martedì 13 ottobre 2020

21 non più 21

 


: ho quel pallino lì, dell’ossessiva ricerca della motivazione, dell’intenzione, di ciò che muove.

Nelle “cose umane”, eh, senza tirare in ballo il Divino o il fine ultimo.

Non credo al caso, nelle cose umane.

Non credo al “perché sì!” o al “perché no!”.

C’è un cazzo di motivo per cui pensiamo, diciamo e facciamo.

La mente umana non funziona ad minchiam: è mossa, salvo patologie, da dei bei “perché” giustificabili, più o meno coscientemente.

Questo, almeno, è quel che credo (adesso).

Per esempio, il lapsus.

Dio, come mi esalta il lapsus!

Perché dico “albero” quando vorrei dire “sedia”?

L’adorone che mi prende. Ma non è questa la sede.

Altro esempio, materiale, banale, quasi triviale (che col lapsus c’entra zero): perché si possono invitare massimo sei persone a casa, come misura di contenimento Covid?

Perché proprio sei?

C’è un motivo, eh.

Non è che quattro coglioni si siano seduti a un tavolo e, tipo tombola, abbiano convenuto che il sei fosse un numero adatto.

Lo stesso per gli invitati a una cerimonia: trenta.

Cioè, perché proprio trenta?

Ugualmente per gli orari da rispettare: dalle 21 non si possono più consumare bevande in piedi.

Come mai?

Da dove sono tirati fuori, ‘sti numeri?

Ci saranno dei calcoli sotto, degli studi, delle prove, una logica.

Non è che uno dica:

“Oh, Giuse, che numero ti piace?” 

- Mah, non so, gli anni di Cristo meno tre! Trenta!

“Ok. E a te, Roberto, che numero piace?”

- Boh, il sei, ché se lo ripeto tre volte davanti allo specchio non c’ho bisogno del Cialis.

Cioè, non succede così.

Ci sono dei motivi, giustificabili e sensati.

Ci sono dei motivi, dai.

Ci saranno dei motivi, no?


(Dopo leggo le venti (perché proprio venti?) pagine di decreto. Voi le avete lette, giusto?)

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