lunedì 29 novembre 2021

Mi dovete lasciar stare (se non avete una laurea in filosofia)



: “È una questione di responsabilità civile, altruismo e rispetto del prossimo.”

- Sono d’accordo. A proposito, io domani mattina vado a donare il sangue, tu doni?

“Eh no, io ho la fobia degli aghi.”


Come si ci scambia immediatamente di ruolo, eh, in questa giungla chiamata “morale”!

lunedì 22 novembre 2021

Poi vi spiego il mio quadro clinico, bestie



: per due anni, DUE ANNI, il tampone rapido è stato usato come via libera per qualsiasi cosa: dall’ingresso in un luogo pubblico all’avvenuta guarigione dal Covid.
All’ASL - e maledico me stessa per non avere il vizio di registrare le telefonate - quando avevo preteso il molecolare dopo la mia guarigione, mi avevano dato della pazza perché “il tampone rapido era il metodo più sicuro ORMAI”. E ho dovuto pagarmi il molecolare a mie spese, per coscienza, per avere la certezza che, dopo due mesi, il Covid si fosse stufato di me.
Adesso, ADESSO, viene fuori che quello strumento, considerato il più affidabile, non è più affidabile, nonostante venga utilizzato ogni due giorni da chi questa merda di vaccino non lo vuole fare perché nessuno si prende la responsabilità dei rischi che comporta.
Ogni due giorni quel qualcuno si fa deflorare il naso e paga quarantacinque euro alla settimana perché qualcun altro non è in grado di assumersi le proprie responsabilità.
Lo Stato in cui viviamo ha gestito la pandemia a suon di minchiate e controsensi e adesso pretende la piena fiducia.
Lo Stato in cui viviamo ci dà due opzioni e poi ne elimina una, che suona un po’ come “Di dolce c’è la torta di riso o prendertela nel culo. Torta di riso finita”.
Lo Stato in cui viviamo, insomma, ci “invita” a vaccinarci senza “obbligarci”, ma di fatto ci “costringe”, facendo leva prima sul vil danaro, sulla gratuità di un’opzione rispetto all’altra, poi eliminando del tutto una delle due scelte.
Lo Stato in cui viviamo, non essendo in grado (e non potendo, data la fase 4 di sperimentazione ancora in atto) di prendersi la responsabilità attraverso l’obbligatorietà, delega qualsiasi scelta all’individuo, come se questo avesse accesso a tutte le informazioni, come se avesse la capacità di comprenderle, quelle informazioni.
Lo Stato in cui viviamo sacrifica deliberatamente una fetta dei suoi cittadini.
Lo Stato in cui viviamo ha creato due fazioni. Ugualmente rabbiose. Ugualmente faziose.
Tutto questo non è giusto.
Né concettualmente, né politicamente, né scientificamente.
E accettarlo senza battere ciglio significa non disporre delle nozioni di base.
Né concettuali, né politiche, né scientifiche.

mercoledì 10 novembre 2021

O dolce o forte

 



: sono anni ormai che ho abbandonato qualunque velleità giornalistica presente nella mia mente ma, adesso, mi sento di buttarmi in questa straordinaria inchiesta:
che fine ha fatto, nella grande distribuzione, la paprika affumicata?
Ho provato a cercare divieti europei ma non ho trovato nulla: nessuno ne parla.
La paprika affumicata è semplicemente sparita dalla circolazione, sostituita dalla cosiddetta “paprika forte”, che però non è ovviamente la stessa cosa.
Cosa ci stanno nascondendo?

(La mia indagine non è poi così disinteressata, essendo la paprika una delle sole tre spezie che posso utilizzare.)

martedì 9 novembre 2021

Tanto sono vaccinato!



: sono in coda al supermercato, già incazzata perché avrei voluto prendere la focaccia con le cipolle e la brioche al cioccolato, mentre ho in mano le gallette di riso.
Il ragazzo dietro di me continua a starnutire e tossire copiosamente, abbassandosi la mascherina per liberarsi meglio.
Mi giro con aria interrogativa.
Lui, indispettito dalla mia spocchiosa misofobia:
“Oh, non preoccuparti, sono vaccinato!”

E questo è un po’ il problema, raga.
È il problema di far credere a persone non alfabetizzate che la soluzione alla pandemia sia unicamente quella di vaccinarsi dieci, cento, mille volte, dimenticandosi totalmente di adottare le basilari norme di sicurezza.
E di buon senso.
E di buon gusto.
Abbiamo smesso di lavarci le mani e misurarci la febbre, tanto siamo vaccinati.
Pisciamoci in bocca a vicenda per salutarci, d’ora in poi.
Tanto siamo vaccinati.

venerdì 5 novembre 2021

Remember, remember…



: il primo che oggi si azzarda a condividere anche solo un fotogramma di V per Vendetta verrà preso a cinghiate sui denti.
È abbastanza evidente che, nonostante i tatuaggini e lo humor grigio (spacciandolo per nero), di sovversivo non avete un cazzo.
Vi piace il sistema, vi fidate del sistema, sguazzate nel sistema.
Perciò, come maschera bianca, continuate a postare quella che vi appiccicate sulla faccia per la notte, vah, che quello col tempo che passa è l’unico contrasto che vi sta a cuore.

(Sempre che sappiate perché dico questo il 5 di novembre.)

mercoledì 20 ottobre 2021

Come mai ci sono più Green Pass che abitanti in Italia? Chissà.

 



: il numero di Green Pass supera il numero della popolazione italiana perché non c’è solo una certificazione per ognuno ma, per esempio, ogni volta che viene fatto un tampone viene erogato un Green Pass nuovo valido 48 ore.
Io, tipo, ne ho 14.
Questo, però, è un ragionamento logico da, se non scuola elementare, almeno scuola media inferiore.
Se non sei riuscito a farlo passati i quaranta, ti prego, potresti evitare di pubblicare post di presa per il culo verso una certa categoria, visto che l’unico da prendere per il culo (o, se fosse per me, da spedire a Pretoria) dovresti essere tu?
Grazie, cuore.

mercoledì 13 ottobre 2021

È veramente giusto?



: in questa interessante guerra tra poveri (di intelletto), c’è un momento che mi fa particolarmente sorridere, cioè quando arriva il genio che, senza aver mai riflettuto su nulla nella sua vita che non fosse “meglio l’acqua gasata o naturale?”, si chiede se sia giusto o meno far pagare le cure a un malato di Covid non vaccinato.
Per cominciare, raga, non scomoderei un concetto così intricato e dignitoso come la giustizia: basta rimanere al bassissimo livello pratico della legalità.
In Italia la salute è un diritto e non un dovere, o, se vogliamo scendere ulteriormente e strisciare nella fogna riflessiva, è un servizio per cui paghiamo (o dovremmo pagare) le tasse (per noi e per gli altri).
Al nostro sistema sanitario (del quale ci vantiamo immotivatamente ogni giorno davanti al resto del mondo, che ci guarda come se avessimo il naso rosso e ci deride senza pietà) non importa che tu sia bello, brutto, furbo, scemo, pulito, sporco: tu verrai curato anche se non ti curi di te stesso.
Viene curato chi fuma otto pacchetti di sigarette al giorno, viene curato chi si beve anche l’acqua dei cessi pubblici, viene curato chi gioca con le siringhe infette, viene curato chi non si alimenta, viene curato chi si alimenta troppo, viene curato chi si spacca il cranio saltando da un cornicione per ricreare il selfie perfetto, ecc.
Perciò la domanda di partenza dovrebbe essere riformulata in un senso più generale rispetto a una specifica pandemia, contando soprattutto quel piccolissimo particolare per cui - ma qui alzeremmo di un millimetro il livello della discussione e, per carità, non sia mai! - il vaccino in questione non sia una cura ma, al massimo, una misura preventiva: se io salissi su un’auto con una cintura di sicurezza maffa che mi blocca lo sterno e decidessi di non metterla per evitare di soffocare e uno mi prendesse in pieno, sarebbe giusto lasciarmi fra le lamiere sfottendomi a colpi di “La prossima volta ti metti la cintura, cretina!”?
Non lo so se sarebbe giusto, ma sicuramente non sarebbe legale.
Io posso essere un’idiota che non sa valutare se effettivamente una cintura sia buona o meno, ma tu non mi puoi lasciare morire dentro a una macchina distrutta.
Si chiamano “diritti umani”, che non possono essere alienabili o inalienabili a seconda della tesi che si vuole sostenere.
Mi avete stracciato i coglioni per una vita dicendo che anche uno stupido ha diritto di vivere e adesso che mi sono abituata all’idea mi cambiate le regole del gioco?
Ma io vi meno, eh.

giovedì 30 settembre 2021

Scadenze



: devo iscrivermi a una cosa che, per comodità, chiamerò “Stocazzo”.
Scadenza: 30 settembre, oggi.
La “scadenza” è uno di quei concetti che il popolo tende a non cogliere, un po’ come immettersi nelle rotonde.
Con la differenza che, in questo caso, potrebbe non essere colpa di una disabilità cognitiva, come accade invece se non sai se tenere la destra o la sinistra: le definizioni di “scadenza” che ho trovato sono per lo più raffazzonate.
Sembra che ci si debba appellare a convenzioni, più che a significati in sé.
Per esempio, secondo la prima definizione che dà Google, la scadenza è il “termine di tempo prescritto per l'adempimento di un'obbligazione; concr., l'impegno da rispettare o il pagamento da effettuare alla data fissata.”
La scadenza è un termine.
E grazie al cazzo.
Ma cosa intendiamo con termine?
Cosa intendiamo con il termine “termine”?
Quando termina il termine?
Termina, il termine?
Se una cosa scade il 30 settembre, quando scade?
Il 30 di settembre, certo, ma quando, effettivamente, scade?
Quando è il quando del quando?
Sto facendo la cretina, ovviamente, ma questo è il motivo per cui, in campo alimentare, si sceglie di dire “Da consumarsi preferibilmente entro” o “Da consumarsi entro”, e vi giuro che la maggior parte delle persone non ha ancora chiara la differenza.
Comunque, a me è molto chiara.
A me è molto chiaro cosa si intenda con “Scadenza: 30 settembre”.
1) perché mi piace analizzare e sono nata per farlo (se cerchi il doppio senso sei sessista, fascista e complottista).
2) perché vivo in questo mondo fatto di bollette e limiti spazio-temporali.
So che, per certezza convenzionale e del caso specifico noto, se la scadenza per iscrivermi a Stocazzo è al 30 settembre vuol dire che ho tempo ad adempiere fino al 30 settembre COMPRESO.
Ciò significa che io, per cliccare su quel merda di PAGA ADESSO, potrei aspettare fino alle 23.59 ed essere comunque in tempo (cosa che, ci tengo a specificarlo, non vale per i compleanni: gli auguri si fanno entro e non oltre mezzogiorno del giorno stesso, altrimenti puoi considerare interrotta la nostra amicizia).
Ciò significa inoltre che, e veniamo alla questione per cui ho scritto questo assurdo preambolo, io stamattina ero perfettamente in tempo per iscrivermi a Stocazzo.
Sono le ore 10.00 del 30 settembre, ultimo giorno di un mese per me infinito, triste, pesante ed emotivamente ponderoso.
E ultimo giorno per iscrivermi a Stocazzo, cosa che mi è passata di mente nei giorni scorsi per vedi sopra.
Provo ad accedere al sito.
È crashato (o ha crashato? Boh!).
Digito il numero di un ufficio, che per comodità chiamerò “Ufficio iscrizioni a Stocazzo”.
“Buongiorno, signora. So che la staranno chiamando tutti per lo stesso motivo, ma la chiamo anch’io. Devo iscrivermi ma il sito è crashato. Che posso fare?”
- Ah, ho visto. Eh, ha avuto due mesi di tempo, la prossima volta si sveglia prima. -
Respiro. “Non potendo tornare indietro nel tempo, le sto chiedendo cosa posso fare ora.”
- E io che ne so? -
Respiro. “Il suo è l’Ufficio iscrizioni, siccome l’iscrizione si fa tramite il sito e il sito non va, le avranno dato delle indicazioni in merito, no?”
- No. La scadenza è oggi. -
Respiro. “Signora, è oggi compreso. Significa che c’è tempo ancora oggi”.
- Non si fanno le cose all’ultimo. Non so cosa dirle. Io sono solo un’impiegata. PROVI a mandare una mail con la schermata che attesta il crash e qualche santo provvederà. -
A quel punto, io non ho più respirato. Non riporto cosa ho detto alla signora ma, già che ha tirato in ballo i santi, credo si possa intuire la piega che ha preso la nostra conversazione.
Risultato: tre minuti dopo mi sono magicamente iscritta a Stocazzo.
Perché io ho provato a costruirmi una seconda natura, come mi hanno imposto i miei padri spirituali, la mia formazione e le mie sudate carte.
Ma come funzionano la mortificazione della carne, la flagellazione, gli schiaffi mirati, nessuno mai.

giovedì 23 settembre 2021

Giada felice e non felice per il Mercato Europeo.

 


: Giada e la sua pittoresca quotidianità:

La mia vita è un pendolo che oscilla tra un “Cazzo, ma domani c’è il Mercato Europeo! Evvai, mi bombo di antistaminico e mangio l’inferno!” e “Cazzo, ma dove mollo la macchina?”.
Vado da colui che sta transennando viale della Repubblica e gli chiedo se chiuderanno anche via Savona: “Ehm… No, via Savona no. Cioè, mah, non so. Chiami i vigili!”
Sospirando, chiamo il Comando per sapere se chiuderanno anche la mia, di via.
Centralino.
Digito per “Urgenze o richiesta di intervento”. Non risponde nessuno.
Digito “Autorizzazioni e permessi” e poi “Viabilità e manifestazioni”. Mi risponde la voce automatica dicendo che l’ufficio è chiuso al pubblico.
Così per un altro ufficio, di cui non ricordo il nome.
Riprovo con “Urgenze o richiesta di intervento”. Non risponde nessuno.
Digito per “Ufficio Contravvenzioni”. Non risponde nessuno.
Riprovo “Urgenze o richiesta di intervento”. Non risponde nessuno.
Riprovo e, sorpresa-sorpresa!, non risponde nessuno.

Allora (non soffermandomi né sul fatto che uno faccia tempo a morire se avesse bisogno di pronto intervento né sulla non causalità di chiudere l’ufficio al pubblico e bloccare il numero di telefono dell’ufficio), poiché avverto già il demonio insinuarsi nella mia cognizione, cerco su Google un altro numero. (Nel mentre ho raggiunto la posta e sono in coda davanti a un signore).
“Prondo.”
- Buongiorno, vorrei un’informazione. Siccome domani ci sarà il Mercato Europeo e generalmente vengono chiuse sia via Savona sia via Castellani ma in tempo di Covid salcazzo cosa vogliono fare i poteri forti, potrebbe dirmi come sarà la viabilità?
“Eh, creto che via Savona no viene chiussa.”
- Ascolti, “credo” non mi basta. 
“Eh, non ho il foiio davandi. E poi io sono del Crishto. Chiami il Comantoh in via Lanza!”
- Sono del Cristo anch’io (e le pulci nel culo che mi merito per essere passata al centro!). Al di là di questo, in via Lanza non mi rispondono, lei non ha notizie sulla viabilità, anche se il suo ufficio è al Cristo?
“No, sono del Crishto.”
- Bene, ha però un numero da chiamare che non sia il centralino?
“Sì, cetto. Faccia questo numero e secua le indicazioni del centralino.”

Mentre io sono a un passo dall’ictus, il signore in coda dietro di me mi chiede:
“Sta provando a chiamare i vigili?”
- Sì, ma o non mi rispondono o l’ufficio non prende telefonate.
“Strano, a me rispondono sempre!”
Allora io, ché se insinui che sia un’imbecille e mi lanci il guanto di sfida piuttosto muoio ma ti devo smerdare, prendo il telefono e richiamo i vigili.
E stavolta - ovviamente, perché i miei guanti sono sempre di sfiga- digitando “Urgenze o richiesta di intervento”, mi rispondono.
Mi giro di schiena per non guardare il sorriso beffardo e soddisfatto di chi “me l’aveva detto” e chiedo la mia cazzo di informazione, ovvero se quello due cazzo di vie, Castellani e Savona, verranno chiuse per il cazzo di Mercato Europeo.
“Un attimo che cerco l’ordinanza!”
“Eh, non la trovo!”
“Ma era qui!”
“Eccola! Ah, no, questa è quella di Gagliaudo! Comunque no, secondo me non verranno chiuse.”
- No, signora, ascolti. Secondo me un par de cazzi. C’è modo di sapere qualcosa o no?
“Un attimo.”
“Mariiiiiiiina, hai l’ordinanza sottomano? … Ah, l’hanno mandata via mail? … E come si fa? … Senti, non puoi leggermela tu? … Vabbè, ti ricordi mica se via Castellani sarà chiusa? … Pronto?”
- Mi dica.
“Guardi, non riesco a trovare l’ordinanza, comunque NON PUÒ GUARDARE I CARTELLI? Li mettiamo 48 ore prima di chiudere!”
Io, che non so come abbia fatto a tenermi senza dirle che ha la mamma puttana (sto proprio invecchiando!): - Ascolti, signora, non più tardi di tre giorni fa avete messo un cartello di divieto di sosta con rimozione la sera prima per il giorno dopo. Io volevo solo sapere se posso parcheggiare davanti a casa o no. Ma, a questo punto, visto che nessuno è in grado di rispondere a una domanda che stupidamente credevo fosse semplice, metterò la macchina altrove.
“Ah, ok.”

AH, OK. 
Ah ok che c’avete tutti la mamma puttana, ah ok.

sabato 18 settembre 2021

Vah che casino che può fare un “oppure”!



: “Questi uomini erano completamente fuori di testa, obnubilati, oppure c’è stato un comportamento esasperante, aggressivo, anche dall’altra parte?”
Invece di schierarsi e lanciarsi in claudicanti giustificazioni come si è soliti fare, mossi dall’istinto o, per i più romantici, seguendo quel muscolo involontario piazzato nel petto, basterebbe analizzare ciò che viene detto (o scritto).
Siamo davanti a una disgiunzione e il termine chiave è “OPPURE”, che non lascia troppo scampo.
In logica matematica “oppure” può comportarsi come il VEL latino (in simboli: V) e significare un’alternativa oppure (ah-ah!) può comportarsi come l’AUT latino (il simbolo non c’è nella tastiera dell’iPhone. È una V con un pallino sopra o tre stanghette barrate) e significare un’esclusione.
Nel primo caso, la proposizione è vera se almeno uno degli enunciati è vero, ma potrebbero esserlo entrambi. Tradotto in linguaggio naturale, sarebbe più o meno così: Roma è la capitale d’Italia oppure Roma è il capoluogo del Lazio. 
Nel secondo caso, solo un enunciato è vero. È tradotto in linguaggio naturale sarebbe più o meno così: Roma è la capitale d’Italia oppure Firenze è la capitale d’Italia.
Usare i simboli rende la vita asettica ma molto semplice.
Usare la nostra lingua rende la vita bellissima e sfaccettata ma molto, molto, difficile.
Perché?
Perché nonostante vengano usate delle parole con un significato ben preciso, con implicazioni e implicature ben precise, tipo il “Ma”, ci si può sempre arrampicare sugli specchi per non ammettere di aver fatto una figura di merda: “Noooo ma io non intendevo…!”.
Eh, stocazzo non intendevi.
Stocazzo non intendevi, Barbara.
Perché hai fatto una domanda e quella domanda, per la forma che ha, per contenere solo due termini, per la posizione di “oppure”, per il tono in cui è posta, sembra proprio una disgiunzione esclusiva che, peraltro, è proprio insensata rispetto al fine (qualunque esso sia) che si voglia ottenere.
È inutile che soprattutto becero nascondersi dietro al “voler far riflettere”.
Dove si vuole arrivare, su che cosa si vuole riflettere, chiedendo una roba tipo “Questi uomini sono fuori di testa o c’è stato un comportamento esasperante anche dall’altra parte?”?
Cosa speri di ottenere dalle risposte a quella domanda?
Anche se uno rispondesse “C’è stato un comportamento esasperante e aggressivo anche dall’altra parte!”, quale sarebbe il quindi?
E anche se si rendesse la domanda più completa, introducendo un “o entrambi?”, tipo “Questi uomini erano completamente fuori di testa, obnubilati, oppure c’è stato un comportamento esasperante, aggressivo, anche dall’altra parte, oppure entrambi?”, quale sarebbe la conclusione? 
Una volta appurato che gli uomini erano fuori di testa E le donne esasperanti, cosa abbiamo in mano?
Perché, anche così, anche volendo concedere tutte le attenuanti, il passo immediatamente successivo, che scatta spontaneamente in questo ginepraio chiamato “comunicazione”, in cui entrano in ballo troppi fattori oltre alle semplici parole, è insinuare un infimo MA: “Ma non sarà che quelle donne erano esasperanti?”.
Ok, le hanno uccise MA loro erano esasperanti.
Se, invece, l’intento fosse solo quello di capire davvero cosa scatti nella testa di un uomo quando decide di uccidere il proprio oggetto (oggetto!) del desiderio, allora le domande da porre dovrebbero essere altre, senza “o” e senza “ma” e, soprattutto, scollegate:
Cosa accade nella mente di un uomo quando uccide? Ci sono campanelli d’allarme?
Quando siamo di fronte a un caso di femminicidio?
Quali sono le donne che vengono uccise? C’è un tipo di donna specifico?
Eccetera.
E mettendo insieme i dati raccolti, forse, FORSE, si può provare a formulare una qualche conclusione.
Si arriverà a notare, per esempio, come quasi mai quegli uomini erano fuori di testa in preda al raptus e quasi mai quelle vittime erano esasperanti. È proprio quello che è preoccupante. Ed è proprio per quello che si può parlare di femminicidio e non di “semplice” omicidio. 
Ma lo sai, eh.
Non sei scema, la mezza età ti ha solo resa avida.
Non vuoi far riflettere, vuoi solo far parlare.
Che storia triste.
Pensare che è nata dall’aver messo a cazzo un “oppure”.

(Ci sarebbe da dire anche sull’”anche”. Ma anche no, anche.)

mercoledì 1 settembre 2021

Si può essere


 : si può essere contro il Green Pass.
Si può essere contro il vaccino. *
Si può essere contro entrambi.
Si può essere favorevoli a entrambi.
Tenendo ben presente che essere contro il Green Pass non implica essere contro il vaccino (perché si può essere contro l’idea di limitazione della libertà ma favorevoli alla prevenzione).
Ed essere contro il vaccino non implica essere contro il Green Pass (per averlo basta un tampone, non ci si deve necessariamente vaccinare. Per ora.).
Prima di avere una delle suddette opinioni, però, oltre ad avere le competenze tecniche, aver compiuto studi e ricerche, avere una buona capacità di ragionamento - tutte mancanze alle quali mi sono rassegnata da tempo - sarebbe bene avere almeno l’onestà (intellettuale, per chi ha un intelletto) di ammettere di credere a uno dei seguenti punti di partenza:
a) c’è una pandemia. C’è un virus che sta mietendo un numero preoccupante di vittime, giovani e vecchie, e dobbiamo sconfiggerlo prima di finire come in Resident Evil.
b) la pandemia è una fuffa. C’è un virus, ma è un virus come ne spuntano ogni anno: non è necessario tutto ‘sto allarmismo, beccarselo non deve fare così paura.
Ora, chiudendo un occhio sul fatto che pochissimi di noi possano adottare una delle due prospettive con effettiva cognizione di causa, si può avere la presunzione di essere credibili solo se si manifesta la propria posizione. Perché se no si crea confusione e a noi emicranici (con aura) la confusione irrita.
Per esempio, non si è credibili se si pensa che ci sia una pandemia (di gravissima entità, specifico) ma si è contro il Green Pass: se pensi che ci sia una pandemia, prima di permettere a qualcuno di entrare in un posto, devi almeno provare a verificare che quel qualcuno non abbia il virus.
Se, invece, parti dal presupposto che tutta questa storia abbia dei risvolti che poco hanno a che fare con la salute e che la pandemia sia quindi una fuffa per gettare fumo negli occhi, fai bene a ribellarti.
Poi, ovviamente, ti prendi il rischio 1) di provare a capire quali siano quei risvolti senza risultare un folle complottista con il simbolo del 5G al posto della pupilla e 2) di finire in terapia intensiva nell’ilarità karmica generale. Però, almeno, in linea teorica, potresti aver ragione e, almeno, saresti coerente.
E la coerenza, in una situazione di incoerenza simile, in cui posso prendere la metro ma non l’aereo, sarebbe già una gran cosa.
* contro QUESTO vaccino, che riguarda un virus (cercare la differenza fra batterio e virus!).
Non si può essere contro al vaccino in generale. O, meglio, si può eccome, ma non senza essere anche coglioni.
E questa è solo una mia opinione.

giovedì 27 maggio 2021

Il Divin Codino

 

: raga, se farò qualcosa di figo nella mia vita (mai dire mai!) ricordatemi di impedire a Netflix di farci un film.
Perché, se è riuscita a far passare Baggio come uno sfigato che, per avere le ginocchia maffe e per aver sbagliato un rigore, si è mangiato il fegato per tutta la vita, attribuendo i vari “porci” a una divinità un po’ più in carne rispetto a quella crocifissa, chissà come raffigurerebbe una che ha procrastinato per tutta la sua esistenza e che è stata simpatica solo a sua madre.
Io, che Baggio non sapevo praticamente manco chi fosse, cioè sapevo ovviamente abbinare un nome a una faccia (e a un‘acconciatura, chiaro!) ma non ero legata emotivamente al personaggio, e non avevo idea di cosa fosse successo ai mondiali del ‘94, davvero, non ci ho capito un cazzo.
E non ci ho capito un cazzo non solo perché ho manifesti limiti cognitivi ma, anche, perché non è stato sviluppato e approfondito un bel niente.
Si capisce che era un giovane fenomeno a diciassette anni.
Poi si fotte il crociato.
Poi inizia a pregare una Dio serafico e cicciotto.
Poi si fotte (lui, solo lui, bella stella, gli altri mangiano, dormono e cagano tranquillamente) un mondiale.
Poi sembra che per sei anni (dopo la faccenda del rigore sbagliato compare la scritta SEI ANNI DOPO), per la depressione, non faccia altro che il giardiniere nella sua magione (una reggia che non si capisce come possa permettersi, visto che non viene menzionato altro della sua carriera calcistica).
Poi vuole partecipare a un altro mondiale per riscattarsi ma, essendo senza squadra e a fine carriera (?), non sa come fare.
E così ri-prega, non più davanti al Buddha (che abbiamo appurato non funzionare granché) ma davanti a un pallone d’oro (che chissà da dove è spuntato).
E allora viene chiamato dal Brescia dove reifica il concetto di “Vecchia Gloria”, facendogli conquistare un bell’ottavo posto in classifica.
Verrà quindi convocato per un altro mondiale? No, se la prende nel culo.
Fine.
Cioè, è un parto cesareo.
Si intuisce il miracolo della vita, ma è anestetizzato.
Si capisce che “Robi” è stato amato dalla gente perché “umano”, ma si capisce solo perché glielo dice la moglie.
Si campana che è stato “bravo”.
Si coglie, qua e là, il rapporto difficile col padre e i risvolti psicologici.
Ma, se non fosse stato per l’attore (somigliante e convincente) e per la scena finale da lacrimuccia (grazie alla canzone di Diodato-mon-amour), sarebbe da etichettare come una merdina.
Non una merda, per carità: considerando quelle serie da best-seller che ci propone Netflix per fare cassa, lucrando sul grande pubblico e operando quella che per il codice penale prende il nome di “circonvenzione di incapace”, è decisamente accettabile.
Ma non “wow”, ecco.
Di quel “Divin Codino” (che io, dopo aver visto lo sponsor della prima maglia della Fiorentina, continuavo a leggere “Crodino”, perché sono un animo ottuso e sempliciotto) non c’è traccia.
Non si capisce perché è umano.
Non si capisce perché è divino.
Non si capisce nemmeno il perché del codino, se sia consigliato da Buddha o solo gusto personale.
O, forse, non l’ho solo capito io.

giovedì 6 maggio 2021

Quel bacio non è consensuale


 : ma non siete stati nemmeno in grado di capire che dice “Specchio, servo delle mie brame!” invece di “Specchio, specchio delle mie brame!” e ancora parlate?
Non avete nemmeno capito che nessuno vuole cancellare niente da un cartone animato del 1937, che la Disney non è sotto accusa, che si è trattato solo di una riflessione di due singoli individui, e ancora commentate?
Non capite una sega di niente, non avete mai riflettuto su nulla che non fosse il fuorigioco, e vi permettete di sbuffare se uno si domanda se, forse, dato l’angosciante andazzo che ha preso il nostro mondo di merda, non sia il caso di iniziare anche solo a pensare di cambiare la narrazione e creare (senza, ovviamente, censurare nulla del passato, ma concentrandosi sul presente e sul futuro) delle favole un po’ più al passo coi tempi?
Il gatto a nove code che vi sfogherei sulla colonna vertebrale fino a farvi supplicare di enunciarvi il significato di “consensuale”, bestie che non siete altro.

lunedì 3 maggio 2021

Santo Lucia



: prima dei social, le persone “famose” - per il canto, lo sport, ecc - non avevano contezza di quanto fossero effettivamente seguite. 
Avevano idea di essere amate, certo, notando gli stadi pieni durante i concerti o le partite, ma non sapevano quanto fossero davvero influenti.
Ora lo sanno.
Quando i tuoi follower iniziano a superare la dozzina di milioni, sai di avere un grande potere. Sai di essere a capo di un esercito. Sai che puoi tirare un po’ le somme del tuo paese. Economicamente, in primis, ma anche politicamente.
La mania di grandezza è quasi fisiologica.
Ti muovi in quanto amato, quell’amore ti rende invincibile: li muove davvero, quella roba lì, il sole e l’altre stelle.
Forte dei tuoi amanti, inizi a pensare di te quello che loro pensano di te: inizi a elevarti a super-uomo, a stringere la mano al divino.
Ti equipari al dio, ma sei così naturalmente umano, tipicamente umano.
E io sono così contenta che l’incoerenza di Fedez, la sua folle e insieme acutissima capacità di cavalcare l’onda, abbiano portato alla calendarizzazione di una cosa talmente urgente come il ddl Zan. 
Perché è quasi ora che all’omofobia venga dato, legalmente, il suo nome e non la si nasconda dietro “futili motivi”.
Questo fine, nonostante la simpatia prorompente di Pio e Amedeo che si sentono le ali tarpate perché vogliono continuare a usare la parola “frocio” in modo scherzoso, giustifica ogni mezzo.
Ogni conquista ha un prezzo.
Accettare di vedere su un palco un rapper modaiolo che, pensando di fare la rivoluzione, parlando di censura a sua volta censurando, viene fatto socialmente santo, martire della giustizia, è ancora qualcosa che possiamo permetterci senza finire alla canna del gas.

martedì 27 aprile 2021

Indovina chi non viene a cena

: i ristoratori sono la categoria che è stata presa più per il culo da un anno a questa parte.
Ci sono categorie che sono state vergognosamente dimenticate, gravemente danneggiate, ma la beffa è stata riservata di gran lunga ai ristoratori.
Prima li fanno chiudere.
Poi li fanno riaprire, ma col plexiglas (che poi ha una o due s?) sui tavoli.
Poi li fanno richiudere.
Poi li fanno riaprire, ma con massimo quattro persone per tavolo e solo a pranzo.
Poi li fanno richiudere.
Poi li fanno riaprire, ma con i dovuti metri di distanza tra i tavoli - che più che un ristorante devi avere un ippodromo - e solo a pranzo.
Poi li fanno richiudere.
Poi li fanno riaprire, ma solo all’aperto, però, hey!, anche a cena, anche se è aprile, anche se ci sono dieci gradi.
E, in più, piove.
Governo ladro, in questa zona gialla quanto piove!
Sembra quasi pioggia dorata, data l’atmosfera di latrina in cui stiamo vivendo.
La necessaria lotta al magna-magna, così tipicamente nostro, si è però attuata nel più materiale dei modi: si sta cercando di togliere il cibo agli italiani (e siamo nel terreno della cultura, eh, non razza!).
Agli italiani.
Quelli che, pur de magna’, si sono inventati l’apericena.
Quelli che, quando hanno voglia di vedersi, non se lo dicono apertamente ma si chiedono “Ci prendiamo un caffè?” o “Ci mangiamo una pizza?”.
In altri momenti della nostra storia avremmo fatto una rivoluzione, avremmo fatto saltare un bel po’ di teste. Ma ora, per quanto poco abbiamo, è comunque troppo da perdere.
Perciò, staremo qui fino a quando quel poco sarà così misero da essere disposti a sacrificarlo.
E non manca tantissimo, eh.

venerdì 16 aprile 2021

La mia Covid Experience



: “Come è possibile che siamo ancora piazzati così dopo un anno?”
“Come è possibile che, per esempio, in Russia vadano a teatro, ai concerti, in discoteca?”
“Perché in Italia non riusciamo a tornare a una vita normale?”
Beh, prenditi il Covid e la intuisci, quella verità che ama celarsi.
È solo entrando nel sistema che si colgono le falle del sistema.
E il nostro sistema, per quanto non vogliamo ammetterlo perché molte volte ne traiamo giovamento, è un colabrodo.
Siamo un popolo di incompetenti, governati da incompetenti, che si affidano, quando hanno bisogno di qualsivoglia consulenza (medica, economica, ecc), ad altri incompetenti.
Dopo più di un anno, non abbiamo ancora capito come gestire questa pandemia. Come comportarci, noi tutti, in questa pandemia.
La nostra colpa, di noi comuni mortali senza potere o voce in capitolo, è quella di essere ignoranti: non sappiamo le risposte perché non sappiamo formulare le giuste domande; non sappiamo (né vogliamo) informarci perché è più comodo e fa meno paura. Non sappiamo ancora come muoverci in caso di Covid. Dopo più di un anno di Covid.
La loro colpa, di tutti “loro”, è quella di essere degli incuranti delinquenti, che permettono la diffusione di precauzioni fallaci, cure fallaci, protocolli fallaci e metodi informativi fallaci.
Basti pensare, banalmente, per partire proprio dal principio, ai termometri - con cui si dovrebbe misurare il sintomo principe di questo virus bastardo- che sono spesso (perché mi hanno insegnato a non utilizzare il termine “sempre”) non funzionanti: in ogni luogo pubblico che io abbia frequentato, al supermercato come a lavoro, la mia temperatura ha sempre oscillato dai 33 ai 36 gradi. Un cadavere, praticamente. Però mi è stata misurata, quindi la coscienza è salva!
Basti anche pensare, poi, all’utilizzo dei tamponi rapidi per accedere a qualsivoglia struttura (ospedali, soprattutto).
I TAMPONI RAPIDI. 
Un tampone rapido su due dà un falso negativo.
Ed è ovvio, eh.
Perché, per essere efficace, non può essere effettuato né troppo presto né troppo tardi rispetto al contatto con un positivo: c’è solo un ristretto lasso di tempo in cui funziona.
Ma, hey!, è rapido.
E, soprattutto, costa poco. Ai privati e allo Stato.
Per sapere se si ha il Covid c’è solo un modo, che non è rivolgersi a Natuzza la mistica come non è il tampone rapido: è il TAMPONE MOLECOLARE.
Qual è, però, il problema?
Anzi, i problemi: uno, che ha bisogno di almeno due giorni per essere “lavorato”.
In quei due giorni, un buon cittadino dotato di sale in zucca dovrebbe chiudersi in casa. Perché, se fai il tampone lunedì mattina e poi lunedì pomeriggio vai a leccare le narici dei tossici in stazione, forse, l’esito che ti arriverà mercoledì potrai usarlo giusto per pulirti il culo.
Due, che costa tanto. A un privato, dai 75 ai 200 euro. E, perciò, puntiamo a farne il meno possibile. Noi, inteso sia come “noi comuni mortali” sia come “noi Stato”.
E, attenzione, un molecolare da privato puoi farlo solo senza sintomi (quello che fanno negli studi non ha valore diagnostico e, in ogni caso, se hai la febbre non ti fanno entrare!). Se hai i sintomi, devi aspettare di entrare nel “sistema” per averlo gratuitamente.
È, insomma, un cazzo di cane che si morde la coda.
Io ho preso il Covid per un esito errato di un tampone rapido di una mia cara amica.
O, meglio, il motivo a monte, ovvero il motivo per cui lei (con grande senso civico e di responsabilità) ha fatto il tampone, è un altro. Che non esplicito, perché ha a che fare con le creature. Mi limiterò a dire che, quando ci scagliamo contro la didattica a distanza (con ragione o meno) dei bambini di età inferiore agli undici anni, ricordiamoci sempre che, per quanto loro non ne possano nulla, hanno molto spesso dei genitori deficienti che li costringono ad andare a scuola con la febbre. Per quanto elogiamo i nostri angioletti, che quando sono con noi o con i nonni si sforzano teneramente di tenere la mascherina, noi non siamo con loro a scuola e non sappiamo quanto difficile sia gestirli tutti insieme. E qui mi fermo.
Ho iniziato a sviluppare i sintomi il primo di marzo e sono entrata in quel girone dell’inferno chiamato ASL, poi SISP, poi STOCAZZ.
Non ho avuto, però, la fortuna di farmi accompagnare da una mente eccelsa come Virgilio, ma dal mio medico della mutua che, dopo più di un anno di pandemia, non aveva ancora dimestichezza con il “sistema” e non è stato in grado di prenotarmi i tamponi e suggerirmi una cura adeguata (io non sono, per così dire, un torello: ho i miei pasticcetti a livello di sistema immunitario, di cuore, circolazioni varie, ecc.).
Il mio medico ha totalmente sottovaluto il “problema Covid”. Cosa che mi aspetto da Peppino il folle commentatore negazionista ma non mi aspetto certamente da un servo della scienza che ha fatto il giuramento di Ippocrate.
E questo, oltre ad avermi fatto incazzare per tutta la mia quarantena, mi ha fatto anche molto sorridere: quando gioiamo per la candidatura del personale sanitario italiano al premio Nobel, ricordiamoci che non verranno premiati i poveri infermieri che hanno lavorato ventiquattr’ore al giorno tutti giorni lontani dalle loro famiglie ma TUTTO il sistema sanitario.
Anche i medici di famiglia che, comodi nel loro studio, non si sono nemmeno sbattuti a informarsi sulle procedure.
Anche i direttori delle strutture, che spacciavano qualunque morte come morte per Covid, per prendere le sovvenzioni.
C’è un bel cazzo da gioire, eh, raga.
Comunque, entrata nel sistema il primo di marzo, ho avuto la possibilità di fare un tampone molecolare l’undici. Esito, ovviamente, positivo.
Poi ne ho fatto un altro una settimana dopo. Esito, ancora, positivo. E siamo al 18.
Avrei voluto un altro molecolare ma non mi è stato concesso perché, dopo 21 giorni, si è comunque dichiarati guariti. Avendo rotto abbastanza i coglioni ho ottenuto un rapido che, ovviamente, al 29 di marzo, ha dato esito negativo.
Poiché la scienza, essendo questo un virus giovane, non ha ancora tutte le risposte (dopo 21 giorni, infatti, non è certo che si è guariti. “Si pensa”, “si ritiene”, che non si sia più contagiosi e che quindi non ci sia la necessità di altro tampone. Ma “pensare” e “ritenere” non equivalgono a certezza.) mi sono fatta a mie spese un molecolare. E, dal dieci di aprile, posso considerarmi guarita e con una coscienza pulita.
Sono negativa, che non è più solo la mia proverbiale condizione esistenziale ma è la mia attuale condizione virologica. Attuale fino a quel giorno, almeno.
Per la scienza e per la legge italiana, però, la libertà di circolare deve essere accertata tramite una lettera dell’Asl che, in alcuni fortunati casi, viene mandata esattamente allo scadere del 21esimo giorno di quarantena, mentre nel mio caso -strano!- ci ha messo una settimana.
È per queste falle nel sistema che si ha più paura dell’iter legato alla malattia che della malattia stessa. Soprattutto se non sei un lavoratore dipendente, col gentil deretano parato dalla mutua.
È per questo motivo che, dopo più di un anno in cui c’è in giro un virus che sembra un’influenza (ma dovrebbe esserci almeno chiaro che, se è un’influenza, è un’influenza bella tosta!), se ci viene la febbre pensiamo ancora “Avrò preso freddo!”. AVRÒ PRESO FREDDO. DOPO UN ANNO DI PANDEMIA.
È per questo motivo che prendersi il Covid in Italia, nella migliore delle ipotesi, è una grana.
Perché siamo un popolo di incompetenti, governati da incompetenti, che si affidano, quando hanno bisogno di qualsivoglia consulenza (medica, economica, ecc), ad altri incompetenti.

giovedì 25 marzo 2021

DanteDì

 

: mi accodo alla celebrazione del DanteDì condividendo quella che, per me, è la più grande verità sull’amore mai scritta.
Quella dalla difficile trascrizione.
Quella dall’impossibile parafrasi.
Quella che, quando la vedremo scritta correttamente abbinata a chiappe abbronzate, o quando chi se la tatuerà metterà l’h nel punto giusto o quando capiremo cosa significhi davvero, renderà il mondo un posto migliore.
“Amor, ch’a nullo amato amar perdona (....)”.
Io piango, ogni volta.
Non me la sono ancora tatuata perché mi sembrerebbe di depotenziarla, di toglierle un po’ di bellezza, ma è la cosa in cui credo di più.
Da sempre.
Da quando ho scoperto il quinto canto dell’Inferno, almeno.

martedì 23 marzo 2021

Vaticano e nozze gay



: chiedere al Vaticano di benedire le nozze gay è come chiedere al Ku Klux Klan di tollerare le persone di colore.

Riguarda semplicemente un’impossibilità logica, concettuale, costituzionale.

Per la Chiesa Cattolica ci si sposa esclusivamente per procreare, anzi, ci si accoppia solo per procreare.

L’amore tra due persone è tale solo in subordinazione a quello per Dio.

Sono stati fatti degli strappi alle regole (il matrimonio fra non-vergini, il battesimo a figli di non-sposati, la comunione ai divorziati, ecc) ma sono, appunto, strappi alle regole, ovvero sono estremamente mal tollerati dalla totalità e lasciati alla discrezione del singolo prete: quello che dice Papa Francesco - le sparate che vi emozionano e che vi piace condividere su Facebook - viene quasi sempre smentito dall’autorità vaticana.

E questo, se ti professi cattolico, ti deve star bene: è una religione dogmatica, fatta di comandamenti, norme. Non è un cesto di caramelle, non puoi decidere di mangiare solo quelle alla fragola e lasciare quelle al limone.

A maggior ragione, se sei omosessuale e ti professi cattolico, credo ci sia proprio un problema di incapacità di interpretazione del dogma: la Sacra Scrittura presenta le relazioni omosessuali come “gravi depravazioni” e nel “Catechismo” gli atti di omosessualità vengono dichiarati come “intrinsecamente disordinati” e per questo, pur non dovendo essere discriminate, le persone omosessuali sono chiamate alla castità e trattate come malate.

E tutto questo è abbastanza normale, trattandosi di un libro scritto più di duemila anni fa. Per quanto possiamo lasciarci andare a virtuosismi esegetici e giocare a interpretarlo a nostro piacimento, sono parole che ovviamente rispecchiano la società dell’epoca (che accettiamo o meno che la sua stesura sia avvenuta sotto divina dettatura) e la società dell’epoca era così: generalmente misantropa, particolarmente misogina, totalmente incoerente.

Il punto è: per un omosessuale ha senso accettare questa ovvietà in nome di una credenza?

Lungi da me addentrarmi nell’intricato discorso relativo, appunto, alla credenza, perché “il cuore conosce ragioni che la ragione non conosce” e se uno vuole credere a una vergine incinta non sarò io a discriminare cosa comanda il suo cuore (io credo che l’unico libro mai scritto da mano divina sia una raccolta di appunti che prende il nome di “Metafisica” e non permetto di essere giudicata per questo) ma sono davvero convinta che ci sia un grave problema che deriva dalla confusione dei due termini, “religione” e “spiritualità”.

Si può essere spirituali, si può credere che ci sia “qualcosa”, si può avvertire un’entità immateriale, anche senza aderire a una religione che, invece, prevede dei rituali e l’accettazione di dogmi.

La frase “sono credente ma non praticante”, relativa alla religione cattolica, è quanto di più concettualmente errato esista al mondo: la pratica è costitutiva di quella religione. Se credi al bue, all’asino, alla cometa e a Cristo, devi anche praticare perché è quello che ti comanda il tuo Dio.

So che è faticoso e dire “sono credente ma non praticamente” ti leva da tanti fastidiosi impicci, quali svegliarsi la domenica e andare a messa o fare all’amore solo per figliare o addirittura non trastullarti con il tuo augello in mano invano, ma fa anche di te un quaquaraquà.

Se sei cattolico, devi praticare e accettare quello che il tuo Dio ha scritto per te, sacrificando suo figlio per la tua salvezza.

Oh, sei tu che dici di crederlo, eh! Sei tu che, scusa la franchezza, scegli di crederlo.

E io, invece, credo che si creda a quello per mancata conoscenza di altre opzioni: il nostro cuore ha l’esigenza di pregare, di sperare, di credere, appunto, e sceglie di farlo con quello che gli viene inculcato fin da piccolo.

Perché è lì, perché è più comodo.

Ma ci sono molti modi per essere religiosi e  infiniti modi per essere spirituali.

Senza pretendere che una religione, con una sua struttura millenaria, modifichi la sua struttura per le nostre esigenze delle quali, con ogni evidenza, non siamo così così sicuri e sulle quasi non abbiamo riflettuto abbastanza.

Per questo, ogni tanto, vengono fuori queste polemiche sterili.

Perché ci incaponiamo senza riflettere.

Perché vuoi sposarti con rito cattolico, se sei gay?

Perché sei cattolico, se sei gay?

Ci hai pensato, prima di pretendere?

O è solo comodità?

O è solo capriccio?

O, e mi scuso, è solo ignoranza di altre opzioni?

Sai che ci sono religioni bellissime la cui chiesa non ha un proprio stato con una propria legislazione in cui può fare il cazzo che vuole, tra cui predicare castità e razzolare promiscuità? O predicare privazione e razzolare opulenza?

Sai che si può fare esperienza di enorme spiritualità anche solo passeggiando in un bosco dopo la pioggia?

Sai che puoi ricongiungerti con il divino anche solo leggendo, guardando, sentendo?

No, secondo me non lo sai.

Sappilo, allora.

Credilo, allora.

venerdì 26 febbraio 2021

La liceità della mortificazione

 


: ma poniamo che io sia una qualche autorità in campo allergologico con il compito di dare un voto alla conoscenza di qualcuno riguardo la propria allergia al nichel (per fare un esempio proprio a caso!).

Poniamo anche che suddetta allergia duri da sei anni.

Se io gli chiedessi “Mi dica, signore, quale torta adatta alla sua alimentazione preferirebbe mangiare?” e lui mi rispondesse “Una torta al cioccolato!”, io lo massacrerei.

Gli urlerei in faccia qualunque cosa e lo farei dubitare di essere umano e non equino.

Perché, se dopo sei anni di allergia al nichel, non sai ancora che il cioccolato è tipo il cibo che ne contiene di più, tipo la primissima cosa che ti dicono di eliminare, beh, ma ammazzati.

Già di grazia che ti ammazzi solo tu, dato che l’incompetenza circa la tua allergia riguarda solo te: pensate come sarei morbida se la tua incompetenza riguardasse altre persone, se riguardasse la loro salute, la loro vita.


E questo volo pindarico è per dire ciò che penso riguardo al video del docente universitario che strapazza la sua studentessa.

Penso che sia la risposta del perché, in Italia, siamo piazzati con le pezze ar culo.

Sull’intervento della madre non mi pronuncio nemmeno.

Sul pubblicare quel video con l’intento di sputtanare qualcuno, non capendo che quel qualcuno dovrebbe essere soprattutto l’autore del video, nemmeno.

Sul fatto che i modi siano discutibili e che ci siano effettivamente dei docenti incompetenti, dato che sarebbe totalmente fuori contesto, nemmeno.

Ma se la studentessa, al sesto anno di studio, ha detto una roba che in campo medico equivale al confondere, in campo filosofico, “correlazione” con “causazione”, beh, ma di cosa parliamo?

Se è lei stessa a dire che “ogni volta” viene mortificata, porca Eva, non sarà che debba andare a fare altro invece di auspicare ad avere in mano la vita di qualcuno?

Ma stiamo ben zitti, vah, ignoranti.

venerdì 15 gennaio 2021

Bombe (mediatiche e non)




: abbiamo finalmente l’esito dell’autopsia ai tre pompieri morti a Quargnento.

Giustamente, un giornale deve riportare la notizia.

Lo fa con una prima pagina da brivido, che recita “TRACCE DI STUPEFACENTI NEI CADAVERI DEI TRE VIGILI DEL FUOCO”, che ci rimanda a pagina 7, a un articolo monco di Monica Gasparini.

Che inizia con:

“Sono conclusioni choc quelle dell’autopsia sui cadaveri dei tre pompieri morti nell’esplosione della cascina dei coniugi Vincenzi, a Quargnento.”

Perciò, per i giornalisti del Piccolo, FIRST REACTION SHOCK.

Come mai, dato che dall’autopsia emerge chiaramente che siano morti per cause da imputare esclusivamente all’esplosione?

Come mai, dato che “Le “nuove” risultanze non cambiano le colpe di Giovanni Vincenti”?

Perché sono così scioccati?

Perché “Proprio l’autopsia ci racconta un retroscena che esula dai fatti oggettivi. Un retroscena che pone un interrogativo, perché l’autopsia, a margine delle cause che hanno determinato la morte dei tre pompieri, ha anche evidenziato tracce di stupefacenti”.

E l’articolo si conclude con l’elenco delle sostanze assunte dai tre e le relative tempistiche. 

È un articolo monco, che parla di un interrogativo che non viene mai svelato: qual è l’interrogativo posto da quel retroscena?

I tre pompieri si erano drogati due ore prima dell’incidente.

Questo fa sollevare una domanda, si legge.

Quale, visto che si mettono le mani avanti dicendo che questo non cambia (ovviamente) le colpe di Vincenti e moglie?

Si sono drogati, quindi?

Non si capisce.

Non si capisce perché chi scrive dovrebbe avere chiaro il percorso che porta da A a B, dovrebbe averlo prima sviluppato nella mente, mentre qui si vede chiaramente come si sia vomitata una valanga di parole in preda all’eccitazione dell’imminente casino mediatico.

Anche questa è sostanza stupefacente: se vogliamo fare intendere (con ragione o meno) che chi va a salvare delle vite non dovrebbe assumere droga, almeno dobbiamo essere certi di non metterci a scrivere presi dall’euforia di far scoppiare una bomba giornalistica (quante similitudini, in questa faccenda). 

Ma se la Gasparini è solo pressapochista, è Alberto Marello che ci presenta qualcosa di ignobile.

La Gasperini può godere del diritto di cronaca: ha riportato, seppur in modo raffazzonato, quelli che sono stati gli esiti dell’autopsia.

Marello, invece, dà un giudizio di valore.

Si infila nel ginepraio, con nessun titolo, dell’etica.

Etica che sfocia in un moralismo del tutto gratuito.

Ci dice, nel suo articolo, che le tracce di cocaina e di cannabinoidi trovati nel loro sangue ridefiniscono i ruoli dei tre vigili del fuoco: quelli che abbiamo pensato fossero eroi perdono il loro mantello.

Ci dice che ci siamo indignati, che abbiamo pianto, che abbiamo deposto fiori e rispettato il silenzio, perché ci mancava un dettaglio: si drogavano. E questo li rende solo umani, anch’essi afflitti da terribili debolezze.

Con quella tua retorica antiquata, che svela una preoccupante pesantezza mentale, cosa vuoi farci intendere, Alberto?

Che se avessimo avuto quel dettaglio, se avessimo saputo che erano avvezzi alle droghe, ci saremmo commossi un po’ di meno e che l’omicidio dei tre sarebbe stato in qualche modo attenuato?

E hai ragione, purtroppo.

È proprio questo il grave: che, in un paese così moralmente arretrato come l’Italia, quest’articolo getta fango sulla memoria di tre persone. E, come dici tu, questo permette di ripensare l’intera faccenda.

Le fette di salame che ci foderavano gli occhi sono state sbranate dalla fame chimica, a tuo dire.

Ed è inquietante, di per sé.

Ma è ancor più inquinante se, in un processo così delicato, così emotivamente carico, il direttore di un giornale si permette di essere così insensatamente giudicante.

Come se fosse stata la droga a ridurre a brandelli le divise dei pompieri e non la mente malata di due animali. 

Qui si va oltre il fisiologico sciacallaggio mediatico.

Qui si va nella vergogna.

La mia, di appartenere alla stessa specie di questi individui.


(E di quelli che commentano senza aver letto l’articolo integrale: è molto peggio della prima pagina).

mercoledì 6 gennaio 2021

rama lama lama ka dinga da dinga dong

 


: raga, è appena iniziato il 2021.

Anno che, data l’ansia da prestazione a cui l’abbiamo sottoposto, come un adolescente dal baffo morbido al cospetto di Belen, farà una cilecca memorabile tale da renderlo più ridicolo del suo predecessore.

Cerchiamo almeno di non peggiorare la situazione con argomenti-tormentone dei quali non riusciremmo a individuare il nucleo concettuale nemmeno se fosse indicato con frecce luminose.

Scoppia il delirio mediatico per colpa di Grease: è misogino? È sessista?

E tutti, ignorando completamente il contesto, la sorgente e l’intensità della polemica, pretendono di donare i loro due centesimi per la nobile causa: piovono post in cui si difende a spada tratta il film e si butta merda sul politically correct.

Che dire, raga, a me viene la nausea.

Seriamente, dopo il 2020, in cui avevamo per le mani un potenziale artistico e concettuale che non se ne vedevano da un po’ e siamo stati in grado solo di tirar fuori dei meme sulle regioni arcobaleno (ché poi, che cazzo di arcobaleni frequentate, di tre colori?), davvero, sono un po’ piena.

Comunque, Grease.

Grease è un musical.

(Divagazione: esiste qualcosa di più fastidioso dei musical, nell’ambito delle arti performative?

Cioè tu stai assistendo a un dialogo fra due attori che sono, che ne so, al ristorante, e all’improvviso uno dei due, posseduto da chissà quale spirito poetico, lancia uno sguardo languido nel vuoto, si alza e inizia a cantare. Ma solo a me scatta il nervo?

Ok, non amo troppo i musical.

Ma alcuni li tollero.

Grease lo tollero. La La Land non lo tollero.

Grease lo tollero perché è un cult e perché di ballerini come John Travolta ne nascono una manciata ogni cent’anni. Il che alza notevolmente il livello performativo del film, rispetto a qualunque altro musical interpretato da un concorrente a caso di Amici.)

Ed è un musical del 1978 ambientato nel 1958.

Ora, immaginate di essere un adolescente medio del 2021 e di trovarlo in TV.

Un adolescente medio, eh, il cui pensiero critico di sviluppa su Instagram, Twitter e Tik Tok. Non un adolescente tipo Pascal.

Immaginate di vedere un film, per voi preistorico, che è la storia di due che flirtano in vacanza ma poi, siccome lei è sfigata agli occhi dei più, lui, per mantenere la reputazione, appunto, da macho, la manda a cagare fino a quando lei non si presenta con look aggressive, con tanto di siga e pantaloni di pelle, e lui cade ai suoi piedi.

Cosa potreste pensare di questo film?

“Wow, che figata! Che contenuti spaziali! Che concept innovativo e per nulla ricco di stereotipi!”?

Credo proprio di no: un adolescente del 2021 è bombardato da inni alla diversità, inclusività, parità e altri innumerevoli tà tà tà.

Se poi è un adolescente fumino e nu poco poco limitatino vedrà ovunque delle possibili minacce a quel mondo equo e patinato che gli viene promesso.

È abbastanza normale, credo.

Come è abbastanza normale condividerne il disprezzo tramite un tweet.

Grease, se lo depuriamo dal suo contesto storico, se ci dimentichiamo del suo valore affettivo per noi figli degli anni 80, se ci sforziamo di non imbambolarci davanti a John e a Olivia, e lo trattiamo in sé e per sé, beh, presenta esattamente ciò che il mondo attuale tenta di fugare.

Poi noi siamo in grado di dividere i piani e, soprattutto, siamo in grado di capire che il revisionismo non è la soluzione.

Un adolescente, essendo un tenero virgulto razionale, non lo è.

Infatti il problema non è lui.

Il problema è il giornalista dimmerda che ha scatenato ‘sto polverone, costruendo un articolo da poveracci e facendo di una manciata di tweet un caso mediatico che ha portato a valutare la censura di Grease, istigando i soliti fan del politically correct retroattivo.

È la macchina che non funziona, raga.

E della macchina facciamo parte anche noi che, ossessionati dagli ossessionati del perbenismo, negando chi nega, odiando qualsiasi forma di politicamente corretto, prendiamo posizioni di difesa-a-ogni-costo.

Sta sempre nel mezzo, l’equilibrio.

Lo troveremo, un po’ di equilibrio, in quello che sembra già essere il 2020 b?