venerdì 7 dicembre 2018

Un po’ forte







: purtroppo io c’ho il nichilismo che mi scorre nell’anima.
Un po’ è natura, un po’ sono le vicissitudini.
Fatto sta che io vivo in nero, in (quasi) ogni mio istante.
Insomma: sempre caro mi fu quest'ermo nero, e questo nero, che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il nero include.
Per questo ogni volta che qualcuno, dall’abbagliante sorriso beota, inneggia alla vitah positivah, io mi incupisco ancor di più.
Mi incupisco e mi irrito.
Ma poi mi intenerisco: stella, va’.
Che dolcezza, che genuinità (da vedere!), che ingenuità.
Come quella ragazza “sopravvissuta” all’aborto salino che parlerà, in una parrocchia, di come sia stata rinnegata come figlia, dei miracoli che ha visto con i suoi occhi.
Ed è un bene, per lei, che io non possa essere presente.
Perché la infetterei col mio, appunto, nichilismo, scetticismo, checchessiaismo.
Soffierei dell’antrace sul suo candore, sul suo immacolato e sgombro intelletto.
La ammorberei con annose questioni relative al senso, odiate dalle varie parrocchie, che non hanno gli strumenti adeguati per riflettere. 
Se sopravvivi, dove sta il tuo guadagno, come singolo?
Dove sta il nostro guadagno, come specie?
Può rispondere a questo, la tua piccola, putrida e  vacillante, autostima?
Può, ma in maniera sciocca e pruriginosa.
Ci vuole un gran coraggio per dire “Avrei potuto non esserci e invece ci sono!”, ci vuole una gran forza per affrontare i vari e fisiologici “Caspita, che culo!”.
Come ti invidio, creatura.
Invidio il bianco felice della tua pochezza intellettiva.
Davvero, eh.

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