venerdì 15 gennaio 2021

Bombe (mediatiche e non)




: abbiamo finalmente l’esito dell’autopsia ai tre pompieri morti a Quargnento.

Giustamente, un giornale deve riportare la notizia.

Lo fa con una prima pagina da brivido, che recita “TRACCE DI STUPEFACENTI NEI CADAVERI DEI TRE VIGILI DEL FUOCO”, che ci rimanda a pagina 7, a un articolo monco di Monica Gasparini.

Che inizia con:

“Sono conclusioni choc quelle dell’autopsia sui cadaveri dei tre pompieri morti nell’esplosione della cascina dei coniugi Vincenzi, a Quargnento.”

Perciò, per i giornalisti del Piccolo, FIRST REACTION SHOCK.

Come mai, dato che dall’autopsia emerge chiaramente che siano morti per cause da imputare esclusivamente all’esplosione?

Come mai, dato che “Le “nuove” risultanze non cambiano le colpe di Giovanni Vincenti”?

Perché sono così scioccati?

Perché “Proprio l’autopsia ci racconta un retroscena che esula dai fatti oggettivi. Un retroscena che pone un interrogativo, perché l’autopsia, a margine delle cause che hanno determinato la morte dei tre pompieri, ha anche evidenziato tracce di stupefacenti”.

E l’articolo si conclude con l’elenco delle sostanze assunte dai tre e le relative tempistiche. 

È un articolo monco, che parla di un interrogativo che non viene mai svelato: qual è l’interrogativo posto da quel retroscena?

I tre pompieri si erano drogati due ore prima dell’incidente.

Questo fa sollevare una domanda, si legge.

Quale, visto che si mettono le mani avanti dicendo che questo non cambia (ovviamente) le colpe di Vincenti e moglie?

Si sono drogati, quindi?

Non si capisce.

Non si capisce perché chi scrive dovrebbe avere chiaro il percorso che porta da A a B, dovrebbe averlo prima sviluppato nella mente, mentre qui si vede chiaramente come si sia vomitata una valanga di parole in preda all’eccitazione dell’imminente casino mediatico.

Anche questa è sostanza stupefacente: se vogliamo fare intendere (con ragione o meno) che chi va a salvare delle vite non dovrebbe assumere droga, almeno dobbiamo essere certi di non metterci a scrivere presi dall’euforia di far scoppiare una bomba giornalistica (quante similitudini, in questa faccenda). 

Ma se la Gasparini è solo pressapochista, è Alberto Marello che ci presenta qualcosa di ignobile.

La Gasperini può godere del diritto di cronaca: ha riportato, seppur in modo raffazzonato, quelli che sono stati gli esiti dell’autopsia.

Marello, invece, dà un giudizio di valore.

Si infila nel ginepraio, con nessun titolo, dell’etica.

Etica che sfocia in un moralismo del tutto gratuito.

Ci dice, nel suo articolo, che le tracce di cocaina e di cannabinoidi trovati nel loro sangue ridefiniscono i ruoli dei tre vigili del fuoco: quelli che abbiamo pensato fossero eroi perdono il loro mantello.

Ci dice che ci siamo indignati, che abbiamo pianto, che abbiamo deposto fiori e rispettato il silenzio, perché ci mancava un dettaglio: si drogavano. E questo li rende solo umani, anch’essi afflitti da terribili debolezze.

Con quella tua retorica antiquata, che svela una preoccupante pesantezza mentale, cosa vuoi farci intendere, Alberto?

Che se avessimo avuto quel dettaglio, se avessimo saputo che erano avvezzi alle droghe, ci saremmo commossi un po’ di meno e che l’omicidio dei tre sarebbe stato in qualche modo attenuato?

E hai ragione, purtroppo.

È proprio questo il grave: che, in un paese così moralmente arretrato come l’Italia, quest’articolo getta fango sulla memoria di tre persone. E, come dici tu, questo permette di ripensare l’intera faccenda.

Le fette di salame che ci foderavano gli occhi sono state sbranate dalla fame chimica, a tuo dire.

Ed è inquietante, di per sé.

Ma è ancor più inquinante se, in un processo così delicato, così emotivamente carico, il direttore di un giornale si permette di essere così insensatamente giudicante.

Come se fosse stata la droga a ridurre a brandelli le divise dei pompieri e non la mente malata di due animali. 

Qui si va oltre il fisiologico sciacallaggio mediatico.

Qui si va nella vergogna.

La mia, di appartenere alla stessa specie di questi individui.


(E di quelli che commentano senza aver letto l’articolo integrale: è molto peggio della prima pagina).

mercoledì 6 gennaio 2021

rama lama lama ka dinga da dinga dong

 


: raga, è appena iniziato il 2021.

Anno che, data l’ansia da prestazione a cui l’abbiamo sottoposto, come un adolescente dal baffo morbido al cospetto di Belen, farà una cilecca memorabile tale da renderlo più ridicolo del suo predecessore.

Cerchiamo almeno di non peggiorare la situazione con argomenti-tormentone dei quali non riusciremmo a individuare il nucleo concettuale nemmeno se fosse indicato con frecce luminose.

Scoppia il delirio mediatico per colpa di Grease: è misogino? È sessista?

E tutti, ignorando completamente il contesto, la sorgente e l’intensità della polemica, pretendono di donare i loro due centesimi per la nobile causa: piovono post in cui si difende a spada tratta il film e si butta merda sul politically correct.

Che dire, raga, a me viene la nausea.

Seriamente, dopo il 2020, in cui avevamo per le mani un potenziale artistico e concettuale che non se ne vedevano da un po’ e siamo stati in grado solo di tirar fuori dei meme sulle regioni arcobaleno (ché poi, che cazzo di arcobaleni frequentate, di tre colori?), davvero, sono un po’ piena.

Comunque, Grease.

Grease è un musical.

(Divagazione: esiste qualcosa di più fastidioso dei musical, nell’ambito delle arti performative?

Cioè tu stai assistendo a un dialogo fra due attori che sono, che ne so, al ristorante, e all’improvviso uno dei due, posseduto da chissà quale spirito poetico, lancia uno sguardo languido nel vuoto, si alza e inizia a cantare. Ma solo a me scatta il nervo?

Ok, non amo troppo i musical.

Ma alcuni li tollero.

Grease lo tollero. La La Land non lo tollero.

Grease lo tollero perché è un cult e perché di ballerini come John Travolta ne nascono una manciata ogni cent’anni. Il che alza notevolmente il livello performativo del film, rispetto a qualunque altro musical interpretato da un concorrente a caso di Amici.)

Ed è un musical del 1978 ambientato nel 1958.

Ora, immaginate di essere un adolescente medio del 2021 e di trovarlo in TV.

Un adolescente medio, eh, il cui pensiero critico di sviluppa su Instagram, Twitter e Tik Tok. Non un adolescente tipo Pascal.

Immaginate di vedere un film, per voi preistorico, che è la storia di due che flirtano in vacanza ma poi, siccome lei è sfigata agli occhi dei più, lui, per mantenere la reputazione, appunto, da macho, la manda a cagare fino a quando lei non si presenta con look aggressive, con tanto di siga e pantaloni di pelle, e lui cade ai suoi piedi.

Cosa potreste pensare di questo film?

“Wow, che figata! Che contenuti spaziali! Che concept innovativo e per nulla ricco di stereotipi!”?

Credo proprio di no: un adolescente del 2021 è bombardato da inni alla diversità, inclusività, parità e altri innumerevoli tà tà tà.

Se poi è un adolescente fumino e nu poco poco limitatino vedrà ovunque delle possibili minacce a quel mondo equo e patinato che gli viene promesso.

È abbastanza normale, credo.

Come è abbastanza normale condividerne il disprezzo tramite un tweet.

Grease, se lo depuriamo dal suo contesto storico, se ci dimentichiamo del suo valore affettivo per noi figli degli anni 80, se ci sforziamo di non imbambolarci davanti a John e a Olivia, e lo trattiamo in sé e per sé, beh, presenta esattamente ciò che il mondo attuale tenta di fugare.

Poi noi siamo in grado di dividere i piani e, soprattutto, siamo in grado di capire che il revisionismo non è la soluzione.

Un adolescente, essendo un tenero virgulto razionale, non lo è.

Infatti il problema non è lui.

Il problema è il giornalista dimmerda che ha scatenato ‘sto polverone, costruendo un articolo da poveracci e facendo di una manciata di tweet un caso mediatico che ha portato a valutare la censura di Grease, istigando i soliti fan del politically correct retroattivo.

È la macchina che non funziona, raga.

E della macchina facciamo parte anche noi che, ossessionati dagli ossessionati del perbenismo, negando chi nega, odiando qualsiasi forma di politicamente corretto, prendiamo posizioni di difesa-a-ogni-costo.

Sta sempre nel mezzo, l’equilibrio.

Lo troveremo, un po’ di equilibrio, in quello che sembra già essere il 2020 b?