMA!”, e gli strappi l’album dalle mani sostituendolo con il tuo cellulare. E ti metti a colorare tu, mentre Franceschino guarda le icone colorate sullo schermo.
Cioè tuo figlio, silenzioso come un gatto (cosa di per sé molto rara da trovare su un treno), si sta tenendo occupato con un sano passatempo.
A te non va bene il modo in cui sta svolgendo il compito.
Invece di spiegargli PRIMA come si fa, lo cazzi e 
cerchi di insegnarglielo DOPO, invertendo completamente il naturale corso dell’educazione esemplare.
E come cerchi di insegnarglielo? Pretendendo che ti guardi colorare dopo avergli messo in mano il tuo cellulare.
Risultato di questo colpo di genio paideutico è che Franceschino non ti caga di striscio e tu, beh, a colorare fai schifo, scusa se mi permetto.
Quando ti accorgi che, agli occhi di tuo figlio, il tuo operato non ha appeal, lo guardi sprezzante e gli dici:
“ECCO, ADESSO FALLO TU!”.
Ma adesso Franceschino sta armeggiando col cellulare che TU gli hai dato e che non vuole, ovviamente, restituirti.
“MOLLALO!”
No!
“MOLLALO!”
Nooo!
Ed è lei a mollargli qualcosa: un sonoro schiaffo sulla manina.
Io mi sgancio la mascherina, mi schiarisco la voce in modo da farmi sentire anche in Australia, metto le braccia conserte e mi limito a guardarla come solo una persona al mondo è stata guardata così da me. Non dico altro per non mortificare ulteriormente il bambino.
Perché, spoiler: i bambini se ne accorgono quando hanno dei genitori di merda. E se ne vergognano, oltre a soffrire oltremodo.
Dovrei farmi i cazzi miei per tutta una serie di motivi tra cui, certo, non ho figli, non posso capire, ognuno educa la prole come si sente, ecc.
Il punto è che a suon di “Non ci sono regole scritte del buon genitore” ci ritroviamo circondati da idioti.
E siamo su un treno, luogo pubblico: questi sono anche cazzi miei, sì.
Ed è stata una sberla gratuita, completamente insensata.
Quella che tu avrei dato io, invece, sarebbe stata davvero più ricca di significato.
Comunque, in quel momento, il padre, avendo sentito la mia gola vibrare, si desta dal coma cerebrale e accenna un “Che succede qui?”, che manco Morgan a Sanremo.
Fortunatamente, il treno ci avvisa che siamo arrivati in stazione con un “ciuf-ciuf”.
E Franceschino alleggerisce l’atmosfera ripetendo: “ciuf-ciuuuuuuf!“.
E ci salva.
Ci salvano sempre, i bambini.
Si salvano sempre, i bambini.

martedì 21 luglio 2020

Un anno di noi







: oggi è il 21 luglio.
“Eppure è successo qualcosa, il 21 luglio!”, ho pensato.
E, in effetti, due anni fa, in questo giorno, si è sposata la mia coppia preferita. Per la quale firmerei altre mille volte, anzi, all’infinito. 
Ma, purtroppo, non è successo solo questo.
L’anno scorso, Il 21 luglio dell’anno scorso, io ho avuto la mia prima manifestazione allergica.
Improvvisamente, mentre ero sdraiata sul letto, ho avuto l’impulso di strapparmi la prima pelle, chiedendo a chi avevo di fianco cosa stesse succedendo alla mia schiena.
Stava letteralmente eruttando.
Senza preavviso, di punto in bianco.
Un anno fa, oggi, il nichel mi ha fatto sua.
E lo sarò per sempre.
Ha stravolto il mio modo di mangiare, pensare e, soprattutto, vivere.
Buon anniversario, amore mio.
Grazie per avermi insegnato a rifiutare gli inviti a cena, a gonfiarmi senza motivo, ad autoflagellarmi per il prurito.
Ti amo, razza di bastardo onnipresente. ❤️

venerdì 12 giugno 2020

Legioni di imbecilli-illi-illi







Post datato 12 giugno 2015.

: Eco ha detto un'ovvietà che, invece di essere presa come tale, è stata aspramente criticata.
Come se io dicessi "i cani non si devono abbandonare".
Ok, non sarebbe una geniale intuizione eidetica, però non si può non condividere. 
Invece lui, per aver sottolineato una sacrosanta verità (e cioè che i social elevano a guru i peggiori degli idioti), è stato messo alla gogna con epiteti quali "filosofo del cazzo" e "vecchio di merda GELOSO perché non sa nemmeno accendere un iPhone".
A parte il fatto che usare la parola "geloso" al posto di "invidioso" per me costituisca già movente per efferato omicidio.
Poi (e qui rischio il colpo apoplettico): "filosofo del cazzo".
Allora, ricordatevi, giovani e meno giovani, che qualunque cosa che a voi, piccole menti avvezze alla condivisione virale e alla smania di farci sapere se state mangiando caviale o merda, risulti brillante, è frutto della filosofia, del ragionamento e del pensiero.
Tutto, dai link di "un po' dolce un po' bastarda" alle frasi che tanto amate di Osho, poggia su quelle che voi chiamate "cagate filosofiche".
I veri "filosofi del cazzo" sono il pr che vi vende come esclusivissima la stessa serata dagli anni 90, gli "influencers" del web che diventano addirittura giornalisti e passano con disinvoltura da destra a sinistra, i vari Sole, Moccia e Volo, le beauty-guru, le pseudo tecniche della moda che disquisiscono di vestiti di Zara come fossero Metafisica, e tutta quella paccottiglia a cui mettete ossessivamente "like" perché non sapete distinguere tra platino e acciaio.
I filosofi si sono battuti (e si battono tuttora) per rendere umana l'umanità.
Io, però, che sono una neofita, non solo vi negherei il diritto di espressione, maledetta democrazia, ma proprio quello alla vita perché, se non sapete interpretare le parole di un "vecchio che ormai ha fatto il suo tempo", cosa vivete a fare?

giovedì 11 giugno 2020

Sei talmente a sinistra che sei a destra





: è un po’ come l’anno scorso, quando una causa nobile era stata trasformata in un fenomeno da baraccone da quell’estremismo che, spacciandosi per “tutela”, reggeva invece le palle ai carnefici.
Ciò che viene denunciato viene poi esasperato e, quindi, irrimediabilmente depotenziato.
Vale per le false testimonianze che inficiano le molestie.
Vale per i dolci “discriminanti” che vengono tolti dal commercio.
Nuovo anno, vecchia battaglia, nuova sconfitta.
Come è possibile che non vengano fatti passi avanti, nonostante gli enormi progressi del pensiero umano?
Così.
Esattamente così, è possibile.
Abbiamo vissuto una pandemia.
Abbiamo sprecato una pandemia.
Che bomber, che siamo.

venerdì 29 maggio 2020

Mi chiamo Alice...






: oggi, come esperienza extraterrena, vi consiglio di leggere i commenti al post di Gardaland in cui se ne comunica la riapertura.
Arrivo da una maratona di Resident Evil e, davvero, io non vedo la differenza tra queste mamme-bomber e gli zombie.
Hanno la loro stessa minima capacità inferenziale e me le immagino camminare lente ma inesorabili, ripetendo un ossessivo e biascicato “I bbbambineeee, i bbbambineeee...”.
E non è bellissimo da dire, eh, me ne rendo conto.
Perché non vedere la differenza tra un essere umano e un essere con sembianze umane ma non umano (perché privato della peculiarità umana) equivale a dire che per me quell’essere umano, beh, non è poi così umano.
Sì, sto dicendo che, per me, le mamme bomber non sono umane perché prive di sufficiente intelligenza/coscienza.
Il che non è bellissimo ma, tant’è, è così.
Anzi, potrei spingermi oltre e dire che le mamme bomber sono, per l’essere umano, il vero virus letale.
Perché dovrebbero avere il sacro e delicato compito di perpetrare la specie umana (umana-umana) mentre sono così, preoccupantemente ottuse a livello zombie.
Sto dicendo che uno zombie non potrebbe crescere un bambino?
No, sto solo dicendo che non potrebbe crescere un bambino con accettabili facoltà cognitive. 
N.B.: accettabili facoltà cognitive.
Perché per sopravvivere semplicemente, beh, un bambino allevato dagli zombie potrebbe sopravvivere (se non se lo pappano).
Come sono sopravvissuti i bambini abbandonati nella giungla.
Ma possiamo considerare accettabili le loro facoltà cognitive? 
Raga, ripeto con una mano sul cuore e l’altra sul cranio, le loro facoltà cognitive sono accettabili?
Per me no.
Proprio per un cazzo, direi.
Poi è ovvio che questi bambini possano essere recuperati. Ma con estrema fatica. E dolore. E frustrazione.
Che potremmo risparmiare loro facendo attenzione a non perderli sistematicamente nella giungla.
O buttandoli fra gli zombie.
O permettendo alle mamme bomber di allevarli.

Scherzo, eh.
Questo sarebbe un progetto di eugenetica.
Che non funziona, lo sappiamo bene: primo perché è sbagliato da molti punti di vista, soprattutto da quello etico, secondo perché dal letame possono nascere i fiori: non vale il “Se mamma bomber allora figlio scemo”.
Quindi la smetto subito con questo delirio di onnipotenza intellettiva e cesso all’istante di desiderare la sterilità per gli umani non umani.
Cesso di farlo pubblicamente, almeno.
Perché nel mio cuore, in questo piccolo e stanco cuore!, la so solo io la fine che farei fare ai loro ovuli. Pochè, me li farei.

(A tutto questo possono sorgere spontaneamente -come erbacce infestanti - tre grossolane obiezioni: una che inizia con “Ah, ma quindi stai dicendo che...”, l’altra che potrebbe muovermi solo una mamma-bomber, l’altra che potrebbe muovermi solo un cattolico-bomber. Occhio, ché mi faccio pochè pure voi.)



mercoledì 27 maggio 2020

A pecora





: ma questa foto, che sto vedendo postare da un po’ troppe persone per passare inosservata, cosa mi starebbe a significare?
Che siamo un gregge di pecoroni perché mettiamo la mascherina?
Che seguiamo acriticamente la massa?
Che abbassiamo la testa?
Quindi, mi viene da inferire, chi non se la mette è un sovversivo? Un rivoluzionario?
Ma a saperlo, che bastasse così poco!
Ma suca, Galileo!
Ma sucate un po’ tutti voi che siete sempre stati erroneamente definiti “ribelli” rischiando la reputazione (e spesso la vita) per le vostre idee!
Mezzeseghe che non siete altro: qua nel 2020 ci sono quelli che si rifiutano di mettere la mascherina!
Che eroi della metafora, raga: a loro la bocca non la si tappa!
Che audacia!
Sono tutta un fremito, guarda.

(...)

(Il verbo “sapere” non vuole il congiuntivo. Ma “A saperlo che bastava!” mi suona troppo di merda, perché non è proprio un sapere ma un “Ah, se l’avessi saputo!”. Perciò mi licenzio poeticamente.
Perdoname madre por mi eccesso di abbia e asse!)

martedì 19 maggio 2020

Questa cosa vale una notte in bianco?







: la pandemia non non farà miracoli, non ci migliorerà come esseri umani: è una pandemia, non una pioggia di cellule aristoteliche purificatrici.
Però, questa “Fase N”, a qualcosa servirà.
Per esempio, la scorsa settimana sono andata a comprare una tortina per mia mamma in un bar-pasticceria.
Ho fatto venti minuti di coda.
Dietro di me c’era un ragazzo che, invece, in coda c’è stato per mezz’ora.
Per un caffè.
Quanto deve averlo desiderato, quel caffè?
Quanto tempo sprecato in attesa valeva, quel caffè?
Tanto, direi.
Questa Fase N non ci renderà eroi morali né bomber concettuali, ma ci sottoporrà a un bell’esercizio: valutare bene quanto siamo disposti a sacrificare per qualcosa.
Cosa che dovremmo già saper fare decentemente e in automatico, certo. Ma non è così scontato e questa è un’opportunità pratica di crescita che non sempre ci è concessa.
Figo, secondo me.
E c’è anche la componente “rischio”.
Noi rischiamo ogni volta che usciamo di casa.
È un attimo: un lampo di disattenzione e siamo positivamente compromessi.
Perciò dovremmo imparare a chiederci sempre: “Questa cosa che voglio (o devo) fare vale davvero il rischio di beccarmi il virus?”.
Molte volte la risposta è “No, col cazzo!”.
Ma alcune volte la risposta è “Cazzo, sì!”.
È un “Cazzo, sì!” che vale la pena.
È un “Cazzo, sì!” che resiste alla pandemia.
Mica poco, come consapevolezza.
Io ero già abbastanza allenata, devo dire. Dalla filosofia, ok, ma soprattutto dall’allergia, che mi ha insegnato a chiedermi: “Questa cosa vale una notte in bianco? Questa cosa vale il mio tempo passato a star male? Questa cosa vale il mio dolore?”.
Molte volte la risposta è: “No, col cazzo!”.
Rare volte la risposta è: “Cazzo, sì!”.
Per me la pizza è sempre un “Cazzo, sì!”.
Che la Fase N vi porti la vostra pizza.
Che la Fase N vi porti il vostro “Cazzo, sì!”.

sabato 9 maggio 2020

E tu? Pisceresti in mezzo alla doccia o nello scarico?







: PIPPO-NE SABATINO, LA PRIMA PARTE SI PUÒ SALTARE.

L’essere umano lo sa di essere l’animale più intelligente.
Perché lo è, eh, raga: è capace di compiere atrocità proprio per questo, altrimenti non sarebbero atrocità ma solo “natura”.
L’essere umano è l’animale più pericoloso perché è il più bravo ad astrarre, a mettere insieme concetti.
E ne è ben consapevole.
Ed è da quanto ne è ben consapevole che cerca di misurare il suo intelletto.
Fallendo miseramente: anche se io il primo metodo per calcolare il quoziente intellettivo me lo sono tatuato tanti anni fa (il fattore di intelligenza è il fattore G, g factor, ma resto umile!) i tentativi di dare un numero alla peculiarità umana sono clamorosamente naufragati. Perché? Beh, perché la domanda è sempre quella: che minchia intendiamo con “intelligenza”?
Se per intelligenza intendiamo il saper contare, beh, sì, si può misurare.
Ma, se per “intelligenza” intendiamo il saper contare, ci scontriamo con innumerevoli problemi, due fra tutti:
Uno: allora un computer è più intelligente di noi?
Due: quanti idioti sanno contare?
Perciò va da sé che (e mi dispiace per le parti del mondo in cui la sola abilità matematica è ritenuta sufficiente per decretare il genio) sono necessari altri criteri e metodi di analisi.
Ci sono migliaia di riflessioni su questo, migliaia davvero, proprio perché l’essere umano sa il fatto suo e si scervella sul fatto suo, e ci pensa al fatto suo, dal momento in cui ha capito che pensa. E lo ha capito tanto, tantissimo, tempo fa. Perciò non aggiungo altro (anche perché, per aggiungere altro, quell’altro deve essere proprio wow e questo mio altro, se arrivi fino in fondo, non è proprio wow ma più voglia di sbattermi in manicomio).
Non aggiungo altro ma vorrei condividere il mio personale metodo per vedere chi ha più diritto di stare al mondo.
No, scherzo. *
Per vedere chi ha facoltà mentali sufficientemente umane.
Prima di tutto distinguo tra intelligenza brillante (genialità) e semplice intelligenza.
La differenza tra Leonardo Da Vinci e chi svolge il compitino, per dire.
Per vedere se siamo davanti al primo tipo di intelligenza io mi chiedo: “Sì, ma questo lo avrebbe scoperto il fuoco?”.
Senza botte di culo, eh.
Scoprire il fuoco non per caso, ma per intelletto.
O inventare la ruota, che ne so.
Io, per esempio, mai avrei scoperto il fuoco.
Oddio, forse, mossa dalla mia nota voracità e dallo schifo per la carne cruda, sì (di necessità virtù).
Ma in linea di massima, no, la mia mente non è così brillante.
E nemmeno così culosa: io mai avrei scoperto il fuoco manco per botta di culo.
Perciò mi resta solo quell’intelligenzina piccina e banale per la quale mi ritengo comunque meritevole di vivere.
No, scherzo *.
Per la quale ritengo di avere facoltà mentali sufficientemente umane.
Per questo tipo di intelligenza mi è venuta in aiuto la mia gatta, con il suo snobismo fisiologico.
In soldoni, le avevamo messo una lettiera che non le piaceva.
E lei ha pensato bene di pisciare nella doccia.
Io l’ho colta in flagrante e sono rimasta folgorata: ha pisciato nel buco dello scarico.
Cioè non ha semplicemente pisciato nella doccia, in un punto qualunque, per dispetto: ha pisciato nel buco perché ha capito che il piscio sarebbe andato giù.
Come il gatto che avevo da piccola che pisciava nel water, dimostrando una capacità di imitazione e una capacità di astrazione davvero notevoli.
Perciò, tornando a questo mio metodo veramente illustre per cercare di valutare se uno sia idiota o meno, mi chiedo: “Ma questo piscerebbe nello scarico o sparpaglierebbe maldestramente la sua pioggia dorata a caso per tutta la doccia?”.
E, raga, sono pochi quelli che, a giudicare da quello che pensano, dicono, scrivono, condividono, piscerebbero nello scarico.
Pochi davvero.
Sono pochi quelli che, per i miei suddetti standard, hanno più diritto di stare al mondo.
Scherzo, eh, raga * (la vita non è un merito).
Sono pochi quelli che hanno facoltà mentali sufficientemente umane.
Più umane di quelle di una gatta al cesso, almeno.

* Non scherzo manco per il cazzo.