mercoledì 23 marzo 2022

Le mie acque profonde. A Gianni.

 


: qualche mese fa è venuta a mancare una persona a me molto cara che, all’epoca, non ho avuto la forza di celebrare.
Una persona così fondamentale, per la struttura del mio io.
Così profetica, così fiduciosa nelle mie possibilità.
E che io ho deluso più di tutti, più della mia famiglia, più dei miei amici: se ne è andata senza assistere ad alcun mio traguardo.
Ma tanto lo sapeva che sarebbe finita così: mi diceva di leggere questo e quello, di guardare quel film, quell’articolo, e io abbandonavo sempre.
Per noia o debolezza. Noia e debolezza.
Mi interrogava su libri che non avevo nemmeno aperto ma adorava la creatività con cui mi arrampicavo sui vetri, mentendo, rigirando.
Mi avrebbe affidato le sue memorie pur sapendo che non mi ricordo mai neppure cosa mangio a colazione.
Nell’arco di un’ora gli facevo girare i coglioni per cinquantasette minuti, ma lo facevo ridere per tre e gli andava bene così.
Era un brav’uomo.
Un intellettuale di quelli brillanti, pungenti, acutissimi.
Non mi perdonerò mai di averlo abbandonato, diradando via via gli incontri fino a farli scomparire.
Ci sono cose, nella lettura psicologica dei miei comportamenti, che si potrebbero liquidare facilmente con “manifestazioni da testa di cazzo” ma in cui io voglio vedere qualcosa di più profondo, tanto per non sentirmi proprio così banalmente una merda.
E la spiegazione che do a quella sparizione da una persona che reputavo così importante è proprio la consapevolezza di averla delusa in tal modo.
Chissà se è un’ulteriore menzogna a me stessa e al mondo o se è la verità.
Chissà se davvero mi allontano da chi ammiro di più per paura di fottere ogni aspettativa.
So’ gemelli, non lo saprò mai.
La cosa bella delle persone fondamentali per le nostre esistenze, però, è che, quando meno te lo aspetti, quando ne hai necessità, quando ne hai semplicemente voglia o semplicemente ne senti la mancanza, trovano il modo di palesarsi fottendosene della fisica.
Così, ieri sera, quel brav’uomo è venuto a farmi un salutino.
È infatti uscito, dopo vent’anni esatti dall’ultimo, un film del mio regista preferito, Adrian Lyne.
Il suo era Kubrik.
Quante me ne diceva, su Adrian Lyne.
E quante gliele dicevo su Kubrik, solo per farlo arrabbiare.
Uno dei miei ricordi più belli riguarda una nostra discussione, durata il tempo di un intervallo, su Lolita, mio libro preferito e film preferito.
“Quello di Kubrik, spero”.
Ovviamente no, quello di Lyne. E se dice che è meglio quello di Kubrik è perché non ha letto il libro con attenzione o, in preda allo snobismo intellettuale che la contraddistingue, non ha visto quello di Lyne per pregiudizio. Io li ho visti entrambi e le assicuro che non c’è paragone. Per raccontare Lolita ci vuole torbida tenerezza, inquieta profondità e predisposizione alla dolce agonia. Kubrik non ha trasmesso quel disturbo che è fondamentale per entrare nella storia. Si fidi, non c’è partita.
Mi fa sorridere pensare a quando gli davo del lei.
Non mi ricordo cosa mi avesse risposto, sicuramente avrà riso per quell’irriverenza ossessiva che avevo a sedici anni, ma mi ricordo che, dopo l’estate, mi aveva portato tutto goduto un articolo di giornale in cui Lolita di Lyne veniva definito “patinato remake”.
Ero così piccata ma insieme lusingata che avesse ritenuto interessante quella conversazione che gli avevo candidamente detto solo che ci aveva messo tre mesi per ribattere con ‘sta cagata scritta su un tabloid. 
Quanto mi mancano gli scambi di questo tipo.
E quanto avrebbe odiato “Acque profonde”.
Quando ho iniziato a guardarlo non sapevo fosse di Lyne, non l’avevo letto.
Poi, fotogramma dopo fotogramma, mi sono sentita a casa. Il mio gusto appagato al massimo con immagini bellissime, di un nero lucido, “patinato”, appunto.
Il torbido, vecchio Lyne.
Quante gliene avrebbe dette, lui.
Avrebbe battuto sulle incongruenze, sui buchi nella trama.
E io l’avrei obbligato a lasciare da parte il senso per i sensi.
Perché un film non lo puoi solo guardare ma anche toccare. 
Deve farti scorrere più veloce il sangue nelle vene.
Deve pugnalarti e insieme accarezzarti l’anima.
A proposito, mi dispiace se ti ho deluso.
Perché, anche se conoscevi la mia inconcludenza più di chiunque altro, ti ho deluso. 
Sì, perché poi, a un certo punto, ti ho dato del tu.

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