giovedì 29 novembre 2018

Il torto è una scoreggia






: siamo in una stanza, io e te.
Improvvisamente, un soffio.
Un soffio che sa di uova marce, fogna, merda.
Entrambi sappiamo cosa è successo: hai scoreggiato, tesoro.
Siamo in due, io non sono stata. 2-1=1 e quell’uno sei tu.
Lo so io e lo sai tu.
No, non può esserci l’eventualità che l’abbia fatta io inconsapevolmente: non le perdo per strada, non trasudo letame. 2-1=1, tu.
Se te lo faccio notare, neghi.
“Verrà da fuori”, dici. Parli di una fantomatica mandria di passaggio, una discarica, Beetlejuice.
Ma lo so io. E lo sai tu.
Se non te lo faccio notare, mi faccio bastare il linguaggio del tuo corpo: fai rotare gli occhi, hai lo sguardo del “se ne sarà accorta?”, muovi prima una chiappa poi l’altra sulla sedia, hai la fronte colpevole. Fai il vago.
Ma lo so io. E lo sai tu.
Così è il torto.
Il torto è, spesso, come una scoreggia.
In una discussione, in cui o io o te abbiamo sicuramente torto, entrambi sappiamo la verità.
Perché entrambi sappiamo cosa abbiamo pensato, come l’abbiamo detto, cosa abbiamo fatto.
Uno dei due ha commesso qualcosa di sbagliato.
Uno dei due ha un ingombrante torto in tasca.
Lo so io. Lo sai tu.
Tutto il resto è incolpare ingiustamente una povera mucca passeggera, una tubatura guasta, uno spiritello porcello. Non viene da fuori, viene da molto dentro.
E lo so io. E lo sai tu.

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