mercoledì 27 marzo 2019

Grazie, ciao!







: metto i soldi nella macchinetta.
Schiaccio “latte”.
Mi dà un caffè.
Non bevo più caffè, perciò mi giro verso due ragazze e chiedo loro se, per caso, abbiano voglia di un caffè.
Mi guardano come se avessi chiesto se fossero vaginali o clitoridee.
Finalmente una mi dà un segno di vita: “Beh, per non buttarlo... ti do i soldi.”.
Ma va, tranquilla, te lo offro io!
Le passo il caffè e ritento di prendermi la mia droga.
Vedo con la coda dell’occhio che sta racimolando le monetine da darmi.
Ribadisco, stai tranquilla!
“Ah. Ok.”
Mi siedo per bermi il mio finto latte.
Lei sorseggia il suo caffè analizzando una visualizzazione senza risposta con l’amica.
Poi si alzano e se ne vanno.
Senza accennare a un saluto.
Non dico “un grazie”, ci mancherebbe.
Ma nemmeno un saluto? 
Ora, non sto dicendo che a ogni gesto di gentilezza debbano corrispondere prostrazione e ispezione rettale con leccata, anzi, se si pretendesse qualcosa in cambio, non sarebbe un autentico gesto di gentilezza.
È la mancanza dell’automatismo che dovrebbe essere stato acquisito nell’infanzia, quello che fa ringraziare e salutare, a sconcertarmi.
Cioè, non hai sviluppato una seconda natura tale da farti rispettare le basilari norme di buona educazione? Che cazzo sei, una bambina-lupo?
Forse questa trovata pedagogicamente geniale del “laissez faire”, del lasciare i bbbambine libbberi, è sfuggita un po’ di mano.
Lasciate fare anche me, almeno.
Lasciatemi, educatamente, buttarvi giù i denti.

(Dio, che post da anziana.
Finirò con l’andare in giro con una ciabatta in una mano e un mattarello nell’altra, urlando che questo mondo non è un albergo.
Che brutto invecchiare.)

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